
08/09/2025
NOI (NON) SIAMO CARNE CRUDA
Un film visto la settimana scorsa, settimana sospesa fra vacanza e lavoro, fra una Roma ancora lenta ed una già pronta a scattare. Grazie a Raiplay che custodisce perle rare.
"Calcinculo"è un film di Chiara Bellosi di qualche anno fa che narra l’incontro fatale fra Benedetta (un'inaspettata Gaia Di Pietro) e Amanda (il sublime Andrea Carpenzano), quindicenne lei, ex adolescente giostraia l'altra, il cui nome (colei da amare) identifica la sua identità di donna trans.
Al primo incontro fra le due Amanda mostra subito un'accoglienza vivace, calda, ma anche tagliente all'adolescente: "Benedetta...da chi?!" e lascia intendere quello che sarà il leitmotiv di tutta la pellicola: la vita bisogna strapparsela da sé. L'esistenza dispensa per lo più calcinculo, e non si può scendere dalla giostra, ma bisogna imparare a girare, magari sperando di vincere, ogni tanto.
Certo, se c'è qualcuno a spingerci è meglio.
L'ambientazione del film è un luogo tanto periferico quanto poetico: lo stretto pezzo di terra fra la casa in cui vive Benedetta con i genitori e le due sorelline, e la roulotte dimora di Amanda arrivata con le giostre itineranti. In mezzo un prato pieno di disagio e fiori colorati che Benedetta sembra attraversare ogni giorno senza realmente vedere.
Ed è così che la ragazzina obesa e la trans disillusa avviano una relazione fatta di intimità estrema e distanze improvvise, in cui ognuna ha qualcosa che l'altra desidera.
Benedetta meravigliosi occhi felini, capelli e bocca da donna, anche se ancora bambina, anche se ancora non lo sa.
Amanda la grazia e la sensualità propria di chi vuole sentirsi bella. E vuole che altr3 la vedano come tale.
Le farfalle che Amanda confeziona, semplici, povere e colorate: "campano una settimana...vivono solo pe' fasse belle" sembrano il loro animale totem.
Benedetta rimane affascinata da quei lampi di bellezza, che le indicano una strada per una femminilità adulta apparentemente impossibile da raggiungere fino a quel momento.
Perché la ragazza è figlia di una donna schiacciata dalla vita, che non sorride se non falsamente o amaramente (la toccante Barbara Chichiarelli).
Benedetta la inchioda con poche semplici frasi dirette: "ma io ti piaccio?" "ma tu non t'accorgi mai di niente?" "se non era pe' me tu stavi là dentro" (riferendosi alla carriera di danzatrice interrotta dalla madre all'epoca incinta di lei).
E’ una famiglia in difficoltà quella di Benedetta, piena di una disperante tenerezza e di una sottile violenza, con entrate precarie, i sogni infranti dei due genitori, l'infedeltà del padre e le tre figlie da crescere.
La pellicola si apre con una visita medica: Benedetta pesa troppo, Benedetta, scopriremo, si abbuffa. In quelle orge alimentari agisce l’aggressività nei confronti di una madre a tratti anaffettiva e controllante, che inconsciamente la incolpa di non aver avuto l'esistenza che desiderava, che la osserva con distacco, senza riconoscerla. Nel cibo consumato di nascosto l’adolescente riversa il dolore per quel corpo giudicato, schernito, non amato, ma anche per le tensioni fra i genitori, le loro grandi frustrazioni personali, e quell’incomunicabilità vissuta sulla propria pelle, condivisa con la sua migliore amica, in un’alleanza permeata di solitudine, disagio e distanza dal mondo.
Fino a quando non arriva Amanda, con il suo corpo da fenicottero, il suo sguardo complice, il rispecchiamento benevolo. Le scene che mi hanno colpito di più non sono quelle di danza (fil rouge fra Anna la mamma, Amanda e Benedetta), né quelle di volo, ma le scene “crude”: Benedetta e il pollo, il bacio fra le due donne (un bacio che al tempo stesso droga, lega ed apre alla vita), i corpi che si cercano, si desiderano, si rifiutano, si amano senza sesso, senza violazione. Con tenerezza, vicinanza, amicizia.
In quest’epoca così segnata dalla ridefinizione delle identità di genere e delle relazioni trovo questa pellicola di grande attualità: una persona non binaria può essere modello di femminilità più di una madre “sorda e cieca”, un'attrazione sessuale spinta da curiosità e bisogno può trasformarsi in un'alleanza nutriente ai fini della costruzione identitaria, un corpo non conforme può essere depositario di una grande vitalità, di un ambizioso desiderio, di Eros.
Ma anche se i corpi sono al centro dell'obiettivo non sono mai scrutati voyeuristicamente, mai ridotti ai loro dettagli, scissi, parcellizzati, perché la narrazione ruota in fondo attorno alle relazioni, lo sguardo dell’altro è importante perché crea un’immagine di noi che interiorizziamo, un’immagine che può essere amorevole, depressa, grandiosa o modesta, sono gli affetti che muovono tutto. Perché il corpo è la nostra casa, il veicolo della nostra comunicazione affettiva, un corpo che sente, riceve, mostra e dice, non semplice carne da osservare, pesare, manipolare, usare.
Ed è per questo che un’altra scena importante è quella in cui le due bruciano le farfalle, perché in fondo farsi bell3 per l’altr3 è sempre una fregatura...l’unico sguardo che conta, crescendo, è il nostro.
Contano sicuramente l’affetto, la fiducia, la spinta dell’altr3 e nell’altr3, ma, come rivela l’ultima battuta di Benedetta: “io me pensavo che me volevi bene” ad un’Amanda che ha ceduto alla sfiducia e al cinismo, crescere significa soprattutto trovare il bene dentro di sé, imparare a volare oltre le illusioni e le delusioni, da sol3, con grinta, apertura e coraggio. E danzare, da sola, fra l3 altr3 (ho scoperto che la bravissima attrice esordiente che interpreta Benedetta all'epoca del film ballava hip-hop nella vita reale, ed è sua la coreografia della scena in cui inaspettatamente danza in famiglia, con le sorelline che la seguono ed i genitori che la guardano stupefatti ed emozionati. E' il primo segno di cambiamento, di scelta, di libertà, di autodeterminazione. Ed è da questo momento che in effetti il film abbandona un tono depressivo a favore di uno scarto in avanti).
Una menzione speciale per la roulotte di Amanda, location di molte sequenze e luogo di viaggio e convivenza delle due nella seconda metà del film: un vero e proprio spazio transizionale paragonabile allo studio d’analisi, un luogo sospeso d’incontro intimo, esplorazione, desiderio, sofferenza e crescita.
I “calcinculo” del titolo sono una giostra iconica, che può essere spietata e al tempo stesso eccitante, ha il fascino del proibito, ad ogni giro si rischia la nausea, il vomito, ma anche l'ebbrezza vera, ipomaniacale del volo e del possibile successo, raggiungibile solo tramite la spinta aggressiva dell'altr3.
Per associazione alcuni film che ho amato molto: il mio adorato “Rosetta” dei fratelli Dardenne, “A Chiara” di Jonas Carpignano, “Indivisibili” di Edoardo De Angelis. Racconti di formazione dolenti, storie di corpi, adolescenze, vite al margine alla ricerca disperata di un'adultità “diversa”.