Cinzia Funicelli - Psicologa Psicoterapeuta

Cinzia Funicelli - Psicologa Psicoterapeuta Studio di psicologia e di psicoterapia nel cuore di Roma. Troverete le relative informazioni a ques

Dopo la Laurea in Psicologia Dinamica e Clinica, mi sono specializzata in Psicoterapia individuale e di gruppo a orientamento psicoanalitico. Per diversi anni ho prestato servizio come psicologa e psicoterapeuta presso un ambulatorio pubblico per disabili intellettivi adulti dell'ASL Roma 1. Attualmente svolgo la professione di psicoterapeuta in ambito privato, sempre a Roma, per individui, coppie

, e gruppi. Nutro un particolare interesse per l'area della disabilità intellettiva e/o fisica, per le domande che pone e per le problematiche che solleva sia in chi vive questa condizione, sia in chi gli/le sta vicino. Inoltre, la passione per la storia e per i mutamenti sociali, la formazione in gruppoanalisi, le esperienze di lavoro maturate in contesti socio-assistenziali e riabilitativi, mi portano a osservare con interesse fenomeni sociali, politici, culturali, e ad adottare una chiave di lettura psicoanalitica per la loro comprensione.

Tra una seduta e l'altra, raccolgo dentro di me i racconti che prendono vita nella stanza, densi di paura e coraggio per...
16/02/2024

Tra una seduta e l'altra, raccolgo dentro di me i racconti che prendono vita nella stanza, densi di paura e coraggio per un tempo che non si può fermare, e poi guardo fuori, e una coppia di piccioni che tubano, le foglie verdi di una pianta, mi parlano della stessa paura e dello stesso coraggio, della bellezza di tutto ciò che scorre e della sua caducità, e sento ancora una volta quanto siamo tutti una piccola grande parte di questo straziante e meraviglioso affresco.

Sempre più realizzo quanto possa essere proficuo affrontare in una psicoterapia la paura della morte. Che sia la paura d...
23/11/2023

Sempre più realizzo quanto possa essere proficuo affrontare in una psicoterapia la paura della morte.
Che sia la paura della morte delle persone che amiamo, o la paura della nostra morte (molto spesso la prima ci mette a confronto con la seconda), se affrontata e esplorata, anziché negata e censurata, può aprire la porta a fertili riflessioni sul senso della nostra vita e sciogliere al contempo importanti nodi nevrotici.
La morte ci può essere evocata da un qualsiasi grande cambiamento di vita, da una rinuncia, da un trasloco, dalla fine di una relazione, da una grande delusione. Da una scelta. In ognuno di questi casi, siamo costretti a salutare una parte di noi e ad affrontare un lutto. In ognuno di questi casi, ci confrontiamo con un inevitabile limite, constatiamo che non siamo infiniti, ci ricordiamo che prima o poi ci imbatteremo in una fine più grande.
L'obiettivo di alcune psicoterapie è proprio quello di riuscire a vivere serenamente e pienamente entro questo limite, e nella perenne elaborazione del lutto di non poterlo varcare.

Riguardo alla paura della morte, segnalo i bellissimi libri di Irvin Yalom.

Diamo acqua ai nostri desideri, anche a quelli più piccoli. Soprattutto a quelli più piccoli, che messi insieme ci orien...
07/08/2023

Diamo acqua ai nostri desideri, anche a quelli più piccoli. Soprattutto a quelli più piccoli, che messi insieme ci orientano nelle nostre giornate e danno senso all'unico tempo che realmente viviamo, quello presente.

🌺🌼🏵️🌸

Condivido questo bellissimo post perché la possibilità di cui parla è ciò verso cui può tendere un percorso di psicotera...
01/03/2023

Condivido questo bellissimo post perché la possibilità di cui parla è ciò verso cui può tendere un percorso di psicoterapia, ovvero la possibilità di comunicare agli altri ciò di cui abbiamo bisogno e, in generale, le emozioni che stiamo provando all'interno di una relazione di qualsiasi tipo.
Nelle varie strade in cui mi incammino nella mia professione con le persone che mi donano la loro fiducia, la fatica di chiedere ciò che serve emotivamente è immancabilmente presente, per i motivi più diversi, e porta con sé la sensazione di restare "appesi" agli altri e il malumore derivante dal non sentirsi compresi nei propri bisogni.
Esprimere una richiesta all'altro e comunicargli l'emozione provata può aiutare a sentirci attivi e in contatto con i nostri desideri, in relazione ma non più "legati" e non più in "attesa", e mette l'altro nella condizione di conoscerci realmente e di comprenderci.

"Mi dai un abbraccio?"
"La frase che mi hai detto mi ha ferita, ne possiamo riparlare?"
"Sei sempre al telefono quando siamo a cena, ciò mi fa sentire solo."
"Quando non rispondi per giorni alle mie chiamate e scompari, mi arrabbio, oltre a rimanerci male."
"Sabato andiamo a fare una bella passeggiata insieme? Ho desiderio di passare del tempo con te."

E poi, si, il dare coincide magicamente con il ricevere. 🌸

Serve saper chiedere ciò di cui si ha bisogno.

L'ho insegnato prima a Sōsuke e poi a Emilio, che quando le si desidera, le coccole vanno dette. Sono anzi qualcosa che ci si prende e qualcosa che si dà, al pari di un bicchiere d'acqua. Aspettarle va pure bene, ma ci si mette alla mercé dell'altro e l'insicurezza non fa bene a nessun tipo d'amore.

L'ho raccontato a Rovereto mesi fa, durante la presentazione che tanto ha viaggiato sul tema bambino, che capita spesso che, in qualunque luogo io mi trovi nella casa (sul mio letto, al lavello in cucina, a terra quando guardiamo un film), io gridi «Emergenza cocccoooooo» - che sta per «emergenza coccole».

Sento allora i passini di Sōsuke ed Emilio echeggiare da ogni punto, rimbombare sul legno del pavimento, ascolto le loro voci distinte che si chiamano, interrompendo all'istante ogni gioco, e persino ogni litigio. Arrivati vicino, mi si aggrappano forte, mi danno bacini, e carezze, mi promettono gesti speciali, spettacolini teatrali.

D'altronde, l'incanto di certe azioni è che dare viene a coincidere magicamente con il ricevere. Così coccolare è essere coccolati. Nutrire è essere nutriti.

Allora, tornando al discorso che facevo tempo fa sull'assenza nella lingua giapponese della parola "coccole", ho certezza che si debba nominare ciò che ci manca, insegnare agli altri la nostra maniera d'essere amati. Spiegarci.

Gridare all'occorrenza anche «Emergenza coccooooooo». ♥️

È in quel misterioso incastro della relazione terapeutica che trovano spazio e riconoscimento le emozioni più profonde c...
05/01/2023

È in quel misterioso incastro della relazione terapeutica che trovano spazio e riconoscimento le emozioni più profonde che muovono la mente umana, da quelle più legate a una particolare esperienza o fase della vita, come la tristezza per una separazione o la paura di un fallimento lavorativo, a quelle che attengono alle grandi domande sull'esistenza, come la paura della morte o la tristezza per il tempo che passa ineluttabile.
Tutte le sfumature e tutte le contraddizioni che animano una soggettività possono attraversare l'incontro terapeutico e da esso essere contenute, finalmente comprese, dotate di senso e quindi trasformate, proprio lì dove il giudizio viene messo alla porta e il tempo, almeno quello lineare, sospeso.

Quando la terapeuta va in ferie..... i racconti, le parole, gli umori, i ricordi, le gioie e le ferite di chi ascolta ne...
23/12/2022

Quando la terapeuta va in ferie..... i racconti, le parole, gli umori, i ricordi, le gioie e le ferite di chi ascolta nel suo lavoro non vengono cancellati o zittiti, ma restano lì, vivi, nella sua mente, come in uno scrigno, custoditi e accarezzati, e mescolati con i suoi racconti, parole, umori, ricordi, gioie e ferite, prendono la forma di un appassionato affresco di vita, sempre fonte di nutrimento e di meraviglia.

Un sereno Natale

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Probabilmente succede un po' a tutti, in misura diversa, di pensare di essere differenti dagli altri. E in effetti è cos...
14/12/2022

Probabilmente succede un po' a tutti, in misura diversa, di pensare di essere differenti dagli altri. E in effetti è così, nessuno è uguale all'altro, ognuno di noi è un universo a parte, con la propria storia, i propri fantasmi e le proprie speranze. Eppure, la comunicazione tra questi universi così differenti è possibile, anzi, gettare ponti tra diversità è ciò che rende viva una relazione.
Spesso le reazioni altrui alla nostra autenticità non risultano in linea con le nostre aspettative e di conseguenza non facilitano la nostra apertura. Altre volte, invece, siamo noi stessi a porre un accento marcato sul nostro essere "diverso" e "incompreso", forse per sfiducia, o per paura della relazione, o ancora per bisogno di controllo, finendo per rifugiarci in qualche angolo del nostro mondo.
Può essere sottile, infatti, il confine tra la percezione e consapevolezza della propria autenticità e la paura che possa essere scalfita dal contatto con l'altrui diversità. A volte possiamo scivolare verso la convinzione di non potere essere mai compresi, di non potere entrare in relazione con nessuno, di doverci in qualche modo autoescludere e isolare.
In questi casi possiamo considerare l'ipotesi che ci sentiamo così fragili nella nostra identità che il rapporto con gli altri ci appare come una contaminazione che possa in qualche modo snaturarci. Tante difficoltà relazionali possono rientrare in questi meccanismi.
L'incontro con l'altro e la sua diversità può costituire una minaccia per i nostri confini, se li percepiamo molto fragili. E fortificarli in maniera eccessiva, alzando enormi barricate, ci darà solo un sollievo temporaneo.
Il nodo cruciale è il timore, radicato in noi in punti precisi della nostra storia, che la relazione con gli altri tolga qualcosa alla relazione con noi stessi. Queste due dimensioni possono costituire, invece, meravigliosi vasi comunicanti, se mettiamo mano alle origini delle nostre paure.
Proviamo a chiederci quale risvolto della nostra diversità mettiamo in evidenza: quello che ci fa sentire unici come qualsiasi altro, e quindi sereni nel restare noi stessi anche nell'incontro con l'altro, o quello che ci fa sentire incompresi e lontani da tutti, al sicuro nel guardare il mondo dal rifugio della nostra finestra?

Sempre più constato che molti dei malesseri psicologici derivano da ingorghi emotivi senza nome e che gran parte delle p...
07/12/2022

Sempre più constato che molti dei malesseri psicologici derivano da ingorghi emotivi senza nome e che gran parte delle psicoterapie, ridotte all'osso, non sono altro che un approfondito lavoro di "alfabetizzazione" emotiva.
Riuscire a riconoscere ciò che si prova e darvi un nome, un'origine, un senso, può sembrare una questione banale, di poco conto, o comunque di facile risoluzione. Niente di più sbagliato.
La sfera emotiva è ciò che in parte ci orienta, determinando i nostri passi e le nostre scelte, innescando azioni e reazioni. Potere anche solo parzialmente definire l'assetto emotivo che ci muove in un determinato momento ci consente di comprendere meglio noi stessi e, di conseguenza, quando opportuno, esprimere agli altri quanto proviamo in maniera più chiara.
Sappiamo tutti bene quanto sia piuttosto facile rispondere alla domanda "Cosa stai pensando?", e sia invece molto più complesso rispondere alla domanda "Cosa stai provando?".
Le emozioni che ci sfuggono, o che preferiamo non conoscere, naturalmente non scompaiono, anzi, fanno dei giri tortuosi pur di farsi sentire. Ad esempio, possono sedimentare nel corpo e manifestarsi attraverso il canale dei malesseri fisici, oppure trasformarsi in un'altra emozione che forse riusciamo ad accogliere di più, come a volte capita alla tristezza che "preferiamo" tramutare in rabbia, o ancora possono congelarsi per non farci sentire nulla, a mo' di difesa, e lasciare il posto a rassicuranti razionalizzazioni.
Può essere utile quindi concedersi di esplorare questo mondo che abita in noi, un po' caotico e spesso pieno di contraddizioni, certo, ma sede della nostra autenticità e un'ottima bussola per le nostre decisioni. Esplorarlo e riconoscerlo porta con sé la possibilità di poterlo comunicare alle persone a cui teniamo, per far sì che anche loro possano comprenderlo, e a nostra volta di provare a comprendere gli altri e i loro ingorghi emotivi.
In questo senso, la psicoterapia può essere intesa come un'intensa e profonda "traduzione" delle emozioni, da una strana lingua priva di parole che ci può apparire soverchiante a una lingua fatta di parole e significati che possa invece contenerle e raccontarle.

Oggi è il 23 novembre, anniversario del devastante terremoto dell'Irpinia. Ascoltando e leggendo le testimonianze ancora...
23/11/2022

Oggi è il 23 novembre, anniversario del devastante terremoto dell'Irpinia. Ascoltando e leggendo le testimonianze ancora intense di chi visse sulla propria pelle quell'esperienza, ho riflettuto ancora una volta sulla potenza della rievocazione, a maggior ragione se collettiva, e sulla funzione riparatrice della memoria.
Ognuno di noi ha affrontato nella propria vita un evento o un periodo che ha probabilmente determinato il corso degli eventi successivi. Per qualcuno sarà stato un evento traumatico collettivo, come un terremoto o un'alluvione, per qualcun altro sarà stata invece un'esperienza individuale emotivamente intensa, come una separazione, una malattia, un incidente, una bocciatura a scuola. L'elenco dei "dolori" potrebbe essere infinito, perché ciò che rende doloroso e difficilmente elaborabile un evento è (anche) la percezione soggettiva che se ne ha.
Ogni persona, ripercorrendo con il ricordo le sue diverse stagioni di vita, probabilmente sa individuare con precisione quale sia stato il suo personale terremoto, cosa sia stato distrutto con esso e cosa invece sia stato possibile conservare per farne poi materia di ricostruzione.
Una ricostruzione è possibile lì dove è possibile una narrazione che, dapprima sfogo addolorato, con il tempo diviene racconto, e in quel racconto si può accedere a nuovi significati, sottolineare alcuni aspetti, metterne in ombra altri.
La narrazione è essa stessa un tentativo di elaborazione. Lo è in psicoterapia quando, dando voce alla propria interiorità, emergono nuove prospettive; lo è quando si mette su carta un proprio vissuto, e così facendo quello prende vie inaspettate; lo è quando dopo un lutto i familiari si siedono a un tavolo a rievocare il proprio caro e piano piano ricordano di lui anche ciò che faceva sorridere, e insieme ridono tra le lacrime.
La memoria non è solo portatrice dei dolori del passato, ma può servire a ricucire, rattoppare, testimoniare, curare le vecchie ferite, trasformarle in elementi di forza. Fare quindi da contenimento, con tutte le sue crepe.

Pezzetto dopo pezzetto, ora. 😊🔨🪜
21/11/2022

Pezzetto dopo pezzetto, ora. 😊🔨🪜

Sono passati più di due anni dall'inizio della pandemia. La vita di ognuno di noi è andata avanti, com'è giusto che sia....
07/11/2022

Sono passati più di due anni dall'inizio della pandemia. La vita di ognuno di noi è andata avanti, com'è giusto che sia. Complici le nuove emergenze, ci siamo buttati alle spalle i due anni pandemici, non potendoci fermare, riprendere fiato. Lieti d'altronde di aver ritrovato la nostra quotidianità, senza restrizioni e distanziamenti, viviamo quasi in un clima di rimozione di tutta la gamma di emozioni provate in quegli anni ancora così vicini.
È davvero alle nostre spalle ciò che abbiamo vissuto? Il dubbio mi viene raccogliendo le storie che ho l'onore di ascoltare nel mio lavoro, in cui spesso "il Covid" compare come uno spartiacque tra un prima e un dopo, all'interno dell'esperienza di vita, e il lockdown del 2020 come una dimensione a sé stante, potentemente evocativa, difficilmente paragonabile a qualsiasi altra situazione. Con il senno di poi e ad acque più calme, la dirompenza emotiva della pandemia, per i singoli e per l'intera società, appare ancora più evidente.
Mi chiedo quanto ci sia di inelaborato e indigerito riguardo a questo spartiacque che, se è avvertito come tale, deve avere lasciato un segno.
La morte di un proprio caro, la paura della malattia e della morte, la perdita del lavoro, la rabbia per le misure restrittive, la faticosa didattica a distanza, le tensioni sociali, l'isolamento, la diffidenza, la paranoia, la paura del contatto, e tanto altro, non posso essere di certo cancellati con un colpo di spugna. Soprattutto a livello relazionale e sociale, le conseguenze sono vive.
Se davvero questo è il momento in cui si raccolgono i cocci, potrebbe essere utile non limitarsi a mettere da parte le mascherine che abbiamo in giro per casa o in qualche borsa, ma chiederci anche quali altre tracce del 2020 sono in noi e come possiamo rimetterle insieme.

Indirizzo

Via Torino, 150
Rome

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