15/11/2025
👉Intervista a Don Gaudioso Mercuri che presenta il libro “Educare all’inquietudine. Giovanni Pascoli e il coraggio di sentire”.
Domanda - Partiamo proprio dal titolo, come mai “Educare all’inquietudine. Giovanni Pascoli e il coraggio di sentire”? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Risposta - Il titolo è nato da una riflessione lunga, quasi meditativa, sul valore dell’ come dimensione costitutiva dell’essere umano. Viviamo in un tempo che teme l’inquietudine e la interpreta come un difetto da correggere, ma essa può essere, al contrario, una via di conoscenza e di rinascita. mi è sembrato un testimone privilegiato di questa interiore: un uomo che ha saputo trasformare il dolore in linguaggio, la vulnerabilità in visione. In lui ho trovato il coraggio di sentire, di restare a contatto con ciò che ferisce e illumina insieme. Il invita proprio a questo: educarci al sentire, all’ascolto profondo, al rischio della delicatezza.
Domanda - Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Risposta - Direi totalmente. La realtà non è solo lo sfondo, ma il laboratorio stesso della . Ogni parola nasce da un incontro, da una tensione tra l’ideale e il concreto, tra ciò che accade fuori e ciò che si muove dentro. L’esperienza umana, osservata nella sua complessità, mi ha insegnato che la vita non è mai lineare: si procede per tentativi, cadute e rinascite. Da questa consapevolezza è nato il mio desiderio di una scrittura che non separi la riflessione dall’esperienza, ma che le integri, come accade nella mente e nel cuore quando cercano un equilibrio possibile.
Domanda - La scrittura come valore testimoniale: cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Risposta - Ho voluto salvare la dignità del sentire. In un’epoca che tende a sostituire l’emozione con la reazione, e l’interiorità con la performance, sentire davvero è diventato un atto controcorrente. Scrivere è stato un modo per custodire la fragilità senza giudicarla, per dire che la vulnerabilità non è debolezza, ma apertura alla vita. In questo senso, *Educare all’inquietudine* è anche un gesto terapeutico e spirituale insieme: un invito a riconciliarci con la nostra parte sensibile e inquieta, invece di anestetizzarla.
Domanda - A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito “Educare all’inquietudine”, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore, come li descriverebbe?
Risposta - Ricordo i momenti in cui la ricerca letteraria si è trasformata in introspezione. Studiando Pascoli, mi sono accorto che la sua poesia non si limita a descrivere emozioni, ma le attraversa, come in un processo di cura. Durante la stesura ho vissuto anch’io questa trasformazione: la parola diventava spazio di chiarificazione, di equilibrio interiore. È stato un percorso che mi ha insegnato quanto la scrittura possa essere, se accolta con onestà, un modo per rimettere ordine nel caos delle emozioni, e al tempo stesso un atto di fiducia nella vita.
Domanda - Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Risposta - Accanto a Pascoli, riconosco in Leopardi un maestro del pensiero emotivo e in Rilke un interprete dell’interiorità spirituale. Ma mi hanno formato anche autori che hanno saputo coniugare la profondità psicologica con la tensione etica, come Viktor Frankl, Romano Guardini e Martin Buber. In loro ho trovato un linguaggio capace di tenere insieme la ferita e la speranza, la mente e l’anima.
Domanda - Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Risposta - La mia formazione è il frutto di un dialogo costante tra , e . Gli studi in letteratura italiana e filologia moderna mi hanno insegnato il valore della parola nella sua storia: la sua capacità di custodire la memoria culturale di un popolo e, al tempo stesso, di farsi voce personale e universale. In questo senso, mi riconosco nell’intuizione di Italo Calvino, secondo cui la letteratura è «una rete di connessioni invisibili» che unisce le epoche e gli esseri umani attraverso il linguaggio. La parola, come insegnava anche Giacomo Leopardi, non è solo segno, ma eco dell’esperienza umana, luogo in cui il dolore e la bellezza trovano forma.
Dalla psicologia cognitivo-comportamentale ho appreso, a partire da Jean Piaget, che ogni fase della crescita comporta una ridefinizione del modo di conoscere, sentire e relazionarsi. Tale prospettiva è stata poi arricchita dall’approccio umanistico di Carl Rogers e dal pensiero di Viktor Frankl, per i quali la dimensione affettiva e spirituale dell’uomo non può essere separata dal processo di conoscenza. Questa consapevolezza mi accompagna nel leggere la poesia come un processo evolutivo dell’anima, dove l’emozione si trasforma in forma di pensiero e in strumento di autocomprensione, come già intuiva Rainer Maria Rilke nelle sue Lettere a un giovane poeta.
Dalla teologia traggo la mia radice più contemplativa. Il pensiero di Joseph Ratzinger, con la sua fine armonia tra fede e ragione, ha nutrito in me la convinzione che la verità non è mai separata dalla bellezza. Come afferma in Introduzione al cristianesimo, «la fede non è il risultato di una costruzione teorica, ma un incontro con la bellezza che salva». Mi ispirano anche Hans Urs von Balthasar, per la sua visione estetica della rivelazione in Gloria, e Karl Rahner, che ha restituito alla riflessione teologica il suo volto umano e trascendentale, aprendo alla possibilità che ogni esperienza autentica sia una forma di incontro con il Mistero.
Credo che la mia scrittura nasca proprio da questo intreccio: la parola come luogo in cui l’intelligenza e lo spirito si incontrano, dove l’inquietudine diventa cammino di verità e la ricerca si fa preghiera. Come ricorda Simone Weil, «l’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità» - ed è in questa attenzione al linguaggio, al mondo e all’altro che riconosco il nucleo più profondo del mio pensare e del mio scrivere.
Domanda - Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Risposta - Amo la saggistica filosofica e la narrativa introspettiva, ma anche la poesia che nasce dal vissuto. Mi interessa la scrittura che accompagna la coscienza, che diventa gesto educativo e terapeutico insieme. Credo che ogni genere, se autentico, possa essere un modo per interrogare la condizione umana e le sue trasformazioni interiori.
Domanda - Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Risposta - Il libro cartaceo, senza esitazioni. La lettura è un’esperienza incarnata: il tatto, l’odore, il gesto di voltare pagina fanno parte del pensiero. È come se il corpo partecipasse alla riflessione. Il digitale è utile, ma il cartaceo conserva la dimensione sacrale del tempo lento, dell’incontro intimo con il testo.
Domanda - Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura durante la composizione del libro?
Risposta - La scrittura è stata una forma di ascolto profondo. Non l’ho vissuta come produzione, ma come dialogo: tra la ragione e il sentimento, tra la parola e il silenzio. Spesso, mentre scrivevo, avevo la sensazione che i pensieri si chiarissero da soli, come se il testo sapesse più di me. È un’esperienza che conosce chi accompagna gli altri nei loro percorsi interiori: la parola, quando è vera, guarisce anche chi la pronuncia.
Domanda - Un motivo per cui lei comprerebbe “Educare all’inquietudine” se non lo avesse scritto.
Rispsota - Perché è un libro che non teme la fragilità. Invita a sostare, a non fuggire dal dolore, a trasformarlo in consapevolezza. Non offre soluzioni, ma accompagna chi legge verso una maturità affettiva e spirituale più autentica. In un mondo che ci spinge a essere efficienti, questo libro ricorda che il valore di una vita sta nella capacità di sentire.
Domanda - Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Risposta - Sì, sto completando un nuovo intitolato “Fiamme spente: il Burnout nel Clero contemporaneo. Crisi, cura e rinascita nel ministero sacerdotale”. È una riflessione sul logoramento interiore di chi dedica la propria vita agli altri, ma spesso dimentica di prendersi cura di sé. Se “Educare all’inquietudine” esplora il sentire come dimensione educativa, questo nuovo lavoro si spinge verso la dimensione relazionale e spirituale della cura: come ritrovare senso quando il dono si consuma.
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