Percorso Psiche

Percorso Psiche studio di psicoterapia individuale, di coppia e famigliare ad orientamento sistemico relazionale.

16/11/2025

QUANDO IL CORPO EREDITA LA MEMORIA DEL DOLORE

Oggi voglio parlarvi dell'epigenetic trauma, o biologia dello stress ereditato. È un campo di ricerca che sta rivoluzionando il modo in cui comprendiamo il trauma e la malattia cronica, perché ci dice una cosa tanto sorprendente quanto sconvolgente... il dolore non si eredita solo nei ricordi, ma anche nei geni.

Mentre in Italia tendiamo ancora a relegare il trauma all’ambito della psicologia, come se fosse solo una questione di mente, emozioni o memoria, la medicina epigenetica ci mostra che il trauma è, prima di tutto, una forma di informazione biologica. Una memoria che si trasmette da una generazione all’altra non attraverso le parole, ma attraverso le modifiche chimiche del DNA, che cambiano il modo in cui i nostri geni si esprimono.

La parola epigenetica viene dal greco epi, che significa sopra. È tutto ciò che sta sopra il gene... non cambia la sequenza del DNA, ma decide come e quando quel gene viene acceso o spento.

Immagina il DNA come un grande pianoforte, i geni sono i tasti, e l’epigenetica è il pianista (so che detto così riesci a comprenderlo meglio). Puoi avere un pianoforte perfetto, ma se il pianista suona in modo dissonante, la musica cambia completamente. Non cambia il DNA, non riscrive il codice della vita, ma cambia il modo in cui quel codice viene espresso. È come se la partitura fosse la stessa, ma l’intonazione, il ritmo e l’intensità con cui viene suonata fossero alterati.

Un gene può restare identico, ma il trauma modifica quanto quel gene viene ascoltato dal corpo. Può far sì che un gene dell’infiammazione si accenda troppo spesso, o che un gene calmante resti silenziato. In pratica, non cambia il contenuto, cambia l’interpretazione biologica della vita.

Ecco perché due persone con lo stesso DNA possono reagire in modo completamente diverso... una rimane stabile, l’altra si ammala. La differenza non sta nel gene, ma nel modo in cui il vissuto ha insegnato al corpo a leggere quei geni. Il trauma, quindi, non cambia chi siamo, cambia come ci esprimiamo a livello cellulare.

Attraverso processi come la metilazione del DNA, l’acetilazione degli istoni e la regolazione dei microRNA, lo stress e l’ambiente emotivo in cui cresciamo modificano l’attività dei geni che controllano l’infiammazione, il sistema immunitario, gli ormoni dello stress e la plasticità neuronale.

Studi hanno osservato, per esempio, che i figli e i nipoti dei sopravvissuti all’0Iocausto presentano alterazioni nei geni che regolano il cortisolo e la risposta allo stress, hanno livelli più bassi di cortisolo mattutino e una maggiore vulnerabilità a disturbi d’ansia, depressione e malattie autoimmuni.

Lo stesso è stato visto nei figli delle donne incinte durante l’11 settembre, nei discendenti di veterani di guerra, di popolazioni schiavlzzate, o di madri esposte a carestie. Ogni volta che il corpo di una generazione vive un trauma intenso, gue*ra, abus0, perdita, fame, abbandono, l’ambiente biochimico del corpo cambia, e quella firma rimane impressa sull’epigenoma.

È come se il corpo dicesse ai figli: “Nel mondo là fuori non sei al sicuro. Preparati.” E così il loro sistema nervoso nasce già più allerta, più reattivo, più infiammabile.

Quando viviamo un trauma, il corpo produce ormoni dello stress (come cortisolo e adrenalina) e molecole infiammatorie che servono a farci sopravvivere. Ma se quello stato si prolunga, questi segnali diventano istruzioni epigenetiche.

Lo stress cronico modifica i geni che regolano i recettori del cortisolo, rendendoli meno sensibili, in pratica, il corpo resta sempre in modalità allarme. Allo stesso tempo altera i geni che governano citochine, mastociti, infiammazione intestinale, serotonina e dopamina. Il risultato è un corpo che vive costantemente in risposta al pericolo cellulare, con il sistema immunitario e nervoso in uno stato di iper-vigilanza.

Ecco perché alcuni bambini nascono già con ansia, insonnia, allergie, o una sensibilità eccessiva agli stimoli, non hanno vissuto un trauma diretto, ma portano dentro il linguaggio biologico del trauma dei genitori.

Una delle scoperte più affascinanti è che il trauma non si conserva come ricordo, ma come modifica dei sistemi di regolazione. Il corpo non dimentica, ma non sa neanche distinguere tra passato e presente... un suono, un odore, una parola o un tono di voce possono riattivare l’allarme perché, a livello cellulare, la minaccia non è mai finita.

Questo si riflette in:

- Infiammazione cronica di basso grado,

- Ipersensibilità agli stimoli,

- Disbiosi intestinale persistente,

- Difficoltà a regolare la glicemia e il sonno,

- Iperattività del sistema simpatico,

- ... e vulnerabilità a patologie autoimmuni e neurodegenerative.

In sostanza, il trauma epigenetico mantiene la risposta al pericolo cellulare (CDR - ne abbiamo parlato nei giorni scorsi) attiva anche quando il corpo non è più in pericolo. E questo spiega perché tanti percorsi terapeutici, farmacologici o alimentari non bastano da soli... non si tratta solo di curare, ma di resettare la percezione biologica di sicurezza.

La buona notizia è che l’epigenetica è reversibile. Quello che viene trasmesso può essere riscritto. Gli stessi meccanismi che fissano il trauma possono anche disattivarlo:

- Un ambiente sicuro,

- Relazioni affettive stabili,

- Sonno regolare,

- Nutrizione antiinfiammatoria,

- Esposizione alla natura e alla luce solare,

- Pratiche di consapevolezza e coerenza cuore-cervello.

Ogni esperienza che riduce lo stress e riporta il corpo in modalità parasimpatica modifica la metilazione del DNA, riattivando geni di guarigione, rigenerazione e stabilità emotiva.

Molte persone, quando sentono parlare di trauma ereditato, reagiscono con paura e pensano di portare dentro di loro qualcosa che non possono cambiare. Assolutamente no. Non erediti il trauma... erediti la predisposizione biologica a reagire come se il pericolo fosse ancora presente. Ma la buona notizia è che tutto ciò che si è impresso sull’epigenoma può essere ricalibrato.

Ogni volta che respiri più lentamente, che ti concedi riposo, che nutri il corpo con cibo vero e con relazioni sane, stai scrivendo nuove informazioni sul tuo DNA. L’epigenetica non è destino... è dialogo continuo tra ciò che vivi e ciò che sei.

Il trauma epigenetico non si cura solo con la pslcoterapia, perché non vive solo nella psiche. È impresso nel corpo, nei recettori, nel microbiota, nei mastociti, nei mitocondri. Per questo, i percorsi più efficaci oggi integrano:

- Riprogrammazione limbica, per calmare il cervello emotivo;

- Terapie somatiche, per sciogliere la memoria corporea del trauma;

- Riequilibrio del sistema nervoso autonomo, con respiro, suono, movimento e grounding;

- ... e nutrizione mirata per sostenere metilazione, detossificazione e antiossidanti.

Ogni volta che il corpo percepisce sicurezza, rilascia il segnale biologico che il pericolo è finito. Ed è lì che la riparazione può iniziare.

Una delle aree più studiate è il legame tra trauma, microbiota e sistema immunitario. Lo stress prolungato modifica la flora intestinale, riduce la diversità microbica e aumenta la permeabilità della barriera intestinale. Questo fa sì che molecole infiammatorie entrino in circolo e arrivino al cervello, dove alterano la regolazione neuroendocrina.

In parole semplici... lo stress ereditato si trasforma in infiammazione ereditata. Un intestino infiammato manda al cervello segnali di allerta, e il cervello, a sua volta, amplifica la risposta immunitaria. È un dialogo circolare che si tramanda anche attraverso l’epigenetica.

Per questo molti approcci moderni alla guarigione dal trauma includono riparazione intestinale, regolazione vagale e modulazione immunitaria. La mente non si calma se il corpo è in fiamme. E il corpo non guarisce se la mente resta in guerra.

Guarire da un trauma epigenetico non significa cancellare la storia familiare, ma riscriverne la conclusione. Significa riconoscere che sì, il dolore dei nostri genitori vive anche in noi, ma non come condanna, ma come richiesta di consapevolezza.

Ogni volta che scegli la calma invece della reazione, che smetti di giudicare il corpo e inizi ad ascoltarlo, rompi la catena biologica dello stress. Ogni atto di cura verso te stesso cambia la chimica del sangue, l’attività dei geni e il destino delle generazioni future.

E forse questo è il vero significato di guarigione ancestrale, non un concetto mistico, ma una riscrittura epigenetica collettiva. Il trauma non è solo un ricordo. È un linguaggio che il corpo continua a parlare, finché qualcuno non lo ascolta. L’epigenetica ci mostra che la biologia e l’anima non sono mai state separate, ciò che senti, pensi e vivi ogni giorno lascia impronte misurabili nei tuoi geni.

E se il dolore si può trasmettere, anche la guarigione può farlo. Perché ogni volta che un essere umano smette di reagire e inizia a comprendere, cambia non solo se stesso, ma tutto il suo albero genealogico.

- Patrizia Coffaro

05/11/2025

Nacque a Pisa intorno al 1170, in un mondo che ancora contava con le dita e i sassolini.
Si chiamava Leonardo, ma la storia lo avrebbe ricordato come Fibonacci — abbreviazione di filius Bonacci, “figlio di Bonaccio”.
Suo padre era un mercante che lavorava per la Repubblica di Pisa, e lo mandò giovanissimo in Nord Africa per imparare l’arte dei numeri.
Fu lì, tra i contabili arabi e le rotte del Mediterraneo, che Leonardo vide qualcosa che in Europa nessuno ancora capiva: un sistema di numerazione semplice, logico, universale.
I numeri “indiani”, usati dai matematici arabi, avevano un simbolo rivoluzionario: lo zero.
Per gli europei del tempo, lo zero era quasi un’eresia — un “nulla” che però aveva valore.
Ma Fibonacci ne intuì la potenza.
Capì che con quei numeri si potevano fare calcoli in modo rapido, preciso, accessibile.
Non servivano più abachi, pietre o tabelle. Bastava la mente.
Tornato in Italia, nel 1202 scrisse il Liber Abaci — “Il libro dell’abaco” — un’opera che avrebbe cambiato il modo di contare, commerciare e pensare.
Spiegava come usare i numeri arabi, come sommare, sottrarre, moltiplicare.
Ma non era solo un manuale: era una visione.
Mostrava ai mercanti come convertire valute, calcolare interessi, gestire profitti e perdite.
Era la nascita della matematica applicata all’economia.
E in una sezione del libro, quasi come un gioco, presentò una sequenza che sarebbe diventata immortale:
1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21…
ogni numero è la somma dei due precedenti.
La successione di Fibonacci.
Non poteva sapere che, secoli dopo, quella serie sarebbe riemersa ovunque:
nella spirale di una conchiglia, nella disposizione dei semi di un girasole, nel battito del cuore, nella crescita delle galassie.
La matematica, capì Fibonacci, non era un’invenzione: era la lingua segreta della natura.
Morì a Pisa, probabilmente intorno al 1240, senza sapere quanto profonda fosse stata la sua impronta.
Ma dal suo pensiero nacquero i numeri che usiamo ogni giorno, i bilanci delle banche, gli algoritmi dei computer, le formule della vita stessa.
Leonardo Fibonacci non costruì cattedrali, non guidò eserciti, non scrisse poemi.
Eppure, senza di lui, il mondo moderno non saprebbe contare, né calcolare, né forse comprendere se stesso.
Dalla mente di un mercante curioso nacque un ponte invisibile tra il Medioevo e la scienza.
E dentro quello zero — un cerchio vuoto, apparentemente senza valore — Fibonacci aveva già visto l’infinito.

Viaggio nella Storia

𝐿𝑒𝑜𝑛𝑎𝑟𝑑𝑜 𝑑𝑎 𝑃𝑖𝑠𝑎, 𝑑𝑒𝑡𝑡𝑜 𝐹𝑖𝑏𝑜𝑛𝑎𝑐𝑐𝑖, 𝑓𝑢 𝑖𝑙 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑜 𝑎 𝑖𝑛𝑡𝑟𝑜𝑑𝑢𝑟𝑟𝑒 𝑖 𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑖 𝑖𝑛𝑑𝑜-𝑎𝑟𝑎𝑏𝑖 𝑖𝑛 𝐸𝑢𝑟𝑜𝑝𝑎. 𝐼𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝐿𝑖𝑏𝑒𝑟 𝐴𝑏𝑎𝑐𝑖 (1202) 𝑟𝑖𝑣𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑜̀ 𝑖𝑙 𝑚𝑜𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑒 𝑓𝑎𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑚𝑚𝑒𝑟𝑐𝑖𝑜.

𝑁𝑒𝑙𝑙'𝑖𝑚𝑚𝑎𝑔𝑖𝑛𝑒: 𝑟𝑎𝑓𝑓𝑖𝑔𝑢𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑟𝑡𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑒𝑚𝑝𝑜𝑟𝑎𝑛𝑒𝑎 𝑑𝑖 𝐹𝑖𝑏𝑜𝑛𝑎𝑐𝑐𝑖.

02/11/2025

Il cervello si riscrive ogni volta che impari qualcosa di nuovo. Questo fenomeno si chiama plasticità cerebrale ed è un principio neuroscientifico ormai consolidato.

Le neuroscienze mostrano come questa capacità non sia limitata all'infanzia, ma persista per tutta la vita, modellando continuamente i circuiti neurali. Ogni esperienza, anche la più piccola, come imparare una parola o ascoltare una melodia, genera nuove sinapsi e connessioni tra neuroni.

La memoria non è un archivio immobile. Nei ricordi, i percorsi più utilizzati diventano come autostrade cerebrali, mentre quelli trascurati si indeboliscono e possono scomparire. Questa dinamica è al centro dell'adattamento mentale.

Non servono solo stimoli esterni: immaginazione, pensiero astratto e sogni a occhi aperti modificano anch'essi le mappe mentali. È una macchina in continuo cambiamento.

Il concetto rivoluzionario che ne deriva è che la mente non è statica, ma un’opera in evoluzione. Persino in età adulta o anziana, il cervello può creare percorsi alternativi intorno a lesioni o degenerazioni, recuperando funzioni anche dopo gravi malattie.

Questi dati, confermati da studi neuroscientifici (come indicato nel riferimento [3]), cambiano la nostra visione del cervello da struttura rigida a rete dinamica e fluida.

Ogni pensiero e ogni esperienza plasmano la tua mappa mentale. Il cervello di oggi è diverso da quello di ieri, e continuerà a trasformarsi. Una macchina evolutiva e creativa, inarrestabile fino all'ultimo respiro.

💁‍♂️ Quel che non sapevi, in breve
👉 Il cervello si rimappa in ogni fase della vita
👉 Immaginazione e sogni modificano le mappe mentali
👉 Il recupero dopo traumi è possibile grazie alla plasticità

02/11/2025

Potenza della Fragilità
Luca Pani

Ci hanno insegnato a temere le crepe, a nascondere le incrinature, a lucidare ogni superficie della nostra esistenza perché appaia intatta. Ma la vera forza non è nella perfezione. È nella frattura che non crolla, nel bordo che resiste, nell’anima che trema eppure non si spegne. C’è una potenza misteriosa nella fragilità: quella che non si mostra per conquistare, ma per rimanere.
Siamo fatti di vetro soffiato: trasparente, delicato, ma capace di rifrangere la luce come nient’altro. La fragilità non è un difetto: è una modalità di esistenza che impone attenzione, che richiede presenza. Chi è fragile sa ascoltare gli scricchiolii prima che diventino crollo. Sa misurare il peso delle parole, intuire l’onda prima che infranga.
In un mondo che applaude il rumore e idolatra l’invulnerabilità, la fragilità potente è rivoluzionaria. Non si tratta di soccombere, ma di accogliere i propri limiti come parte integrante della propria forma. È il contrario dell’arroganza, è l’umiltà del corpo e del cuore che conoscono la loro misura e, proprio per questo, possono espandersi.
Non si tratta di romanticizzare il dolore, ma di riconoscere che in certi giorni è già eroico respirare. È una scelta precisa quella di non indurirsi, di non trasformarsi in pietra pur di non sentire.
Siamo fatti di vetro soffiato: trasparenti, delicati, ma capaci di rifrangere la luce come nient’altro. La fragilità non è un difetto: è una modalità di esistenza che impone attenzione, che richiede presenza. Chi è fragile sa ascoltare gli scricchiolii prima che diventino crollo. Sa misurare il peso delle parole, intuire l’onda prima che infranga.

📷 Manshen Lo

29/10/2025

👨‍👧‍👦 PADRI SEPARATI: UNO SPAZIO PER RIPARTIRE INSIEME
Il Consultorio Familiare Diocesano “Al Quadraro” propone un ciclo di incontri rivolto a padri in situazione di divorzio o separazione, per affrontare insieme un passaggio complesso e delicato.

Un team di esperti in terapia familiare guiderà i partecipanti per:
✔️ elaborare la sofferenza della separazione
✔️ migliorare la comunicazione con l’ex coniuge
✔️ rinforzare il proprio ruolo genitoriale

📍 Dove?
Consultorio Familiare Diocesano “Al Quadraro”
Via Tuscolana 619, Roma

📞 Per informazioni e iscrizioni:
06 7690 6620 | segreteria@consultorioquadraro.it

18/10/2025

Le neuroscienze mostrano che scrivere a mano non è solo un modo per registrare informazioni.

È un modo per trasformare il modo in cui il cervello le elabora.

Quando scriviamo a mano, attiviamo contemporaneamente aree motorie, sensoriali e linguistiche, forgiando connessioni neurali più solide nell’ippocampo e nei lobi frontali — le regioni chiave della memoria e del linguaggio.
Ogni lettera tracciata è un piccolo allenamento cognitivo.

🔹 A differenza della digitazione, che può diventare automatica e superficiale, la scrittura a mano richiede una costante integrazione tra movimento, visione e pensiero.
Questo processo più lento e deliberato rafforza la codifica delle informazioni, facendole rimanere impresse più a lungo e in modo più profondo.

🔹 Gli studi confermano che gli studenti che scrivono a mano ricordano meglio e comprendono più a fondo rispetto a chi digita i propri appunti parola per parola.
(Mueller & Oppenheimer, Psychological Science, 2014)

🔹 Ma c’è di più: la scrittura a mano stimola la creatività e la concentrazione.
Perché costringe il cervello a filtrare, selezionare e riformulare le idee.
Questo sforzo cognitivo aggiuntivo migliora la comprensione, il pensiero critico e favorisce connessioni mentali più originali.

In un’epoca dominata dagli schermi, scrivere a mano diventa un modo concreto per allenare l’attenzione, consolidare la memoria e sviluppare un pensiero più flessibile.

📖 Ogni parola scritta non è solo un segno sulla carta.
È un’impronta nella mente.

👉 Seguimi per nuovi contenuti sulle potenzialità della tua mete!
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📄 Fonti
1️⃣ Mangen, A. & Velay, J. (2010). The importance of handwriting for learning and cognition. Trends in Neuroscience and Education.
2️⃣ Mueller, P. A. & Oppenheimer, D. M. (2014). The Pen Is Mightier Than the Keyboard. Psychological Science, 25(6):1159–1168.
3️⃣ Askvik, E., Van der Weel, F. R., & van der Meer, A. L. (2020). The importance of cursive handwriting for brain activation. Frontiers in Psychology.

11/10/2025

IL TUO SISTEMA IMMUNITARIO PUÒ INVECCHIARE PRIMA DI TE

Hai mai avuto la sensazione che qualcosa dentro di te si stia spegnendo lentamente, senza un motivo chiaro?

Ti svegli già stanca, recuperi con più fatica dopo un banale raffreddore, i muscoli ci mettono giorni a riprendersi da uno sforzo minimo, e a volte ti chiedi: “Ma com’è possibile? Fino a qualche anno fa, bastava una notte di sonno per sentirmi in forma…”

La risposta che spesso riceviamo è brutale nella sua banalità: "È l'età."

Ma se ti dicessi che non è (solo) colpa dell’invecchiamento? Che quello che stai vivendo non è inevitabile, né tantomeno irreversibile?

E che il vero “colpevole” potrebbe essere un sistema immunitario che sta invecchiando più velocemente del resto del corpo?

Sì, hai letto bene. Il sistema immunitario può “invecchiare” prima di te. E quando questo succede, comincia una lenta spirale discendente che assomiglia molto all’invecchiamento generale, ma non lo è affatto.

Ecco perché oggi voglio parlarti di un concetto rivoluzionario... l’Immunità Allenata.

L’invecchiamento non inizia con le rughe, ma con l’immunosenescenza

C’è un’idea sbagliata, radicata e fuorviante, secondo cui l’invecchiamento sia semplicemente una questione di “tempo che passa”. Ma la biologia ci racconta un’altra storia.

Il sistema immunitario, che dovrebbe proteggerci da infezioni, virus, infiammazione e persino tum0ri, comincia a perdere colpi già tra i 30 e i 40 anni. In silenzio. Senza campanelli d’allarme.

Questo processo ha un nome complicato ma un impatto molto semplice: Immunosenescenza.

È la lenta ma progressiva perdita di efficacia del sistema immunitario. Significa che reagisce meno bene agli stimoli. Che produce più infiammazione di basso grado. Che guarisce con più lentezza. Che lascia entrare nel corpo ciò che prima bloccava.

E così, quello che chiamiamo “invecchiamento normale”, la stanchezza cronica, le infezioni ricorrenti, il recupero lento, la perdita di energia vitale, è spesso il sintomo di un sistema immunitario in declino.

Poi, abbiamo il paradosso dell’immunità: troppo debole, ma anche troppo accesa.

L’ironia? Un sistema immunitario che invecchia non è solo pigro. È anche disorientato.

Spesso diventa iper-reattivo, si accende anche quando non dovrebbe, e finisce per attaccare i nostri stessi tessuti. È da qui che nasce il legame diretto tra immunosenescenza e malattie autoimmuni, stanchezza cronica, allergie tardive, e persino depressione infiammatoria.

In pratica... il tuo sistema immunitario è come una squadra di pompieri anziani e confusi. Non rispondono più bene alle vere emergenze, ma suonano l’allarme anche quando qualcuno accende una candela.

Risultato? Infiammazione cronica, consumo di risorse cellulari, esaurimento. La medicina convenzionale? Cura il sintomo, ignora il sistema

Quando ti lamenti di stanchezza, ti propongono un integratore. Quando hai dolori articolari, ti prescrivono un antinfiammatorio. Se hai difficoltà di memoria, ecco il nootropico.

Ma nessuno guarda al cuore del problema... il tuo sistema immunitario ha smesso di funzionare come dovrebbe.

Nessuno ti dice che puoi intervenire lì, nel nucleo della tua vitalità. Perché no, non sei “vecchio” solo perché hai 45 o 55 anni. Ma potresti avere un sistema immunitario da 80.

La svolta? l’immunità si può allenare... letteralmente.

Qui entra in gioco la scienza nuova. Quella che non cerca di sopprimere i sintomi, ma di riattivare l’intelligenza biologica.

Gli studi recenti dimostrano che il sistema immunitario innato può essere addestrato. Non solo può "difendersi" meglio: può imparare a farlo con più precisione. E questo cambiamento, chiamato immunità allenata, può invertire il processo di invecchiamento biologico.

In altre parole... il tuo sistema immunitario non è un soldato stanco e decrepito. È un atleta che ha solo smesso di allenarsi.
E puoi riportarlo in forma.

Ti chiederai, che cos’è davvero l’immunità allenata?

L’immunità allenata è una forma di memoria biologica non adattativa. Significa che anche il sistema immunitario “innato”, quello più arcaico, può essere ri-programmato. Non stiamo parlando solo dei linfociti T e B (quelli che ricordano i vlrus). Ma delle cellule innate: macrofagi, monociti, cellule natural kiIIer.

La scoperta è sensazionale, queste cellule possono cambiare comportamento a seconda degli stimoli ambientali.

E no, non serve un vacclno per farlo. Bastano:

- Sostanze naturali specifiche (come, ad esempio, i beta-glucani)

- Periodi controllati di digiuno

- Stimolazione mitocondriale

- Esposizione graduale a stimoli immunitari naturali (come i probiotici o i patogeni inattivati)

In pratica, puoi allenare il tuo sistema immunitario come fai con i muscoli. E come ogni allenamento, più lo fai in modo coerente e intelligente, più i risultati saranno visibili e duraturi.

Cosa succede quando alleni il sistema immunitario?

Quando il tuo sistema immunitario torna attivo e intelligente:

✔ La stanchezza cronica si attenua
✔ Il corpo risponde meglio a stress fisici ed emotivi
✔ Le infiammazioni di basso grado si riducono
✔ La risposta a virus e batteri migliora
✔ Le cellule senescenti vengono eliminate con più efficacia
✔ L’energia mitocondriale aumenta

È un reset completo, dall’interno. Ma allora perché nessuno ne parla? Perché non si vende in farmacia. Perché richiede tempo, consapevolezza, e impegno. Perché è molto più semplice venderti un integratore che ti "tira su" per qualche ora, piuttosto che insegnarti a ringiovanire il tuo sistema immunitario.

Eppure, è questo il cuore della medicina integrativa del futuro. Non sopprimere, ma riattivare. Non sostituire, ma rigenerare.

Ora alcune strategie pratiche per “allenare” il tuo sistema immunitario. Ecco alcuni strumenti reali, concreti, che puoi iniziare ad applicare oggi stesso:

1. Beta-glucani da funghi medicinali

Reishi, maitake, shiitake e cordyceps contengono beta-glucani che “addestrano” i macrofagi a rispondere meglio. Sono tra i modulatori immunitari naturali più potenti e studiati.

2. Probiotici e postbiotici

La flora intestinale è il “campo di allenamento” del sistema immunitario. Un microbiota sano stimola una risposta più bilanciata, riduce l’infiammazione e favorisce la tolleranza.

3. Esposizione al freddo

La terapia del freddo (es. docce fredde) stimola i neutrofili e aumenta la resilienza allo stress ossidativo.

4. Digiuno intermittente

Il digiuno controllato (come il 16:8) riduce l’infiammazione, stimola l’autofagia e migliora l’efficienza immunitaria.

5. Polifenoli e antiossidanti

Curcumina (mibraccomande da aziende serie, con questa non guardate al risparmio), resveratrolo, quercetina: riducono la senescenza cellulare e migliorano la risposta immunitaria ai danni ambientali.

6. Esercizio fisico moderato e costante

L'attività fisica è il miglior anti-aging del sistema immunitario. Non deve essere intensa, ma regolare.

7. Riduzione del carico tossico

Metalli pesanti, pesticidi, microplastiche, muffe ambientali... tutto ciò accelera la disfunzione immunitaria. Detossificare è essenziale.

Mi sono chiesta... e se il futuro della longevità fosse proprio nell’immunità?

Non parliamo più solo di allungare la vita. Parliamo di vivere meglio, più lucidi, più forti, più centrati. Parliamo di mantenere resilienza, chiarezza mentale, indipendenza fisica anche dopo i 60, 70, 80 anni.

E questo è possibile solo se il sistema immunitario collabora.

Allenarlo non è un lusso, ma una necessità biologica del nostro tempo. Perché oggi viviamo più a lungo, ma il nostro sistema immunitario si trova costantemente aggredito da:

- Sostanze chimiche

- Stress cronico

- Infiammazione latente

- vlrus subdoli

- Carenze nutritive

- Intestini disfunzionali

Non possiamo più permetterci di ignorarlo. Il vero anti-aging parte dal tuo sistema immunitario

Se ti senti stanco senza motivo, se i tempi di recupero si allungano, se le infezioni sembrano durare più del dovuto, se hai la sensazione che il tuo corpo non sia più “reattivo” come una volta…

Non dare la colpa alla tua età. Guarda più in profondità. Il tuo sistema immunitario potrebbe semplicemente aver bisogno di allenamento.

E la buona notizia è che puoi iniziare in qualsiasi momento. Anche oggi.

Non serve una pillola magica, serve consapevolezza, serve un cambio di paradigma: non curare il sintomo, ma potenziare il sistema.

E quando il tuo sistema immunitario torna a fare il suo lavoro, tutto cambia:

- Il corpo guarisce più in fretta

- La mente si schiarisce

- La vita torna a fluire

Allenare l’immunità è il primo passo per smettere di sopravvivere e iniziare a vivere davvero.

XO – Patrizia Coffaro

29/09/2025

Smartphone sì, smartphone no? E a quale età è giusto regalarlo ai propri figli? È una domanda alla quale la scienza prova a rispondere da tempo, e gli studi sono concordi nell'affermare che sia meglio più tardi piuttosto che troppo presto.
Ora una nuova ricerca sostiene che dare in mano a un minore di tredici anni un cellulare potrebbe compromettere la sua salute mentale, e che dunque la scelta migliore sia attendere (almeno) oltre quell'età. 👉 https://bit.ly/SmartphoneBambini

18/09/2025

🎯 Hai tra i 14 e i 18 anni? Cerchi uno spazio dove esprimerti e insieme ad altri ?

Al Consultorio Familiare Diocesano “Al Quadraro” abbiamo pensato a te!
📌 Proponiamo due gruppi gratuiti di incontro e confronto, accompagnati da esperti:

👥 Primo gruppo
Un’occasione per parlare di sé, delle , delle sfide quotidiane.
🗓 Due venerdì al mese
🕒 Dalle 15:00 alle 16:30

🤝 Secondo gruppo
Percorso per migliorare le abilità sociali e le con gli altri.
🗓 Due venerdì al mese
🕠 Dalle 17:00 alle 19:00

📌 Totale: 8 incontri

📍 Dove: Via Tuscolana 619, Roma
📞 Info e iscrizioni: 06 7690 6620

📆 Contattaci nei seguenti orari:
• Mercoledì: 10:00 – 12:30
• Venerdì: 15:30 – 18:00

Un’opportunità per conoscersi meglio, sentirsi meno soli, e condividere il proprio mondo con chi può capirlo.
Ti aspettiamo!

Indirizzo

Viale Dei Colli Portuensi 91
Rome
00151

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 21:00
Martedì 09:00 - 21:00
Mercoledì 09:00 - 21:00
Giovedì 09:00 - 21:00
Venerdì 09:00 - 20:00

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