12/02/2025
Se non avete visto questo film urgente e imperdibile..leggete questa recensione dopo averlo visto. Affrettatevi prima che lo tolgano dalle sale 👍👍👍
𝑰𝒐 𝒔𝒐𝒏𝒐 𝒂𝒏𝒄𝒐𝒓𝒂 𝒒𝒖𝒊
𝐋𝐚 𝐫𝐞𝐜𝐢𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐅𝐞𝐫𝐧𝐚𝐧𝐝𝐚 𝐓𝐨𝐫𝐫𝐞𝐬
Recensione di Gianni Canova
Mater dolorosa.
Mater superba.
Mater furiosa.
Mater lacrimosa.
Incarna ed imprime sul suo volto tutte le espressioni e le sfumature della maternità ferita l’attrice Fernanda Torres nei panni di Eunice Paiva, moglie di un deputato laburista brasiliano sequestrato a casa sua da alcuni militari in borghese e strappato per sempre a lei, ai cinque figli e alla vita. Siamo a Rio de Janeiro all’inizio degli anni ’70. Dal 1964 il Brasile è nelle mani di una dittatura militare che sequestra, tortura e fa sparire tutti coloro che ritiene dissidenti e oppositori. I Paiva sono una famiglia felice. Libera e felice. Vivono in una grande casa luminosa e piena di libri che dà sulla spiaggia di Copacabana, amano il cinema (si citano La cinese di Godard e Blow up di Antonioni), la musica (John Lennon, Bob Marley, Gilberto Gil), i viaggi. E si amano. Ma la ferocia ottusa e sorda del potere irrompe in casa loro all’improvviso e distrugge tutto. Fine della luce, della libertà, della gioia di vivere. Il regista Walter Salles (che conosceva di persona i Paiva, e da ragazzo era amico dell’unico figlio maschio di Eunice) fa sprofondare il film nel buio: la prima cosa che fanno i torvi sgherri armati e in borghese che entrano in casa di prepotenza è chiudere le tende. Quasi a separare il dentro e il fuori. La luce e l’ombra. Il prima e il dopo. Dopo ci sono corridoi angusti, pavimenti sporchi, cappucci neri, rantoli e urla, interrogatori e protocolli, ricatti, sospetti e torture. Ma non è necessario mostrare tutto ciò in maniera sfacciata. Salles sceglie il registro del pudore e affida alla sua protagonista Fernanda Torres il compito di incarnare per noi la cognizione del dolore e la dignità di un’umanità offesa ma non piegata, non succube, mai sottomessa. Eunice combatte in silenzio. Caparbia e tenace. Ha perso il marito, il futuro, i soldi (le banche non le consentono di prelevare senza la firma del marito scomparso). Vuole tutelare i figli dalla tragica scoperta della verità. E deve convivere con gli agenti dei servizi segreti che le sia piazzano in casa o stazionano in modo permanente sulla strada per spiare ogni suo minimo gesto. Subisce minacce a avvertimenti continui, Eunice. Ma non si dà per vinta. Non piange (quasi) mai. Sorride perfino al fotografo di un giornale che vorrebbe da lei un’espressione più contrita e addolorata. È dignitosa anche nel dolore. Con una prossemica contenuta e una straordinaria economia di gesti e sguardi Fernanda Torres dà vita a una figura di madre indimenticabile: nessuna esagerazione, niente iperboli o sottolineature melodrammatiche. Con discrezione e misura, ma anche con indomita fierezza, la sua Eunice non cessa di indagare sulla scomparsa del marito (solo nel 1996 il governo brasiliano ne certificherà la morte, ma il corpo non verrà mai ritrovato). Intanto studia, si laurea a 48 anni e diventa un’attivista dei diritti umani. Storia vera, storia amara. Storia di dignità e brutalità. Storia di resistenza. Cose che sapevamo già? Quand’anche fosse, certe cose non si sanno mai abbastanza. Non bisogna mai smettere di raccontarle. E Walter Salles lo fa da sempre, fin dal suo celeberrimo Central do Brasil, 1998, la cui protagonista, Fernanda Montenegro, ormai 95 enne, nella vita madre di Fernanda Torres, interpreta nella scena finale Eunice novantenne, sulla sedia a rotelle e divorata dall’Alzheimer: quasi un passaggio di testimone da un’attrice all’altra, da madre a figlia, dentro un’idea di cinema che si offre a tutti noi proprio come testimonianza. Non a caso la figlia maggiore di Rubens e Eunice gira in continuazione filmini in Super 8 e Eunice li guarda e riguarda, nonostante la loro grana sfuocata, le inquadrature tremolanti e imprecise, perché lì – come nelle fotografie onnipresenti nella casa dei Paiva – c’è l’impronta di una felicità possibile che solo il cinema sa conservare con tale intensità emozionale. Se Rubens Paiva è ancora qui è grazie al film che lo racconta. È il cinema che sottrae noi tutti al nostro destino di inevitabile transitorietà. Proprio per questo film come quelli di Walter Salles sono preziosi e necessari: perché ci ricordano come il cinema può essere argine e contrasto ai tanti totalitarismi e alle tante autocrazie che – oggi come ieri – vorrebbero cancellare e nascondere il ricordo dei loro crimini. Meriterebbe l’Oscar, Fernanda Torres. E a chi pensa che storie come queste non ci riguardano vale la pena di ricordare che fino al 2023 in Brasile governava un certo Bolsonaro, dichiaratamente nostalgico del regime militare dei Gorillas. Del resto anche oggi non sono pochi i paesi al mondo in cui chi non si allinea e non ossequia il potere viene fatto sparire. Nel silenzio e nel buio, senza neanche un film che lo faccia essere ancora qui.