21/11/2025
🌐 Adolescenti iperconnessi: cosa ci dicono davvero i dati (e cosa significa in seduta)
Negli ultimi anni, tra clinica, ricerca e formazione, mi capita sempre più spesso di incontrare adolescenti e giovani adulti che vivono un rapporto complesso con il digitale.
Non è più solo “uso intenso”: per una parte non piccola della popolazione giovanile parliamo di uso problematico, con ricadute emotive, relazionali e somatiche che diventano parte della loro identità in formazione.
📌 Cosa ci dicono le ricerche italiane più recenti?
• Gli studi HBSC Italia Istituto Superiore di Sanità evidenziano che circa l’8–9% degli adolescenti mostra un uso dei social con caratteristiche di vera e propria Problematic Social Media Use, più frequente nelle ragazze di 13–15 anni e associato a un aumento significativo di ansia, depressione e sintomi psicosomatici (mal di testa, difficoltà del sonno).
• Le ricerche cliniche più aggiornate mostrano un quadro convergente: bassa autostima, solitudine, dissociazione, ritiro sociale sono spesso intrecciati a un uso compulsivo dello smartphone, soprattutto di notte.
• I dati raccolti dall’ Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche Gap e Cyberbullismo #, con cui collaboro, confermano che 1 adolescente su 4 rischia il proprio benessere psicologico per l’iperconnessione, e che molti dichiarano di “non riuscire a stare soli con se stessi” senza uno schermo.
Come sempre, però, i numeri diventano veri quando si trasformano in volti.
👁️ In seduta questo fenomeno ha una forma precisa.
Ragazzi che arrivano stremati da nottate passate tra TikTok e Instagram; altri che si confrontano continuamente con corpi e vite “perfette”, sentendosi sempre insufficienti; altri ancora che usano il digitale come anestetico dopo giornate pesanti a scuola, o – come spesso vedo nelle malattie rare – per compensare la sensazione di essere “diversi”.
🎗️ Nei giovani con malattia rara, infatti, l’uso dei social ha una doppia faccia:
• da un lato è una risorsa di sopravvivenza: riduce l’isolamento, permette di incontrare coetanei con la stessa diagnosi, offre un luogo dove poter essere visti senza spiegazioni continue;
• dall’altro può amplificare ansie, perfezionismi, paure di esclusione e vulnerabilità emotive già molto presenti in percorsi di vita complessi.
🎯 Come psicoterapeuti – e come comunità clinica – abbiamo una responsabilità importante:
non demonizzare la tecnologia, ma leggerla come un codice emotivo, una storia del Sé digitale che ci informa sulle vulnerabilità e sulle risorse del paziente.
💬 Domanda per voi, colleghi e professionisti che mi leggete:
Nelle vostre anamnesi e nei vostri percorsi clinici, come esplorate l’uso dei social e dello smartphone?
Lo considerate un indicatore, un sintomo, un bisogno, una risorsa… o tutto questo insieme?