07/08/2025
Qualche giorno fa è accaduto un episodio che mi ha colpita. Protagonista, un ragazzino con autismo che da qualche anno sta compiendo piccoli ma importanti passi verso l’apertura agli altri.
Adesso spesso quando incontra qualcuno, anche per strada, si avvicina e chiede con spontaneità e gentilezza: “Ciao, come stai?”. È il suo modo di entrare in relazione, di cercare un contatto.
A volte, però, capita che la persona a cui si rivolge sia distratta, allora lui può mettere una mano sulla spalla dell’altro come per dire: “ehi, ci sono anch’io, ti sto parlando.”
Non è mai un gesto aggressivo. Forse può sembrare invadente e posso capirlo, ma è un gesto genuino, ingenuo... il tentativo, ancora un po’ goffo, di comunicare, di richiamare l’attenzione.
Molte persone, per fortuna, rispondono. Alcune ricambiano il saluto, scambiano due parole, o almeno gli dedicano un sorriso. Ma ce ne sono altre — troppe — che lo ignorano completamente, come se fosse trasparente. Altre ancora lo guardano storto, infastidite da una domanda così semplice.
E poi c’è stata quella persona, pochi giorni fa, che ha reagito in modo violento, gridandogli addosso: “Non mi toccare!!!”
Lui è rimasto colpito ed è stato nervoso tutto il giorno.
Perché quella reazione così dura, così sproporzionata, ha rotto un suo schema, lo ha fatto sentire sbagliato, indesiderato, rifiutato. Eppure voleva solo salutare.
Sì, è vero, ora in terapia dovrà affrontare anche questo. Imparerà, con calma e con l’aiuto della sua amorevole famiglia che non si toccano gli sconosciuti, che certe regole sociali esistono e vanno rispettate, anche se a volte sono complicate da capire. Ma non si può fare a meno di domandarsi: è possibile che sia più facile insegnare a un bambino autistico a controllare questi gesti, che non aspettarsi da una persona cosiddetta neurotipica un minimo di comprensione, di tolleranza, di empatia?
Perché è questo il punto. Ci si aspetta che chi vive nel mondo della neurodiversità faccia uno sforzo continuo per adattarsi, per adeguarsi alle regole implicite che gli altri danno per scontate, mentre spesso chi quelle regole le conosce benissimo non si sforza affatto di capire chi è diverso, o semplicemente non risponde con gentilezza a un saluto disarmante nella sua autenticità.
Non si tratta di giustificare tutto. Si tratta di educare lo sguardo. Perché ogni giorno ci passano accanto persone che stanno imparando a vivere in un mondo che spesso non è pensato per loro. E non chiedono molto. Spesso basta solo un sorriso.
O un semplice:
“Ciao, sto bene. E tu?” 💬❤️