Dott.ssa Benedetta Ionata- Psicologa Psicoterapeuta

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Dott.ssa Benedetta Ionata- Psicologa Psicoterapeuta Psicologa Clinica e Psicoterapeuta a orientamento Cognitivo-Comportamentale, svolgo psicoterapie ind

“Quando si parla di volersi migliorare di voler intraprendere un percorso crescita personale, spesso prevale l’idea che ...
21/06/2024

“Quando si parla di volersi migliorare di voler intraprendere un percorso crescita personale, spesso prevale l’idea che dobbiamo mettere a tacere il nostro critico interiore, relegandolo nelle profondità della nostra mente. Sappiamo bene che questa voce interiore, con le sue incessanti critiche e negatività, diventa un ostacolo per il nostro progresso e per il nostro benessere. Ma nonostante ciò e nonostante i nostri sforzi, spesso troviamo difficile lasciar andare questo compagno familiare.

Ma perché è così difficile dire addio al critico interiore che mina la nostra autostima? Cosa ci tiene legati al suo giudizio, anche quando sappiamo che è dannoso?

Il critico interiore, nel bene e nel male, è stato sempre presente nella nostra vita. È una voce che siamo abituati a sentire, addirittura fin dall’infanzia. Paradossalmente, le sue critiche possono sembrare una forma distorta di convalida, che rafforza modelli e convinzioni familiari su noi stessi, non importa quanto possano essere dannosi.

Inoltre, c’è un altro paradosso, perché il critico interiore spesso si presenta come una forza che vuole motivarci e che ci spinge verso la perfezione e l’eccellenza. Molti pensano che, se i suoi giudizi severi rimangono inascoltati, rischiano di diventare compiacenti, rimanendo nella mediocrità invece di impegnarsi a raggiungere il loro pieno potenziale. In questo modo, il critico interiore si intreccia con le nostre aspirazioni, convincendoci che la sua presenza è necessaria per il successo.

In realtà, il critico interiore ci danneggia e mina la nostra autostima. I genitori sanno in modo istintivo che rimproverare un bambino che sta imparando a camminare non funziona, e usano invece una voce incoraggiante. Sostituire il critico con una voce che ti incoraggia può portarci molto più lontano.

Però per molti la critica verso se stessi è uno scudo contro la vulnerabilità e il rifiuto. Criticando se stessi preventivamente, potremmo tentare di proteggerci da potenziali critiche degli altri, credendo che se siamo i primi a sottolineare i nostri difetti, questi ci feriranno meno se notati dagli altri. È un meccanismo di difesa difettoso, ma profondamente radicato.

Riconoscere le ragioni dietro il nostro attaccamento al critico interiore è il primo passo verso la liberazione. Si tratta di comprendere che, sebbene la critica possa aver avuto un suo scopo in passato, la sua presenza non è più favorevole alla nostra crescita e al nostro benessere.

Invece di sopprimere il critico interiore con la forza, possiamo coltivare una relazione più compassionevole con noi stessi. La gentilezza verso noi stessi porta a trattarci con la stessa compassione e comprensione che offriremmo a un amico nei momenti di difficoltà. Significa riconoscere i propri difetti e imperfezioni senza giudizio e accettare che il nostro valore è intrinseco, indipendentemente da risultati o errori.

Accogliendo l’auto-gentilezza, possiamo iniziare ad allentare la presa del critico interiore e creare spazio per l’accettazione e la crescita personale. È un viaggio senza dubbio pieno di sfide, ma che poi porta a maggiore pace, realizzazione e autenticità.

Quindi, iniziando a rispondere al proprio critico tiranno, gli diciamo che non abbiamo più bisogno del suo contributo, in modo da accogliere al suo posto la voce solidale dell’auto-gentilezza. Così, quando abbracciamo le nostre imperfezioni, scopriamo quanto è bella la nostra umanità.”

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“Per l’essere umano l’amore è una emozione profonda e importante, e per molti individui le relazioni romantiche costitui...
05/06/2024

“Per l’essere umano l’amore è una emozione profonda e importante, e per molti individui le relazioni romantiche costituiscono uno degli aspetti più significativi della vita. Oltre alla capacità innata di formare connessioni umane, c’è l’apprendimento della capacità di formare relazioni sane e amorevoli.

Per cominciare, ogni individuo dovrebbe sentirsi sicuro che il proprio partner sia disposto a dedicare tempo e attenzione all’altro.

Infatti il fondamento di ogni relazione romantica è il trascorrere del tempo insieme, e quindi che si tratti di parlare, svolgere un’attività insieme o semplicemente sedersi comodamente in silenzio, il tempo insieme dovrebbe essere qualcosa di desiderato.

Ma mantenere una relazione solida richiede cura e comunicazione costanti. Alcune caratteristiche si sono rivelate particolarmente importanti per promuovere relazioni sane, come ad esempio il tipo di comunicazione di una coppia. Queste tipologie possono creare o distruggere una relazione e quindi può essere difficile prendere in considerazione il matrimonio o un impegno a lungo termine se gli stili di comunicazione risultano incompatibili o difettosi.

Un’altra caratteristica è il tipo di conoscenza della relazione, e ne esistono di due tipi. Il primo tipo di conoscenza è quanto bene si conosce il partner. La conoscenza percepita è la misura in cui crediamo di conoscere la personalità, le preferenze e il background del proprio partner. Il secondo tipo di conoscenza della relazione è il sentirsi conosciuti, ovvero riguarda quanto si ritiene che il proprio partner ci conosca. Sentirsi conosciuti è la misura in cui crediamo che il proprio partner conosca la nostra personalità, preferenze e background.

Sebbene entrambi i tipi di conoscenza relazionale sembrino importanti, e in effetti lo sono, ci siamo mai chiesti se conoscere o sentirsi conosciuti è più importante per la salute e la felicità della nostra relazione? È meglio conoscere il nostro partner o avere la sensazione che ci conosca?

In linea generale sentirsi conosciuti è la componente più importante di una relazione soddisfacente e di successo. Quando ci sentiamo conosciuti andiamo ad aumentare la soddisfazione relazionale, questo perché apprezziamo quando ci sentiamo supportati e compresi dai nostri partner. La sensazione che il nostro partner conosca fatti oggettivi su di noi, come la vacanza dei nostri sogni, e percezioni soggettive, come ciò che ci causa più stress nella vita, contribuiscono entrambi a farsi sentire conosciuti.

Affinché le relazioni possano prosperare, entrambi i partner dovrebbero avere la sensazione che la loro dolce metà li conosca bene. Bisogna fare anche una piccola nota, ovvero questo vale anche per altri partner sociali, come amici o colleghi. Ad esempio, domandare ad un collega come è andata la festa di compleanno di sua figlia nel fine settimana dimostra al collega che abbiamo ascoltato qualcosa che abbiamo detto, segnala che lo conosciamo e probabilmente ne gioverà il rapporto di lavoro.

Se pensiamo che la nostra relazione potrebbe trarne beneficio, sediamoci con il nostro partner e, a turno, facciamoci domande. Non importa di che tipo siano queste domande, possono essere serie e pratiche oppure divertenti e poco pratiche. In sostanza, quello che conta, è favorire le conversazioni profonde e il porre domande. Questo potrebbe davvero andare a favorire la sensazione di sentirsi conosciuti, il che potrebbe aumentare la felicità e la soddisfazione nella relazione.”

https://www.cittanuova.it/627078-2/?ms=003&se=012

Qual è l’impatto del supporto nelle relazioni sul nostro benessere? Se ti senti triste o ansioso a causa della mancanza ...
10/05/2024

Qual è l’impatto del supporto nelle relazioni sul nostro benessere? Se ti senti triste o ansioso a causa della mancanza di una rete sociale di supporto, e desideri approfondire le tue relazioni attuali ma non sai da dove cominciare, potresti aver considerato di trarre beneficio dallo sviluppo di nuovi contatti sociali o sbocchi sociali. Tuttavia, potresti anche provare paura di essere rifiutato e/o trascurato, basandoti sulle tue esperienze passate.

È innegabile che prosperiamo quando abbiamo relazioni reciproche ed emotivamente di supporto. Il rapporto Stress in America del 2022 dell’American Psychological Association ha evidenziato che il supporto emotivo è correlato a tassi più bassi di ansia, depressione e solitudine, nonché a tassi più elevati di benessere.

Potresti chiederti: “Che cosa definisce esattamente una relazione di supporto?”. Fondamentalmente, le relazioni di supporto sono quelle che soddisfano i nostri bisogni emotivi di attenzione, affetto, cura e sostegno. Alcuni tratti distintivi di una relazione di supporto includono:

Sentirsi rispettati.
Non essere giudicati.
Offrire rassicurazione e comprensione.
Mostrare affetto e cura incondizionati.
In breve, le relazioni di supporto generano sentimenti di rinnovamento, energia positiva e un senso di vitalità.

Al contrario, le relazioni emotivamente negligenti sono correlate a tassi più alti di depressione, ansia, abuso di sostanze e malattie fisiche.

Come si definisce una relazione emotivamente negligente?

La negligenza emotiva è un insieme coerente di comportamenti e atteggiamenti che non soddisfano i bisogni di attenzione, affetto, cura e sostegno di un’altra persona. Questo fenomeno può manifestarsi in varie relazioni, come quelle genitore-figlio, amicizie, rapporti professionali e intime. È difficile riconoscere la negligenza emotiva poiché spesso non riguarda azioni evidenti come critiche o urla, ma piuttosto l’assenza di azioni che dovrebbero dimostrare attenzione e cura. Molte persone potrebbero non essere consapevoli di trascurare i bisogni degli altri, spesso perché hanno vissuto esperienze simili da bambini, creando un ciclo generazionale di comportamento.

Esempi di negligenza emotiva includono ignorare costantemente i bisogni emotivi degli altri, respingere i loro sentimenti, non fornire conforto durante momenti difficili e non esprimere affetto o supporto positivo. Negli adulti, ciò può tradursi in mancanza di comunicazione, indifferenza verso il benessere emotivo del partner e disprezzo dei suoi sentimenti. Nell’ambito delle amicizie, può manifestarsi con la mancanza di risposta o disponibilità quando un amico è in difficoltà.

La negligenza emotiva può avere effetti a breve e lungo termine, tra cui confusione, vergogna, dolori muscolari, sbalzi d’umore, ritiro sociale, solitudine, ansia, depressione, senso di colpa e insonnia.

Per costruire relazioni di supporto, è importante iniziare prendendosi cura dei propri bisogni emotivi. È impossibile soddisfare i bisogni emotivi degli altri se non si riescono a soddisfare i propri. Ascolto attivo, comunicazione aperta e affidabilità sono elementi chiave per trasformare le relazioni in esperienze più soddisfacenti e solidali. Quando siamo presenti e ascoltiamo sinceramente gli altri, dimostriamo loro che ci tengono. La comunicazione aperta è fondamentale per affrontare malintesi e sentimenti feriti. La coerenza e la disponibilità nel sostenere gli altri durante i momenti difficili rafforzano il legame delle relazioni di supporto.

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“Esistono molti segnali che indicano che una persona abbandona silenziosamente la propria relazione a lungo termine o il...
29/02/2024

“Esistono molti segnali che indicano che una persona abbandona silenziosamente la propria relazione a lungo termine o il proprio matrimonio. Questo fenomeno consiste nel fare il minimo possibile e riuscire comunque a mantenere il rapporto. Può essere disorientante vedere il proprio partner allontanarsi sempre di più nel tempo: fisicamente potrebbe ancora essere presente, ma senti che è una presenza effimera in termini di sostanza nel matrimonio. Ad esempio fa il minimo e spende meno energia possibile per mandare avanti il rapporto, vive la relazione come un obbligo, può cercare scuse per evitare l’intimità, potrebbe pensare a come sarebbe vivere da single, fantasticando su una nuova vita che non includa il proprio partner, potresti ritrovarti a discutere o in disaccordo meno di prima poiché il partner non ritiene che la relazione valga l'investimento di tempo o energia. Infatti l'opposto dell'amore non è l'odio, bensì è l’apatia. Quindi se il tuo partner sta rinunciando silenziosamente, è probabile che non stia più facendo le piccole cose per te come faceva una volta e ha perso interesse in discussioni animate o nell'eliminare le differenze.
Coloro che se ne vanno silenziosamente spesso sentono che ci sono poche speranze che la loro relazione possa essere riaccesa, e questo senso di inutilità impedisce loro di esprimere le proprie opinioni o bisogni.
Sono stati rilevati tre fattori che esprimono l'essenza del fenomeno: distacco, mancanza di iniziativa e mancanza di motivazione.
Cosa vogliono coloro che smettono di investire nel rapporto?
In una relazione funzionante, comprendere i bisogni del partner è importante quanto comprendere i propri bisogni. Quando nel mondo del lavoro avvengono delle dimissioni silenziose, i leader sono incoraggiati a cambiare la cultura in modo da mostrare il loro impegno nei confronti dei propri dipendenti e sono motivati a trovare modi per dimostrare ai dipendenti come il ruolo di ogni persona sia importante per l'organizzazione.
Quindi i dipendenti lasciano il lavoro a causa di burnout, mancanza di opportunità di crescita e sviluppo, scarsa leadership e riconoscimento insufficiente per il loro lavoro, e queste stesse cause sono probabilmente parallele alle ragioni per cui i coniugi lasciano tranquillamente i loro matrimoni.
Inoltre è importante rispettare i confini anche perché avere aspettative non realistiche nei confronti dei dipendenti può portare al fenomeno del burnout e portare a dimettersi silenziosamente.
Mettere in atto questi suggerimenti in una relazione romantica può influenzarne positivamente la sua vitalità. Una strategia potrebbe essere quella di incoraggiarsi a prendersi del tempo per dimostrare quanto si apprezzi il proprio partner. Esprimendo il proprio apprezzamento al partner per essere nella nostra vita può aiutare a guarire le fessure relazionali e a mantenere una relazione attualmente sana. Anche condividendo esplicitamente con lui la sua importanza nella nostra vita, in quella della nostra famiglia e nella relazione, verbalizzando i modi in cui rendono la nostra vita più facile o migliore. Un’altra via potrebbe essere quella di complimentarsi per i suoi punti di forza, offrendo parole di sostegno quando affronta delle sfide e trattandolo come la persona importante che sono nella nostra vita. Infine anche esaminare le proprie aspettative riguardo alla relazione e al partner: fai un "controllo della realtà" e vedi se le tue aspettative sono irrealistiche, irragionevoli e ingiustamente unilaterali. Ricordiamo a noi stessi che non possiamo aspettarci che una persona
soddisfi tutti i nostri bisogni, né ci si dovrebbe aspettare che il partner si faccia carico di più di una giusta parte della relazione e dei suoi obblighi da solo.
L’abbandono silenzioso di una relazione a lungo termine non è un fenomeno nuovo, ma si possono seguire queste accortezze in modo tale da rivitalizzare la relazione e rafforzarne l’impegno.”

https://www.cittanuova.it/462361-2/?ms=003&se=025

“Il comportamento prosociale è una cosa meravigliosa: le persone aiutano estranei che non incontreranno mai più, donano ...
15/02/2024

“Il comportamento prosociale è una cosa meravigliosa: le persone aiutano estranei che non incontreranno mai più, donano tempo e oggetti di valore in beneficenza e si prendono cura intensamente dei propri amici e familiari.
Il termine “prosociale” è associato a un’ampia gamma di comportamenti sociali positivi, tra cui fiducia, cooperazione, cura, empatia e altruismo, che sono tutti pilastri della formazione e del mantenimento di relazioni sociali umane adattive. Ciascuno di questi comportamenti richiede un equilibrio tra i propri obiettivi e bisogni e quelli degli altri, un'abilità senza la quale le relazioni umane fallirebbero. Tuttavia, la generosità varia in modo significativo tra individui e relazioni. I fattori noti per moderare il comportamento prosociale includono, ad esempio, la vicinanza sociale, la storia di apprendimento precedente, il bisogno acuto del beneficiario e la capacità individuale di riconoscere e rispondere ai segnali emotivi.
Forse il comportamento prosociale per eccellenza è l’altruismo. L'altruismo è caratterizzato da atti prosociali non reciproci che mirano a migliorare il benessere di un altro individuo a un costo personale per l'altruista. Tale comportamento può essere osservato tra le specie, di solito tra individui geneticamente imparentati ma anche tra membri non imparentati ma socialmente vicini di un gruppo sociale per promuovere la sicurezza e l’appartenenza reciproca. Pertanto, l’altruismo è profondamente radicato nel passato evolutivo dell’uomo, suggerendo che sia supportato da antichi sistemi neurochimici.
Ricerche approfondite indicano che l’ossitocina è coinvolta sia nella formazione che nel mantenimento delle relazioni sociali, in parte attraverso il suo coinvolgimento centrale nell'orchestrazione dell'altruismo e dei comportamenti prosociali associati. Oltre a promuovere le interazioni sociali, questa molecola prodotta nel cervello migliora l’umore, induce una sensazione di benessere, riduce ansia, stress e dolore. L’ossitocina non solo è coinvolta in modo centrale nella modulazione del comportamento sociale e della cognizione, ma regola anche le funzioni riproduttive. Infatti ha svolto un ruolo importante in medicina con importanti risultati tra cui l’identificazione del suo coinvolgimento nel parto e nell’allattamento.
Tornando alle relazioni sociali, la presenza di ossitocina nel cervello è coinvolta in modo centrale nella loro formazione e mantenimento, e si basano su meccanismi basati sull’empatia e sulla cura che facilitano il comportamento altruistico verso gli altri. Ad esempio, l’ossitocina può promuovere una risposta altruistica verso un estraneo bisognoso attenuando la reattività dell’amigdala e aumentando la rilevanza percepita dei segnali di approccio sociale.
Cosa favorisce l’ossitocina? Non solo i comportamenti altruistici promuovono il rilascio di ossitocina. Abbiamo visto infatti che ad esempio fare un regalo o aiutare un vicino con una commissione può innescare un circolo positivo di buone emozioni. Esistono anche altri metodi naturali che possono aumentare la produzione ossitocina: fare yoga e anche alcune forme di meditazione possono facilitare il rilascio dell’ormone, così come l’esercizio fisico in generale. Oppure ascoltare musica o suonare uno strumento o anche dare o ricevere un massaggio, così come gli abbracci, le carezze e i baci. Coccolate, dunque, il vostro partner, vostro figlio o il vostro animale domestico. Allo stesso tempo anche coltivare i rapporti sociali, sentire la vicinanza del partner o condividere il cibo, ad esempio preparando insieme un pasto può essere divertente e utile. Tutto ciò può provocare un piacere tale da innescare e stimolare il rilascio di ossitocina.”

https://www.cittanuova.it/laltruismo-favorisce-il-benessere-mentale/?ms=006&se=022

“Fa parte della natura umana provare il bisogno di amare e di essere amati, ma qualora senza l’altro, inteso come oggett...
24/01/2024

“Fa parte della natura umana provare il bisogno di amare e di essere amati, ma qualora senza l’altro, inteso come oggetto d’amore, ci si convince che non si possa sopravvivere, ecco che non si parla più di una relazione amorosa sana e funzionale ma di uno stato mentale pervasivo che ne compromette l’integrità: la dipendenza affettiva.
La dipendenza emotiva in un partner implica un legame affettivo permanente eccessivo con l'altro individuo che è disfunzionale, associato a una bassa autostima, che nasconde una mancanza di affetto e genera una serie di conseguenze emotive negative: sintomi di ansia e depressione, pensieri ossessivi, disturbi del sonno e abbandono delle relazioni sociali e del tempo libero.
Più specificamente, la dipendenza emotiva del partner implica un legame affettivo permanente eccessivo con l'altro individuo che è disfunzionale, associato a una bassa autostima e nasconde una mancanza di affetto. Questa dipendenza è accompagnata da una percezione distorta della realtà, da un'intolleranza alla solitudine e un vuoto interiore. Nello specifico, una relazione intima, indipendentemente dalla sua tipologia, ha la priorità su qualsiasi altra attività o valore nella vita della persona interessata.
Funzionalmente parlando, una persona può essere considerata dipendente quando percepisce che la valutazione attuale e passata della sua relazione intima stabile è negativa e considera di interrompere quella relazione, ma non si sente in grado di farlo, senza dipendenza finanziaria o minacce che ne spieghino la permanenza di quella relazione. Dal punto di vista dell’attaccamento, la dipendenza è una manifestazione di comportamenti di attaccamento patologici, ansiosi/ambivalenti nelle relazioni interpersonali che esprimono bisogni emotivi insoddisfatti e impediscono alla relazione di terminare nonostante l’insoddisfazione.
A differenza del disturbo dipendente di personalità, le persone che dipendono emotivamente dal proprio partner possono essere indipendenti in altri ambiti, quali quello sociale o lavorativo, per esempio. Per certi versi la dipendenza emotiva da un partner è più simile a un disturbo da dipendenza: sottomissione e idealizzazione del partner, con false aspettative di cambiamento in un partner; amore incondizionato e comportamento di controllo; e in caso di fine della relazione, tentativi disperati di tornare insieme a causa di una sorta di sindrome da astinenza affettiva. Spesso una bassa autostima e la presenza di tratti ossessivi della personalità, nonché una storia di mancanza di affetto o precedenti relazioni intime traumatiche, possono portare alla dipendenza emotiva. In questi casi, gli individui preferiscono continuare a soffrire invece di affrontare la nuova realtà della rottura con il proprio partner e dell’essere costretti ad attraversare l’abisso sconosciuto.
Le nuove tecnologie possono portare allo sviluppo di dipendenza emotiva dal partner, contribuire a prolungare e perpetuare un modello comportamentale tossico per la persona dipendente e possono anche rendere difficile il superamento di questa condizione a causa dell'enorme possibilità di contatto permanente e di controllo della persona persona da cui l'individuo dipende.
A livello clinico, la dipendenza emotiva può presentare tratti in comune con una personalità dipendente e un disturbo da dipendenza, e quindi trova terreno fertile in persone generalmente improntate ad una personalità di tipo dipendente, per l’appunto, sordo ai propri bisogni, scarsamente autoefficace e impaurito dalla possibilità di poter decidere per se stessi per il rischio di poter incorrere in errori e punizioni. L’assenza di una sana abitudine a connettersi con le proprie esigenze e il proprio sentire permette alla dipendenza affettiva di insidiarsi per mezzo di altre due componenti tipiche di essa, come la manipolazione e la menzogna o il ricatto emotivo. Ci si lascia influenzare da convinzioni distorte che inducono così a smettere di fare ciò che fa sentire bene, a perdere la propria autonomia, a sopportare violenze fisiche e/o psicologiche, verbali, domestiche o addirittura di tipo economico, a sentirsi costantemente e facilmente condizionati e sotto controllo e a limitare le relazioni sociali trascurando soprattutto se stessi. Ed è davvero questo il prezzo da pagare per aver amato troppo? O è forse solo una trappola? È possibile affrontare la dipendenza affettiva utilizzando sia trattamenti psicoterapeutici individuali che di gruppo, aventi come obiettivo quello di ristrutturare cognitivamente tutti quegli errori di pensiero e convinzioni distorte rispetto a sé stessi e agli altri.”

https://www.cittanuova.it/409211-2/?ms=003&se=025

“Quando ci poniamo degli obiettivi un elemento cruciale per il loro raggiungimento è la presenza della motivazione, vist...
24/01/2024

“Quando ci poniamo degli obiettivi un elemento cruciale per il loro raggiungimento è la presenza della motivazione, vista come una spinta ad agire in direzione di ciò che ci siamo prefissati. Viene considerata una delle forze che influenzano il comportamento umano e alimenta la competizione, stimola la connessione sociale e comprende il desiderio di continuare a lottare verso i propri valori.
Ma a tutti noi può succedere di non riuscire a raggiungere i propri obiettivi e sogni nonostante gli sforzi, e spesso ciò non dipende neanche da noi. Questa è una delle sfide della vita: imparare ad adattarsi alle delusioni della vita, alla perdita dei nostri sogni e ai rimpianti.
Mentre la delusione è il risultato della discrepanza tra le aspettative del soggetto e il risultato effettivo, il rimpianto invece è un’emozione negativa che sperimentiamo quando realizziamo o immaginiamo che la nostra situazione attuale sarebbe stata migliore se avessimo agito diversamente.
Ma, in ogni caso, con la perdita arriva un sentimento di dolore.
Ciò che speravamo e per cui abbiamo lavorato è svanito e ognuno di noi risponde a modo suo. Alcuni riescono ad andare avanti dopo aver sofferto per un po’, altri non si addolorano nemmeno e vanno avanti come se nulla fosse mai successo, solo per scoprire in seguito che quei sentimenti si ripercuotono nelle loro vite. Altri ancora rimangono bloccati, immersi nel rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere, ovvero non vanno avanti ma rimuginano sul passato, sul fallimento e non riescono a godersi il presente o a immaginare un futuro positivo.
Indipendentemente dalla reazione, per ognuno di noi gli obiettivi prefissati possono rappresentare la punta di un iceberg dei nostri bisogni più profondi, poiché da qualche parte sotto i primissimi strati di qualsiasi obiettivo c’è una motivazione ancora più profonda, un bisogno più specifico.
Ad esempio, l’obiettivo di avere un bambino senza ombra di dubbio significa voler diventare padre o madre e creare una propria famiglia. Allo stesso tempo al di sotto di questo obiettivo potrebbero essercene anche altri, quali un forte desiderio di essere una persona che si prende cura degli altri o di voler trasmettere la propria saggezza, o addirittura di voler rimediare al proprio passato.
Affrontare con successo le delusioni o gli eventuali limiti della vita non significa solo "andare avanti" o "trarne il meglio", ma approfondire, scoprire cosa significava quell'obiettivo per noi, quale nucleo più profondo si celava e poi trasformarlo in un qualcosa di nuovo.
Di certo questo nuovo obiettivo può non cancellare la delusione e il senso di perdita del passato, e a seconda delle dimensioni della ferita, è probabile che rimangano tracce di dolore che si ripresenteranno in base a ciò che accade mentre si procede per la propria strada. Il nuovo obiettivo sarà soddisfacente quanto quello che è venuto meno? Questo non possiamo saperlo, ma di sicuro possiamo sentirci orgogliosi di ciò che abbiamo trasformato dalle ceneri della delusione.
E se ora dovessimo fare il punto sui nostri obiettivi, sogni e delusioni, cosa possiamo portare avanti e trasformare?”

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“L’empatia può essere definita come la capacità di comprendere una persona dalla sua prospettiva anziché dalla propria, ...
28/12/2023

“L’empatia può essere definita come la capacità di comprendere una persona dalla sua prospettiva anziché dalla propria, di “mettersi nei panni dell’altro”, di fare esperienza indiretta delle sue emozioni, percezioni, pensieri o comportamenti. È quindi una qualità umana che svolge un ruolo fondamentale nella vita quotidiana, poiché non solo migliora le relazioni interpersonali, ma può anche avere un impatto notevole sulla salute e il benessere. Allo stesso tempo si è dimostrato come l’empatia sia un fattore fondamentale anche nella relazione fra medico e paziente.
Lo psicologo americano e fondatore dell’approccio centrato sulla persona, Carl Rogers, ha affermato che l’empatia “è una condizione necessaria per i terapeuti che cercano di aiutare gli altri”. La capacità del medico di comprendere e immedesimarsi nello stato emotivo vissuto dal paziente aiuta senza dubbio quest’ultimo a ridurre la sensazione di dolore.
L’importanza dell’empatia diventa ancora più sorprendente nella terapia del dolore, poiché il dolore cronico è noto per il modo in cui può compromettere un individuo, lasciandolo isolato e sentendosi frainteso. Secondo la definizione fornita dall'International Association for the Study of Pain (IASP), il dolore rappresenta "un'esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata o simile a quella associata a un danno tissutale effettivo o potenziale".
Gli operatori sanitari non potranno mai entrare completamente nel mondo percettivo e affettivo del paziente. Tuttavia, l’empatia può fornire loro “la sensazione di conoscere l’esperienza personale di un’altra persona con dimensioni cognitive, affettive e comportamentali”. È quindi possibile creare una connessione interpersonale con il paziente, adottando un approccio non minaccioso e non giudicante.
Recenti ricerche nel campo delle neuroscienze cognitive hanno fatto luce sui circuiti neurali attivati durante le risposte empatiche al dolore. Un segno distintivo dell’empatia per il dolore è stata la scoperta dei neuroni specchio nei macachi negli anni ’90. Gruppi di cellule (neuroni) nella corteccia premotoria si attivavano non solo quando la scimmia eseguiva un'azione, ma anche quando vedeva eseguita la stessa azione. Questa scoperta dei neuroni specchio è servita da finestra sulle basi neurobiologiche dell’empatia e ha stimolato la ricerca nella neurofisiologia dell’empatia per il dolore.
Gli studi di neuroimaging sull’empatia per il dolore hanno costantemente rivelato attivazioni nello stesso circuito neurale quando si sperimenta direttamente il dolore così come quando si empatizza con il dolore degli altri.
Questa rete neurale – la cosiddetta matrice del dolore – comprende l’insula anteriore, la corteccia cingolata anteriore dorsale, la corteccia cingolata mediale anteriore, il grigio periacqueduttale, la corteccia somatosensoriale, la corteccia orbitofrontale e l’amigdala. Questi risultati suggeriscono che l’empatia dipende, in parte, da rappresentazioni neurali condivise per il proprio dolore e per il dolore degli altri e che avere a che fare con persone che soffrono provoca una sorta di risposta di “mimetismo empatico” nell’osservatore. Il funzionamento di questi neuroni specchio è un prerequisito essenziale per la percezione empatica del dolore dell’altro.
La nostra capacità di entrare in risonanza emotiva con un'altra persona è infatti un aspetto fondamentale dell'interazione sociale. Questo è il caso quando si percepisce qualcuno che soffre. La comunicazione del dolore può suscitare comportamenti prosociali come la preoccupazione empatica (motivazione a prendersi cura di qualcuno bisognoso) nei confronti della persona che soffre. Questo è riconosciuto come una risposta empatica o empatia del dolore.
La pratica dell’empatia è spesso gravemente minacciata nella cultura medica odierna caratterizzata dall’isolamento tecnico del medico dal paziente.
Spesso vengono sottovalutati il porre ai pazienti domande sui sintomi, sulle loro possibili paure e sullo stress mentale correlato, ma invece vanno presi seriamente in considerazione tutti questi aspetti.
Da una recente ricerca è emerso che i pazienti che si trovavano in solitudine durante l’esposizione a stimoli dolorosi riportavano un maggiore livello di dolore rispetto a quelli che erano accompagnati da un medico, nonostante fossero esposti a stimoli di uguale intensità.

Questo studio ha sottolineato l’importanza di un atteggiamento empatico e di una buona comunicazione da parte del medico nei confronti del paziente per il successo di qualsiasi terapia. Chiaramente la comunicazione empatica non può sostituire il trattamento farmacologico, ma può integrarlo e potenziarlo.
Anche se non priva di sfide per il medico, il paziente e il sistema sanitario, nel complesso, l’empatia è quindi uno strumento straordinario nella pratica clinica, in particolare nella terapia del dolore, perché mira a creare una solida alleanza terapeutica tra medico e paziente, con l’obiettivo di ridurre la percezione del dolore, migliorare le aspettative di guarigione e, di conseguenza, aumentare l’efficacia del trattamento farmacologico.”

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