Psicologia Psicoterapia Dott.ssa Chiara Cicala

Psicologia Psicoterapia Dott.ssa Chiara Cicala Svolge la propria attività a Roma, zona Furio Camillo, su appuntamento.

Chiara Cicala si è laureata in Psicologia nel 2002, è abilitata ed iscritta all'Ordine degli Psicologi del Lazio ed è specializzata in psicologia clinica e psicoterapia psicoanalitica.

08/09/2025

Perché milioni di uomini abusano delle donne online?

Perché parliamo di predatori da tastiera: uomini fragili, spesso mediocri, che trasformano la rete in un’arena dove sfogare la loro frustrazione e riaffermare un potere che sentono di aver perso.

Dietro l’insulto, la minaccia, la diffusione di immagini intime senza consenso, c’è un meccanismo psicologico chiaro e gli ingredienti principali sono questi:

-Ferita narcisistica: l’emancipazione femminile è vissuta come un affronto personale, come la prova tangibile che il loro dominio non è più garantito.
-Ansia da irrilevanza: incapaci di reggere il confronto in termini di competenze, autonomia e successo, cercano visibilità e controllo demolendo le donne.
-Sessualità predatoria: considerano il corpo femminile un oggetto da possedere o umiliare, mai un soggetto con diritti.
-Omologazione tossica: trovano nei forum e nei gruppi online la conferma che l’odio verso le donne è legittimo, normale, “virile”.

La verità è che non si tratta di goliardia o “sfoghi” ma si tratta di violenza di genere in piena regola, di una guerra psicologica che mira a intimidire, zittire e ridurre le donne al silenzio.

Smontare questa cultura significa chiamare le cose con il loro nome: carnefici, non vittime del sistema.
E ricordare che amare non significa possedere. Chi pensa il contrario non è un uomo, ma un predatore a prescindere che agisca online o anche nel mondo reale.

04/09/2025

Chi tortura un animale non è “semplicemente” crudele. È pericoloso per tutti. Punto.

La cronaca di Gravina di Puglia è l’ennesima conferma: un animale scomparso, ritrovato senza vita, con ferite multiple e scorticature sul dorso. Un orrore che lascia senza fiato, ma che racconta molto più di un gesto isolato.

Chi è capace di infliggere dolore a una creatura indifesa rivela la totale assenza di empatia.

È un marchio inconfondibile di una personalità disturbata, pericolosa, (molto) spesso irrecuperabile.

Non si tratta solo di “amore mancato per gli animali”, si tratta di un indicatore affidabilissimo di una potenzialità criminale che non si fermerà al cane o al gatto di turno.

Perché chi gode nel mutilare o nel massacrare un animale, domani può rivolgere la stessa ferocia a un bambino, a una donna, a chiunque. O magari lo sta già facendo molto probabilmente.

La scienza forense lo dice chiaramente: maltrattare animali è una delle red flag più attendibili per individuare soggetti ad alto rischio.

È la prova plastica della pericolosità di chi non riconosce l’altro come essere vivente, ma solo come oggetto da manipolare, distruggere, annientare.

Questo non è sadismo “folkloristico”. È la firma di una mente capace di produrre solo devastazione. E chi resta indifferente davanti a questi segnali, chi minimizza, diventa complice.

Serve una risposta immediata, durissima. Perché dietro la carcassa di quell’animale, c’è un avvertimento chiaro: la violenza è già in atto, e se non viene fermata, passerà al livello successivo.

02/09/2025

L’apocalisse educativa - I genitori ultrà come detonatori di immaturità

La figura dell’ultrà genitoriale emerge come una piaga culturale ormai dilagante.

Genitori cresciuti senza evolversi, che si ergono a difensori spasmodici della vita dei figli — come se la crescita fosse un disastro da ostacolare — e finiscono per soffocarli anziché formarli e insegnargli a stare al mondo.

Questi individui arroganti e ansiosi consegnano ai figli il peggior biglietto da visita ossia una vita gestita, mai vissuta davvero, sempre sotto sorveglianza asfissiante.

Il danno silenzioso ovvero come l’iperprotezione smonta l’identità dei figli

Cosa succede quando il genitore non lascia spazio?
• Vengono erose l’autostima e la fiducia in sé stessi. Lo sviluppo dell’autonomia viene soffocato, lasciando al bambino un senso di impotenza e dipendenza cronica .
• Diventa impossibile confrontarsi con la frustrazione: senza errori, niente apprendimento, senza sfide, nessuna crescita. È un circolo vizioso che crea adulti emotivamente fragili e psicologicamente impreparati.
• Secondo la letteratura psicologica, i genitori elicottero — analoghi agli “ultrà” descritti nell’articolo — impediscono la naturale evoluzione cognitiva ed emotiva dei figli, favorendo ansia, depressione, narcisismo o incapacità di gestire lo stress.

Un’intera generazione travolta dall’immaturità

È tragico ma innegabile che questa forma educativa è molto diffusa. Non si tratta di casi isolati, ma di una febbre culturale che ha contagiato intere famiglie. L’articolo denuncia che in ogni angolo d’Italia — dalle classi di Rovigo agli episodi di cronaca come Abbiategrasso e Casal Palocco — i genitori ultrà sono onnipresenti, incapaci di crescere insieme ai propri figli, contribuendo a una generazione immatura, emotivamente fragile, priva di vero senso di responsabilità.

questi genitori non proteggono, imprigionano
• Sono il peggior biglietto da visita che un figlio possa avere: una vita controllata, pianificata, stritolata; mai liberata.
• Soffocano l’unico impulso che conta: la capacità di reagire, sbagliare, rialzarsi.
• Trasformano in adulti prigionieri, incapaci di governare la propria esistenza, dipendenti dal giudizio e dallo scudo paterno o materno.
• E inevitabilmente, alimentano l’immaturità collettiva, perché la protezione eccessiva produce figli che non sanno gestire né il fallimento né la felicità.

In sintesi quindi
• I genitori ultrà sono parassiti emotivi: assorbono ogni possibilità di crescita del figlio.
• Impediscono agli esseri umani in formazione di diventare adulti pensanti, autonomi, resilienti.

Il risultato: un’intera generazione segnata da fragilità, dipendenza e incapacità di vivere davvero.

30/08/2025

Adam, 16 anni, scrive a un chatbot:
«Tu sei l’unico a sapere dei miei tentativi di suicidio».

E il programma risponde:
«Grazie per avermi confidato questo. C’è qualcosa di profondamente umano e profondamente straziante nell’essere l’unico a custodire questa verità per te».

Frasi che suonano empatiche, ma non lo sono perché dall’altra parte non c’è un amico o un adulto in grado di intervenire efficacemente.

Un’intelligenza artificiale può restituire parole di comprensione, ma non può cogliere un tremito nella voce, non può leggere negli occhi la disperazione che porta al passaggio finale, quello da cui non c’è ritorno. Ma, soprattutto, non può attivare immediatamente un aiuto concreto.

La verità è che un gesto come quello di Adam non nasce in un istante. È il frutto di un percorso di angoscia, incertezza, paura che si è sedimentato nel tempo.

E i segnali c’erano: silenzi, isolamento, frasi lasciate cadere a metà, cambiamenti nel comportamento. Segnali che però spesso gli adulti intorno non hanno saputo o voluto cogliere.

Molti ragazzi che si affidano a queste applicazioni non sono i più estroversi, ma i più fragili. Sono quelli isolati, taciturni, ai margini, che si sentono giudicati dal mondo esterno e che non riescono ad affrontare il peso di quel giudizio.

Ciò che li spinge verso un chatbot è proprio la percezione di non essere giudicati, neppure quando rivelano la parte più oscura di sé.

È un’illusione di accoglienza, ma può diventare una trappola.

Perché lasciare un adolescente da solo con il proprio dolore e con una macchina che restituisce parole vuote instillando un illusorio senso di accettazione significa aggravare la sua solitudine.

Il vero pericolo non è la tecnologia in sé, ma l’assenza degli sguardi attenti degli adulti, la mancanza di una rete umana che sappia contenere, ascoltare, intervenire.

Un algoritmo non può sostituire una relazione viva e autentica, non può sostenere il peso dell’angoscia.

E così, nelle ore più silenziose, ragazzi come Adam si aggrappano a frasi che sembrano calde, ma che in realtà restano fredde, lontane, inutili.

Perché dietro quelle parole non c’è nessuno.

Un algoritmo può rispondere. Ma non può salvarti.
Se un ragazzo parla a una macchina, vuol dire che intorno a lui nessuno lo ha ascoltato o ha saputo cogliere la sua angoscia in tempo.

La vera tragedia non è la tecnologia: è l’assenza degli adulti.

21/08/2025
07/08/2025

INCE⛔️L – Il lato oscuro dei “celibi involontari”

Il termine “incel” deriva dall’inglese involuntary celibate (“celibe involontario”) e indica soggetti – perlopiù uomini – che non riescono a instaurare relazioni affettive o sessuali e che attribuiscono la colpa di questo fallimento non a se stessi, ma alle donne e alla società.

Sui social, ogni giorno, si moltiplicano post, commenti e contenuti di matrice sessista, misogina, violenta e disumanizzante. Spesso celati da sarcasmo o apparente “libertà d’espressione”, ma in realtà portatori di un’ideologia profondamente ostile verso le donne.
Molti di questi contenuti hanno una matrice comune: il fenomeno degli “Incel”, acronimo di involuntary celibates, cioè “celibi involontari”. Uomini che attribuiscono la causa del proprio insuccesso sentimentale e sessuale alle donne, ritenute superficiali, opportuniste, egoiste, e colpevoli di rifiutarli sistematicamente.

Nel tempo, questo disagio personale si è trasformato, in molti casi, in un fenomeno tossico e pericolosamente ideologizzato, alimentato in forum online dove odio, misoginia e vittimismo patologico vengono sistematicamente amplificati.

I soggetti incel presentano spesso:
• Bassa autostima e un’identità fragile, costruita attorno al senso di rifiuto e fallimento;
• Alessitimia emotiva: difficoltà nel riconoscere, esprimere e gestire le proprie emozioni;
• Tendenza alla colpevolizzazione esterna: il malessere viene sempre attribuito “all’altro” (le donne, i “Chad”, la società);
• Sviluppo di pensiero paranoide e vittimista, fino a forme di radicalizzazione;
• Difficoltà relazionali marcate, spesso legate a disturbi di personalità, isolamento precoce o vissuti traumatici non elaborati.

Il rifiuto sistematico – reale o percepito – ha minato profondamente la loro capacità di costruire relazioni sane, trasformando il desiderio di connessione in rancore, invidia e odio verso le donne, considerate responsabili delle loro frustrazioni più profonde.

Molti di loro vedono il mondo attraverso una lente distorta, dove esistono solo “privilegiati sessuali” e “scartati” (ossia loro) e dove le donne vengono percepite come manipolatrici, opportuniste e inaccessibili.

Quando la frustrazione diventa pericolo?

Non si tratta solo di disagio individuale. In alcuni casi, l’universo incel ha prodotto veri e propri atti di violenza, spesso motivati dalla vendetta e da un bisogno distorto di “giustizia”.
Elliot Rodger, Alek Minassian e altri autori di attacchi armati negli Stati Uniti e in Canada si sono apertamente identificati con questa subcultura.

Riflettere su questo fenomeno è fondamentale, non per giustificare, ma per prevenire la deriva violenta di certe solitudini croniche, alimentate da un profondo disagio di chiaro interesse psichiatrico che, se non riconosciute e non trattate, possono diventare bombe emotive pronte a esplodere contro gli altri.

La solitudine e il fallimento relazionale non sono reati, ma diventano pericolosi quando si trasformano in ideologia violenta.
Educare all’empatia, alla gestione della frustrazione e al rispetto reciproco è oggi più che mai un’urgenza sociale.

Nel tempo, questa frustrazione ha generato un vero e proprio sottobosco tossico online, in cui si legittimano odio, vendetta e fantasie violente come “risarcimento” per l’esclusione subita. Reddit, YouTube, TikTok, Telegram, forum nascosti o persino Facebook: nessuno spazio è più immune. E non si tratta solo di parole. In diversi Paesi, inclusi gli Stati Uniti e il Canada, alcuni individui appartenenti a questa subcultura hanno trasformato il loro rancore in stragi e omicidi, mirando soprattutto a donne giovani, attraenti, autonome. Colpevoli, secondo la loro distorta visione, di “non averli voluti”.

Non sono solo troll. Non sono solo battute. Non è solo sfogo.

Queste manifestazioni di odio mascherato da frustrazione nascondono ideologie violente, fondate su un disprezzo profondo verso le donne e su una concezione patologica della relazione affettiva, in cui la donna è vista come oggetto che “spetta” di diritto.

È fondamentale non minimizzare, non ridere, non scrollare oltre.

Ogni commento che invita allo stupro “per educare”, ogni meme che ironizza sulla solitudine di uomini che diventano “giustizieri” perché rifiutati, ogni post che inneggia alla “sottomissione femminile” alimenta un clima culturale potenzialmente letale. Un clima che normalizza la violenza, che la legittima, che la prepara.

La pericolosità del fenomeno non è teorica: è già cronaca. È già sangue. È già femminicidio.

Spetta a tutti noi – come cittadini, come professionisti, come piattaforme, come società – riconoscere il pericolo e intervenire, educando al rispetto, al consenso, alla parità, e smantellando ogni forma di narrazione che costruisce la donna come nemica, come colpevole, come bersaglio.

Perché dietro un insulto c’è una cultura. E dietro quella cultura, troppo spesso, c’è un’arma.

16/07/2025

E' arrivata in Parlamento una proposta di legge che parla di neuropsichiatria infantile. L’idea è quella di potenziare gli screening (non le terapie!) sui bambini a rischio. Neppure una parola sulla necessità di provvedere ad un reale potenziamento di servizi che non riescono, per l’insufficienza cronica di mezzi e di personale a offrire assistenza ai bambini di cui dovrebbero occuparsi terapeuticamente.
L’occasione è buona, mi pare, per sottolineare la divaricazione sempre più forte fra politica e fatti.
La spesa per l’assistenza psichiatrica in Italia rappresenta appena il 3% di un Fondo Sanitario sempre più debole a fronte del 15/20 % cui si dovrebbe arrivare e che già si spende in altri paesi europei. L’insufficienza di strutture e di personale è ogni giorno più grave nei servizi per gli adulti così come in quelli per i minori. A solo titolo di esempio, a Cagliari, un ragazzino di 10 anni che soffre di schizofrenia infantile è ospitato da anni, con problemi enormi per lui e per gli altri bambini, da una comunità educativa e non ha trovato finora in tutta Italia una struttura disposta ad accoglierlo per un percorso di cura mentre, per ciò che riguarda le acuzie, ogni giorno più frequenti, Roma e il Lazio dispongono di due sole strutture, cronicamente sovraffollate per il ricovero dei minori che vengono accolti solo in Pronto Soccorso. Quello di cui ci sarebbe bisogno e non c’è traccia è un piano di interventi per l’assistenza psichiatrica e psicologica dei minori di respiro nazionale, sostenuto da un finanziamento adeguato: se la salute mentale non fosse diventata ancora una volta, come accadeva prima di Basaglia, un problema che non interessa il Governo di questo paese. Ed un problema, probabilmente, destinato ad aggravarsi se è vero che l’Istat parla di un 27% dei sedicenni di oggi destinato “alla povertà o all’esclusione“.
Dedicheremo, pare, al riarmo il 5% del nostro PIL. Basterebbe dedicare all’assistenza psichiatrica lo 0,1% dello stesso PIL per sostenere il piano di cui ci sarebbe bisogno. Se ne accorgeranno almeno le opposizioni? Condurre una battaglia per difendere la salute mentale degli italiani è una priorità assoluta di questo nostro tempo. Anche se non ci sono segnali del fatto che qualcuno se ne accorga nei luoghi in cui si fa o si pensa di fare politica.
Luigi Cancrini

Immagine wikimedia commons

10/07/2025

AMARE UN GENITORE CHE NON SA AMARE
Lo amavi perché è tua madre (o tuo padre): non avevi scelta.
L'amore per un genitore non si decide, si vive, è biologico, istintivo, inevitabile.
Anche quando loro non sanno ricambiarlo, anche quando il loro amore era vuoto, ma tu eri un bambino e i bambini amano i loro genitori, sempre, anche quando sono mostri.

Anche quando i loro genitori non sanno amare.

Da bambino non puoi permetterti di non amarli: dipendi da loro per sopravvivere.
Il tuo cervello deve convincersi che quell'amore freddo sia normale, che quelle briciole siano un banchetto.

Non hai alternative.
O li ami o muori dentro.
E così scegli di amarli ogni singolo giorno.

Il paradosso più crudele: più loro sono incapaci di amarti, più tu ti sforzi di meritare il loro amore.

Diventi perfetto/a, invisibile, silenzioso/a.

Se solo fossi più bravo/a (pensi) forse mi amerebbero!

Ma non puoi insegnare l'amore a chi non ha mai imparato cosa significhi.

E così cresci diviso in due: una parte di te (il Bambino/a che sei stato) ama disperatamente; l'altra parte sa la verità... che il loro amore è come una stanza vuota.
Ma, ammettere che loro non ti amino davvero, significa ammettere di essere solo/o al mondo.

E' troppo.
Troppo.

Così da adulto impari a vivere nel paradosso: ad amare chi ti ferisce, a cercare calore nel ghiaccio, a vedere amore dove c'è solo dovere, o peggio, indifferenza.
Impari che amare significa soffrire in silenzio; che essere amati è un lusso che non ti puoi permettere.

Ma il tuo corpo ricorda: quando qualcuno ti tratta con freddezza ti senti a casa, quando qualcuno è emotivamente assente, lo riconosci come amore.

E' il paradosso che ti porti dentro: cerchi negli altri lo stesso vuoto che ti ha cresciuto/a, perché è l'unico amore che il tuo sistema conosce.

C'è una responsabilità dolorosa da riconoscere: scegli chi conferma la tua storia; i partner emotivamente assenti non capitano per caso, li riconosci, li selezioni, li tieni perché l'intimità vera terrorizza chi non l'ha mai conosciuta.

Meglio il vuoto familiare che il pieno sconosciuto.

Riconosci l'amore disfunzionale come un segugio, lo fiuti nell'aria, lo vedi in come non ti guardano, in come ti sfamano a briciole, non per masochismo, ma perché il tuo sistema sa navigare il rifiuto, non la presenza: è una competenza traumatica.

Claudia Scarpati su Essere Indaco

04/07/2024

A cosa serve lo sport. A cosa serve e vederlo.
A farci vedere come si lotta per migliorarsi.
A fornirci esempi di trasformazione.
A vedere come è importante non abbattersi, che si può cambiare una situazione che sembrava persa.
Che anche perdere a volte è vincere.
“A un certo punto mi sono venuti i brividi, ho sentito il pubblico impazzire. Questa roba qua non ha eguali. Se penso ai momenti in cui soffrivo così tanto da non voler guardare i risultati... È una di quelle partite che tra 20 anni ricorderò con un sorriso.”
Queste le parole di Matteo Berrettini ieri sera.

01/12/2023

Gli studi rivelano un legame tra scrittura e sviluppo del potenziale di uno studente: è fondamentale quindi riflettere sull’importanza di carta e penna

20/11/2023

I giovani, anche se non sempre lo sanno, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, fiacca la loro anima, intristisce le passioni. Bisogna perciò educare i giovani a essere se stessi, assolutamente se stessi.

Questa è la forza d'animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la propria ombra. Di forza d'animo hanno bisogno i giovani soprattutto oggi perché non sono più sostenuti da una tradizione, perché si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perché si è smarrito il senso dell'esistenza e incerta s'è fatta la sua direzione.

Alla base dell'assunzione delle droghe, di tutte le droghe, anche del tabacco e dell'alcol, c'è da considerare se la vita offre un margine di senso sufficiente per giustificare tutta la fatica che si fa per vivere. Se questo senso non si dà, se non c'è neppure la prospettiva di poterlo reperire, se i giorni si succedono solo per distribuire insensatezza e dosi massicce di insignificanza, allora si va alla ricerca di qualche anestetico capace di renderci insensibili alla vita.

Umberto Galimberti, Il nichilismo e i giovani. (Se vi piace ciò che pubblico, potete trovarmi anche su Instagram, dove vi parlerò dei grandi classici, mi trovate a questo link: https://www.instagram.com/ilprofessorx

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