07/08/2025
INCE⛔️L – Il lato oscuro dei “celibi involontari”
Il termine “incel” deriva dall’inglese involuntary celibate (“celibe involontario”) e indica soggetti – perlopiù uomini – che non riescono a instaurare relazioni affettive o sessuali e che attribuiscono la colpa di questo fallimento non a se stessi, ma alle donne e alla società.
Sui social, ogni giorno, si moltiplicano post, commenti e contenuti di matrice sessista, misogina, violenta e disumanizzante. Spesso celati da sarcasmo o apparente “libertà d’espressione”, ma in realtà portatori di un’ideologia profondamente ostile verso le donne.
Molti di questi contenuti hanno una matrice comune: il fenomeno degli “Incel”, acronimo di involuntary celibates, cioè “celibi involontari”. Uomini che attribuiscono la causa del proprio insuccesso sentimentale e sessuale alle donne, ritenute superficiali, opportuniste, egoiste, e colpevoli di rifiutarli sistematicamente.
Nel tempo, questo disagio personale si è trasformato, in molti casi, in un fenomeno tossico e pericolosamente ideologizzato, alimentato in forum online dove odio, misoginia e vittimismo patologico vengono sistematicamente amplificati.
I soggetti incel presentano spesso:
• Bassa autostima e un’identità fragile, costruita attorno al senso di rifiuto e fallimento;
• Alessitimia emotiva: difficoltà nel riconoscere, esprimere e gestire le proprie emozioni;
• Tendenza alla colpevolizzazione esterna: il malessere viene sempre attribuito “all’altro” (le donne, i “Chad”, la società);
• Sviluppo di pensiero paranoide e vittimista, fino a forme di radicalizzazione;
• Difficoltà relazionali marcate, spesso legate a disturbi di personalità, isolamento precoce o vissuti traumatici non elaborati.
Il rifiuto sistematico – reale o percepito – ha minato profondamente la loro capacità di costruire relazioni sane, trasformando il desiderio di connessione in rancore, invidia e odio verso le donne, considerate responsabili delle loro frustrazioni più profonde.
Molti di loro vedono il mondo attraverso una lente distorta, dove esistono solo “privilegiati sessuali” e “scartati” (ossia loro) e dove le donne vengono percepite come manipolatrici, opportuniste e inaccessibili.
Quando la frustrazione diventa pericolo?
Non si tratta solo di disagio individuale. In alcuni casi, l’universo incel ha prodotto veri e propri atti di violenza, spesso motivati dalla vendetta e da un bisogno distorto di “giustizia”.
Elliot Rodger, Alek Minassian e altri autori di attacchi armati negli Stati Uniti e in Canada si sono apertamente identificati con questa subcultura.
Riflettere su questo fenomeno è fondamentale, non per giustificare, ma per prevenire la deriva violenta di certe solitudini croniche, alimentate da un profondo disagio di chiaro interesse psichiatrico che, se non riconosciute e non trattate, possono diventare bombe emotive pronte a esplodere contro gli altri.
La solitudine e il fallimento relazionale non sono reati, ma diventano pericolosi quando si trasformano in ideologia violenta.
Educare all’empatia, alla gestione della frustrazione e al rispetto reciproco è oggi più che mai un’urgenza sociale.
Nel tempo, questa frustrazione ha generato un vero e proprio sottobosco tossico online, in cui si legittimano odio, vendetta e fantasie violente come “risarcimento” per l’esclusione subita. Reddit, YouTube, TikTok, Telegram, forum nascosti o persino Facebook: nessuno spazio è più immune. E non si tratta solo di parole. In diversi Paesi, inclusi gli Stati Uniti e il Canada, alcuni individui appartenenti a questa subcultura hanno trasformato il loro rancore in stragi e omicidi, mirando soprattutto a donne giovani, attraenti, autonome. Colpevoli, secondo la loro distorta visione, di “non averli voluti”.
Non sono solo troll. Non sono solo battute. Non è solo sfogo.
Queste manifestazioni di odio mascherato da frustrazione nascondono ideologie violente, fondate su un disprezzo profondo verso le donne e su una concezione patologica della relazione affettiva, in cui la donna è vista come oggetto che “spetta” di diritto.
È fondamentale non minimizzare, non ridere, non scrollare oltre.
Ogni commento che invita allo stupro “per educare”, ogni meme che ironizza sulla solitudine di uomini che diventano “giustizieri” perché rifiutati, ogni post che inneggia alla “sottomissione femminile” alimenta un clima culturale potenzialmente letale. Un clima che normalizza la violenza, che la legittima, che la prepara.
La pericolosità del fenomeno non è teorica: è già cronaca. È già sangue. È già femminicidio.
Spetta a tutti noi – come cittadini, come professionisti, come piattaforme, come società – riconoscere il pericolo e intervenire, educando al rispetto, al consenso, alla parità, e smantellando ogni forma di narrazione che costruisce la donna come nemica, come colpevole, come bersaglio.
Perché dietro un insulto c’è una cultura. E dietro quella cultura, troppo spesso, c’è un’arma.