La Stanza della Psicologia

La Stanza della Psicologia luogo virtuale nel quale si affrontano tutte le tematiche riguardanti la psiche

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Mi sono soffermata a riflettere su questo passo tratto dal libro che ho finito da tempo e che ora, dopo grande indecisio...
27/09/2025

Mi sono soffermata a riflettere su questo passo tratto dal libro che ho finito da tempo e che ora, dopo grande indecisione per via dell'autocritica che sempre mi caratterizza nei confronti di quanto scrivo, è in via di pubblicazione. Mentre correggo le bozze, queste parole che avevo dimenticato ( chissà perché non rileggo mai ciò che scrivo) mi fanno riflettere e forse faranno riflettere chi legge.

"Raccontarsi non è mai veritiero. Ricordare, riflettere sul passato, comporta il rischio di potenti deviazioni dalla realtà che viene trasfigurata ora in un modo, ora in un altro, a seconda dell’umore del momento. Si cercano e si trovano ragioni che rispondano agli infiniti perché insoluti, destinati a non avere mai risposta certa. Infinite e insondabili sono le ragioni che possano offrire spiegazioni plausibili alle nostre vite ingarbugliate e irrisolte. Fino a che capiamo che non c’è mai un perché dei nostri dialoghi labirintici interiori e ci rendiamo conto che la nostra storia, che per noi è unica e irripetibile, e pensiamo addirittura irrimediabile, non è altro che un dettaglio di un affresco immenso che ci sfugge nella sua interezza quando lo guardiamo da troppo vicino. Quando poi lo guardiamo dalla giusta distanza, assume il preciso significato che non a caso ha [...]

Ma questo sguardo complessivo lo può dare solo il tempo e allora, solo allora, comprendiamo che quella minuta sagoma è ben definita e non è altro che la nostra storia, la nostra piccola storia, degna di significato nella sua apparente inezia."

26/09/2025

La vita ci sorprende sempre, anche se non ci rendiamo conto dei continui micromutamenti che accadono fuori e dentro di noi. Di questi difficilmente accorgiamo. Poi, all'improvviso, si verifica un evento esterno che sovverte pensieri, convinzioni, lo stato d'animo, e percepiamo il mondo tutto, le persone, le cose e noi stessi diversamente. Questo fenomeno ci può turbare sia in senso positivo che in senso negativo. Se ci disturba neghiamo, poniamo in essere potenti manovre di evitamento che riconducono alle vecchie abitudini per ristabilire l'omeostasi del sistema che, per sua natura, non tollera sconvolgimenti.
Ma possono accadere eventi inaspettati molto piacevoli e che non ci saremmo mai immaginati o non ci aspettavamo più che accadessero. Sembrano miracoli e non ci rendiamo conto che non sono certo fenomeni soprannaturali ma solo frutti del caso. Come quando si vince una lotteria.
L'essere umano desidera novità, emozioni, cambiamenti, ma raramente possiede in sé gli strumenti atti a gestirli poiché tende a esaltarsi, a superare il limite. Le parti emotive prendono il sopravvento.
Per una vincita al gioco ci si può rovinare. Così per un grande successo dopo anni di insuccessi, tanto nel lavoro quanto nella vita affettiva. Ci si sente forti, potenti, vincenti nella partita a scacchi con la vita. Si dimentica che tutto può cambiare dal momento che l'essere umano è imprevedibile per le sue innate contraddizioni.
È qui che la ragione deve tenere le briglia strette e governare i facili entusiasmi. Quanti amori nati a prima vista svaniscono se non si è allineati interiormente.
Il successo raggiunto con il proprio lavoro non inorgoglisce. L'amore conquistato con ponderazione e saggezza non è un falò che si spegnerà alla prima pioggia.
Tutto ciò che viene dal caso è affidato al caso.
La vita è così, imprevedibile come la natura, oggi c'è il sole e domani chissà.
Il problema è che l'essere umano si lascia travolgere dal momento.
Credo sia opportuno non credere al caso né al destino ma nell'impegno che mettiamo.per raggiungere i nostri obiettivi.

16/09/2025

"Ci sono persone che avere accanto mettono a disagio, ma è impossibile lasciare."
È una frase estratta dal libro che sto per pubblicare. È il pensiero che attraversa la mente della protagonista di questo racconto. Ci sto riflettendo sopra e dico che è di una verità sconcertante.
Siamo abitati da contraddizioni costanti poiché siamo umani. La ragione non può darne spiegazioni anche se vorremmo sempre trovare un perché a ogni moto dell'anima. Neanche il cuore le sa trovare, anzi, svia suggerendo ora una verità e ora un'altra. Credo che sia meglio fare silenzio e lasciare il punto interrogativo. Tutto ciò che proviamo accade e basta, senza un motivo a noi comprensibile. Che fare allora? Stare fermi e rimanere nel dubbio fino a che non si scioglierà da solo quando avvertiremo una voce sottile, non un rumore fragoroso, un tuono. Solo nell'assoluto silenzio della mente potrà filtrare quella verità nascosta che ci sussurra ciò che è bene e ciò che è male, se fuggire o rimanere lì dove siamo. Dobbiamo solo ascoltare.
Solo un'analisi di quanto accade nel nostro sé profondo può permetterci di contattare i nostri dilemmi interiori, comprenderli, accettarli e infine scioglierli. Se non mi conosco e non mi riconosco nella continua lotta interiore, se non la vedo e non la accetto, non mi libero. La vita sembra un caos e si prende la decisione più comoda, quella che passa per la via larga. Scappo via da me e basta.
La protagonista del mio romanzo ha la capacità di rivedere tutta la sua vita, con dolore e orrore, e infine trova la forza di agire, non di continuare a porsi domande inutili. L'azione sblocca e apre a svolte imprevedibili.
Quando siamo indecisi e proviamo sentimenti contraddittori, è necessario dire stop. Passiamo all'azione che quella voce sottile ci suggerisce e non è altro che la coscienza morale, non quella razionale. Ci fidiamo e procediamo sicuri. Sappiamo distinguere il bene dal male.
La protagonista del mio libro così farà.

Ritornare sui propri passi, riconoscere gli errori commessi, chiedere scusa e perdono con sincerità di cuore, è un passo...
11/09/2025

Ritornare sui propri passi, riconoscere gli errori commessi, chiedere scusa e perdono con sincerità di cuore, è un passo di grande maturità. Come del resto è atto maturo accogliere le scuse e perdonare il torto ricevuto. Quando accade questa riconciliazione proviamo un senso di leggerezza, ci siamo liberati dal passato e siamo pronti a una vita rigenerata.
Accade nella vita di riprendere un rapporto quando chi lo ha interrotto si pente di averlo fatto e si rende conto di quanto smarrimento ha causato.
Può accadere che una persona cara che credevamo perduta per sempre, avesse invece incontrato un ostacolo che in quel momento gli sembrava insormontabile e si fosse allontanata determinando in noi, ignari della situazione che stava attraversando, tanto disorientamento.
Si ripresenta, dopo molto tempo, sinceramente contrita e dispiaciuta del disagio arrecato e ci dice che si può ora di nuovo percorrere insieme il cammino.
È un'immensa gioia. La vita si riaccende e si riprende il filo buono interrotto, perché il filo può essere davvero buono.
Questa è la strada per risanare contrasti, sciocche incomprensioni.
Dobbiamo sempre accogliere un sincero pentimento, comprendere e saper perdonare, riconoscendo in primis anche le nostre responsabilità, se ne abbiamo, di quanto è accaduto.
Non accade tra i popoli in guerra, no, non accade, per presunzione, delirio di supremazia e infinite perverse ragioni.
Cerchiamo almeno noi, nel nostro piccolo, di fare il nostro meglio.

07/09/2025

Il disturbo narcisistico della personalità è fra i più severi diagnosticati. Per esprimersi su di esso è necessaria una profonda conoscenza e comprensione della sofferenza che comporta.
È molto difficile da trattare per noi analisti. Vi è un'infinita gamma di variabili e spesso è in comorbilità con altri disturbi.
Sia nella sua manifestazione più grandiosa, più manifestamente riconoscibile, sia in quella più nascosta, si caratterizza da stati depressivi a volte di lunga durata. Sono pazienti con alta vulnerabilità, estremamente dipendenti dal giudizio esterno.
Le cause sono varie: sono stati bambini dotati per natura di particolare sensibilità al condizionamento familiare che può averli spinti al successo, al primato, o al contrario ha demolito la loro autostima proponendo traguardi irraggiungibili. In entrambi i casi non hanno potuto sviluppare un'immagine realistica di sé.
Si rivolgono a un terapeuta solo nei momenti in cui avvertono la loro fragilità, ma spesso vanno avanti inconsapevoli avendo appreso strategie per nasconderla a sé stessi e agli altri.
La cura farmacologica risulta inefficace, anche se nello stato depressivo grave è opportuno l'aiuto farmacologico. Tuttavia non risolve il problema quando la personalità si è già strutturata.
Le relazioni che queste persone stabiliscono, soprattutto in ambito affettivo, producono gravi danni non solo agli altri, considerati oggetti per colmare il vuoto interiore e la costante insoddisfazione, ma anche a loro stessi poiché vivono pessimamente ogni insuccesso, critica, abbandono.
Vivono male la solitudine poiché mancano di una reale percezione di sé e del mondo.
Le convinzioni sono distorte, tendono a giustificare il loro comportamento e a colpevolizzare chi non li apprezza come vorrebbero. Possono arrivare ad atti autolesionistici dovuti all'incapacitá di regolare le emozioni.
Le persone che si relazionano con loro vanno incontro a grandi sofferenze per le manipolazioni subite e l'assoluta mancanza di sincerità. Purtroppo sono inconsapevoli dei loro problemi, hanno anch'esse bassa capacità di discernimento e autostima e sono attratte da chi sembra inizialmente farle sentire importanti ed uniche.
Quando si rendono conto, rivolgendosi a un terapeuta, di questo bisogno infantile rimasto vivo e si impegnano in un lavoro di analisi che va in profondità, se ne possono liberare attraverso un percorso lungo e doloroso di comprensione di sé e dell'altro superando giudizi e desideri inutili di vendetta.
È necessario comprendersi e comprendere, eliminando sensi di colpa e colpe da attribuire all'altro.
Il narcisismo patologico è un disturbo grave ed è necessario rendersi conto che si è avuto a che fare con una persona gravemente danneggiata e inconsapevole delle conseguenze delle sue azioni. Altrimenti non si esce mai dalla spirale di odio e risentimento, sentimenti sempre autodistruttivi.
Chi è portatore del disturbo narcisistico è talmente radicato nei suoi schemi compulsivi che raramente potrà guarire da esso. Potrà forse in parte migliorare sottoponendosi con impegno a un trattamento psicoanalitico o psicoterapico che può durare anche tutta la vita.
La compulsione a ripetere schemi di pensiero e comportamento acquisiti negli anni può in un attimo distruggere il lavoro di anni. Devono essere costantemente monitorati, e spesso non basta neanche questo.
Invecchiando il disturbo non può, senza aiuto, che peggiorare e l'ultima stagione della vita può essere vissuta molto male dopo infiniti tentativi e fallimenti.
Dobbiamo comprendere la grande sofferenza cui vanno incontro. Sono persone razionalmente intelligenti, ma la loro intelligenza non è accompagnata dalla capacità di vivere il sentimento.
È mancata una vera e propria educazione al sentire il dolore e la gioia che fanno parte della vita.
Per fuggire dal nulla interiore, dal vuoto che non saprebbero come gestire, hanno eliminato la capacità di sentire. Così vivono una vita che avvertono come priva di senso se non riempita dalla ricerca spasmodica di effimere emozioni.
Hanno un sé frammentato, le funzioni del mondo interiore sono scisse.
La cura deve basarsi sulla ricerca della loro ricomposizione ma raramente riusciranno a contattare il loro vero sé. Rimangono il più delle volte ancorati all'Io fittizio che hanno dovuto costruire e che è destinato continuamente a disgregarsi lasciandoli in un senso di vuoto incolmabile e di insopportabilità della vita.
Questo stato può portare a tentare anche più volte il suicidio.
Ecco perché dico che dobbiamo comprendere e non infierire.
Chi entra in relazione con queste persone deve comunque allontanarsene per propria autoconservazione e non essere complice del male che l'altro causa, anche a sé stesso.

https://youtu.be/pknugftP5Jg?si=BVkZNF99RKxAff2q

I pazienti inguaribiliPerché non dire la verità?  Si sa che la verità è scomoda, soprattutto per chi come me ha dato la ...
27/08/2025

I pazienti inguaribili

Perché non dire la verità? Si sa che la verità è scomoda, soprattutto per chi come me ha dato la sua vita a curare pazienti di ogni genere. Ma la verità bisogna pur dirla, anche rischiando aspre critiche.

Leggo, sento affermare che non vi è disturbo psichico, anche il più serio (e mi riferisco ai più compromettenti disturbi della personalità) dal quale non si possa guarire. E poi "guarire" è un verbo che non mi piace, sa di miracolo, e noi terapeuti non abbiamo poteri taumaturgici. Diciamo meglio liberarsi da qualcosa che affligge l'essere umano e non lo rende capace di trovare il senso della propria vita.

Alcuni pazienti, pochi in verità, pur sottoposti a ogni tentativo di cura farmacologica e psicologica, pur avendo raggiunto la consapevolezza delle cause della loro infelicità e conoscendo il modo per uscirne, rimangono bloccati negli schemi appresi e non riescono a operare quella vera e propria conversione di marcia che apparentemente desiderano. Eppure hanno trascorso una vita in psicoterapie o psicoanalisi di ogni genere, tutte risultate inefficaci e dichiarate fallimentari. Hanno cambiato non so quanti terapeuti, sono stati e continuano a essere assidui nell'assumere i farmaci prescritti.

Niente da fare. Può anche darsi che nessun terapeuta sia stato all'altezza e che i farmaci prescritti siano sbagliati. Può essere certamente che in certi casi tutti gli psicoterapeuti, gli psichiatri, gli psicoanalisti, i guru, i maestri di saggezza, di ogni setta e indirizzo, abbiano fallito nel loro intento o che a volte qualsiasi metodo di cura psicologica sia per natura inefficace.

È una possibilità, chi può dirlo. È comunque senza dubbio la convinzione di coloro che non ne hanno tratto alcun beneficio.

C'è sempre tuttavia da domandarsi se vi sia una ragione del fallimento di ogni possibile cura, e quale sia, dal momento che si è tentato di tutto e di più. Chissà, la scienza ha anch'essa i suoi limiti e chi può mai arrivare a comprendere razionalmente le contraddizioni della psiche umana, perché mai un essere umano, a differenza di qualunque altro animale, ami a volte più l'autodistruzione che la preservazione della vita. Quella sorta di necrofilia di cui parlava Fromm.

Ciò accade ovviamente ai pazienti affetti da gravi disturbi della personalità. Si sono a tal punto identificati col loro modo di pensare e di relazionarsi che fuoriuscirne rappresenterebbe la perdita della loro identità, del loro Io cui non vogliono, non possono rinunciare. Sarebbe come perdere il corpo, la pelle e tutti gli organi che tengono in vita. Sarebbe contattare e non combattere quel vuoto di senso che in verità è da sempre presente e non si può sostenere, si deve in qualche modo combattere, riempire, anche con cibo avariato.

Non tutti i pazienti sono in grado di affrontare questo stato, vissuto come un tremendo dèmone, e compiere una vera e propria rivoluzione che li liberi non tanto da esso quanto da sé stessi. Ci può essere un qualche miglioramento, ma bisogna vedere se sia momentaneo, apparente, non destinato a produrre una reale trasformazione. Del resto, qualunque essere vivente ha una sua natura, una sua "forma" e un cespuglio di rovi non potrà mai diventare un baobab. Potrà liberarsi da qualche intreccio spinoso ma non potrà procedere oltre. A meno che... C'è sempre un almeno che: accettare la propria natura e migliorarla seguendo la sua precipua traiettoria. In natura tutto ha un suo valore, dal filo d'erba alla pianta più maestosa purché non sia deviata dal suo naturale processo di evoluzione.

Purtroppo accade che gli esseri umani si affezionino al malessere esistenziale, alle spine che li pungono, e alcuni non se ne vogliano in alcun modo liberare. Pensano che, ripetendo schemi cognitivi e comportamentali acquisiti e ben radicati in qualche area del cervello, se ne libereranno, provando e riprovando sempre alla stessa maniera. Come un giocatore che, pur avendo perso tutto, riprova con l'assurda convinzione che si rifarà alla prossima giocata e punta tutto, anche se pieno di debiti insoluti, sempre allo stesso modo e sullo stesso numero.

Sono processi che accadono nelle profondità della psiche e di cui non ci si rende minimamente conto.

La "guarigione" non accade se non si vuole veramente guarire, con tutta l'anima e l'impegno necessario. Nei Vangeli perfino Gesù sa bene che il miracolo non accadrà se non sinceramente richiesto dal profondo del cuore. "Vuoi tu guarire?", questa è la domanda rivolta al paralitico bloccato da trentotto anni sul bordo della piscina. "Sì, lo voglio" è la risposta, una risposta che indica non solo il desiderio di recuperare la salute, ma la fiducia assoluta nella potenza della vita, del bene sul male, una fiducia nell'altro e nelle proprie possibilità.

Purtroppo, disgraziatamente, questa fede-fiducia in alcuni esseri umani non sussiste, non si è potuta sviluppare, vuoi per l'ambiente, vuoi per chissà quale altra oscura causa, forse biologica, o forse no. Fatto sta che il seme è germogliato a modo suo.

Io terapeuta non posso "volere" al posto del mio paziente. Mi impegnerò con tutta me stessa, ma non ho il potere di piegare la volontà di nessuno. Il paziente inguaribile afferma di volere, ma in lui è presente una controvolontà che lo conduce in tutt'altra direzione.

Il lavoro terapeutico si fa in due, remando nella stessa direzione. Se il paziente, pur sempre accondiscendente nell'ora di terapia, tornato sui suoi passi agisce a modo suo, disfacendo come Penelope la tela, il lavoro è improduttivo e dannoso tanto per il paziente quanto per il terapeuta che si è tanto adoperato.

Pertanto, quando ho davanti a me un paziente che nonostante tutto l'impegno dei tanti colleghi che mi hanno.preceduto e nonostante la mia totale dedizione
si rivela resistente a ogni pur minimo cambiamento, anzi, fa di tutto per contrastarlo, dopo avere chiarito bene, sia dentro di me che nell'altro, quanto accade, lo invito garbatamente, con il massimo rispetto e con tutta la comprensione del suo stato di sofferenza, a prendere atto che non intendo più seguirlo.
Sarebbe un dispendio di tempo e denaro per lui inutile e per me disonesto.

Non voglio ingannare nessuno, non mi interessa il mio tornaconto. Sono consapevole delle mie possibilità e dei miei limiti e sono responsabile nei confronti dell'altro che è responsabile infine solo lui dell'uso che farà del tempo di vita che gli è dato.

Un "gioco psicologico" molto diffuso Molti si pongono nei rapporti come persone molto sensibili, sofferenti, bisognose d...
10/08/2025

Un "gioco psicologico" molto diffuso

Molti si pongono nei rapporti come persone molto sensibili, sofferenti, bisognose di comprensione e aiuto. A un esame attento e approfondito quali messaggi in realtà vengono inviati a chi si relaziona con loro? Dietro le parole si nasconde un non detto, una "transazione ulteriore", come direbbe Eric Berne, un vero e proprio imperativo: tu mi devi comprendere, accettare, tu devi...
L'altro potrebbe subito essere agganciato da tale richiesta non per nobile compassione ma per sentirsi importante o evitare sensi di colpa. Il gancio lanciato è preso e il gioco è fatto. La vittima, l'infelice della terra, in realtà è riuscito gettando l'esca nel suo intento che altro non è se non il bisogno di esercitare potere sull'altro, in modo sottile e manipolatorio. Dopodiché i ruoli si invertiranno. La cosiddetta vittima continuerà nel suo tacito comando fino a che non diverrà manifesto e sarà il momento dell'accusa: "Tu non sei capace di corrispondere alle mie richieste, non mi soddisfi, hai fallito". L'altro si impegnerà a fare ancora di più con sacrificio e sforzo sovrumano fino a che non si sentirà deficitario e colpevole. La vittima mostrerà il volto celato, persecutorio e vendicativo, e il soccorritore andrà ad occupare il ruolo della vittima.

Concludendo, dobbiamo stare attenti alle mani che si protendono verso di noi in cerca di salvezza. Nascondono un uncino al quale si rimane aggrappati come pesci ed è assai difficile liberarsi.

La presunta vittima è inconsapevolmente il più potente tiranno sulla faccia della terra e colui o colei che vuole salvarlo non è altro che un povero bambino che cerca di dimostrare a sé stesso di valere qualcosa, dal momento che nel profondo non ha maturato la percezione del suo valore.

Il tutto accade per forze inconsce di cui non si è padroni, spesso con le migliori intenzioni, in buona fede e con la speranza che sia giunta l'occasione buona che risolverà antichi problemi, dopo un'ininterrotta serie di tentativi che hanno seminato macerie.

Ma l'essere umano è di cervice dura, ripete e ripete gli stessi schemi, pensa che il tempo e le esperienze dolorose vissute lo abbiano reso consapevole, pensa di essere cambiato. Il pensiero inganna e rende ciechi.

Si vorrebbe che i traumi infantili non elaborati a dovere si risolvessero attraverso una nuova relazione che, guarda caso, li riproporrà poiché si vogliono saturare "quelle" ferite, non altre, e si cercherà proprio qualcuno con cui riviverle, la fotocopia di quel genitore assente o presente negativamente, per sconfiggerlo vincendo la partita.

Quante relazioni partono così? Moltissime.
E poi sapete come vanno a finire? Molto male naturalmente. Il salvatore professionista si riconfermerà nella convinzione atavica di essere un incapace e la vittima mostrerà il latente bisogno di controllo sull'altro per riscattarsi da chissà quale disastrosa infanzia.

Sono molti i cosiddetti "giochi psicologici" che tutt'altro sono che giochi. Quelli di primo grado si raccontano agli amici, quelli di secondo grado in genere si preferisce non raccontarli. Quelli poi di terzo grado conducono diritti all'ospedale o all'obitorio.

Eppure gli esseri umani ne sono affascinati, sono un modo emozionante di passare il tempo, un modo per riempire la voragine interiore, evadere dalla solitudine cui ci si sente condannati. Inoltre in fondo un tornaconto lo forniscono sempre: la riconferma del proprio copione imparato a memoria così bene sin da piccoli.

In queste drammatiche situazioni, come le definì quel genio di Karpman che vide nel "triangolo drammatico" la struttura di ogni nevrosi, alla fine si è tutti perdenti e si ritorna alla condizione primaria.
Attenzione dunque a chi ci chiede comprensione e aiuto, al modo in cui si esprime, si narra, parlando delle sventure subite a causa degli altri, ma anche facendo mea culpa.

Un buon terapeuta si rende subito conto del messaggio "ulteriore" che gli arriva e non abbocca di certo, a meno che non abbia risolto un suo atavico problema che lo spinge a far qualcosa per l'altro al fine di sentirsi importante.

Una persona matura che realmente soffre non si pone in tal modo all'inizio di un rapporto, da subito sciorinando i suoi guai o anche tentando di mascherarli. Anzi, una persona matura evita accuratamente di dar inizio a un rapporto prima di avere ripulito ben bene la stanza della sua anima.

Tra due persone quello che parla è sempre l'inconscio ed è proprio per questo che disgraziatamente si aggancia.

La vera sofferenza è discreta, dignitosa, silenziosa, non pretende nulla da nessuno, anche perché chi soffre realmente sa che nessun altro essere umano potrà salvarlo dalle sue sventure.

È cosa buona, saggia, aiutare chi si trova nel dolore, ma per dare un vero aiuto è necessario essere persone integrate, non volere essere di più di quello che realmente si è, limitarsi a un silenzioso abbraccio, poche parole, ché tanto non serve di più, e aiutare materialmente quando è necessario dando ciò che si ha a chi realmente non ha.

Noi terapeuti agiamo in modo particolare ovviamente, non rinforziamo comportamenti di lamento e autocommiserazione. Abbiamo il compito di condurre il paziente a conoscere sé stesso, le sue dinamiche e tutti gli stereotipi che pone in essere pur di ottenere potere e quel mancato riconoscimento che dovrà trovare in sé, non certo fuori.

A volte dobbiamo essere "duri", nel senso che non dobbiamo lasciarci prendere da compassione, sentimento pericoloso dal momento che pone l'altro più in basso di noi. Dobbiamo essere accoglienti, ascoltare, ma deviare a poco a poco con fermezza il paziente dal suo rimuginare lamentoso, scoprirlo e ricoprirlo fino a che non sarà in grado di accogliere la sua non facile realtà. Questo se vogliamo evitare il fallimento del nostro intento di curare.

Noi non siamo di più dei nostri pazienti, né di meno. Non li "salviamo". Restituiamo a chi si rivolge a noi il senso del suo valore e con esso la capacità di sostenere quelle verità scomode da cui vorrebbe inutilmente evadere.

Questo lavoro richiede tempo, soprattutto se i pazienti non sono più giovani e recitano da una vita il copione appreso, che non è un vestito ma la loro stessa pelle. Andiamo per gradi, con piccole bruciature. Aspettiamo che si rimarginino e procediamo via via con altre fino a che la "muta" non sarà interamente completata.

06/08/2025

L'abitudine

Tutti abbiamo le nostre abitudini, a volte buone, ottime, a volte pessime, ma guai a cambiarle. Cambiarle tuttavia è una richiesta imperativa da parte degli eventi a cui siamo necessitati a rispondere. All'inizio si ha la sensazione di perdere quasi la propria identità, a tal punto sono diventati modi di essere al mondo. È solo il nostro modo di pensarci, un'immagine creata dall'Io per riconoscerci, riconfermarci. Ma quello che chiamiamo "Io" è solo una minima parte di ciò che siamo e non ci permette di accedere a ciò che potremmo essere. Peccato. È difficile abbandonare il simulacro dell'Io e avventurarsi in terre sconosciute, ma se non lo facciamo rimaniamo imprigionati nella nostra piccola storia, quella narrazione che facciamo di noi stessi. Siamo talmente abituati a questo nostro Io da seppellircici dentro. Una sventura. L'Io è quel che crediamo di essere, non la vera essenza di noi.

https://youtu.be/gFCL90dQZP4?si=JFywgSs3kzEsVlgo

30/07/2025

Ho voluto toccare un argomento molto delicato: Il tradimento.

Perché si tradisce? Molti e diversi sono i motivi alla base di tale comportamento. Il terapeuta ascolta con neutralità e totale assenza di giudizio. il mio compito è aiutare i miei pazienti a comprendere cosa li ha indotti a tradire, quali sono i loro profondi desideri, le loro mancanze, ma anche a comprendere il comportamento del partner. Il mio invito è sempre quello a parlare, non continuare a tacere. Il tradimento può complicare anziché semplificare una situazione già tanto complessa. Sia che chi si rivolge a me sia il traditore, sia il tradito, il mio compito è arrivare a una profonda conoscenza di sé per cercare di comprendere anche l'altro e poter giungere a effettuare una scelta ponderata e consapevole sul da farsi. A volte la comprensione di sé e dell'altro può portare a un superamento. Altre volte sarà meglio arrivare a una separazione matura e cosciente delle conseguenze sull'eventuale famiglia che si è costruita. Tutto deve partire dalla profonda conoscenza di ciò che veramente si è, si desidera, e di ciò che realmente si è in grado di fare, per non incorrere in una situazione analoga a quella precedente. Tradire non è mai la soluzione, anche se talora può anche dare una scossa e rimettere in piedi qualcosa di instabile. È sempre bene la chiarezza, sia che la relazione si stabilizzi, sia che giunga al suo termine.

https://youtu.be/YuKcAlF4J7Q?si=UVnAyeJ1BSh_r7_n

24/07/2025

La maggior parte delle persone che si rivolgono a me lo fanno per difficoltà relazionali. Perché è tanto difficile trovare un amore vero, che duri nel tempo, soprattutto quando non si è più giovani? Quali sono le aspettative? Per trovare un partner giusto bisogna prima prendere consapevolezza di quanto si sia veramente pronti ad amare. Non basta desiderare che il miracolo accada. Si richiede una buona conoscenza di sé stessi, il raggiungimento di un buon livello di integrazione interiore che si ha abbandonando bisogni di risoluzione dei propri problemi da parte di un'altro essere umano. Oggi è sempre più difficile a causa dell'isolamento a cui l'essere umano sembra essersi abituato. Ci si avventura in un rapporto nel tentativo di sfuggire a esso, ma senza aver esplorato gli aspetti più profondi e scomodi della propria personalità. Si cerca di riempire il vuoto esistenziale, connaturato nell'essere umano, attraverso un appagamento che non sarà mai sufficiente. Si è ciechi, affamati, disperati, incapaci di trovare in sé il senso della propria vita. Se si parte da queste premesse, da fallimenti ripetitivi precedenti, sarà impossibile trovare la persona che soddisfi le proprie esigenze, divenute sempre più grandi. Inoltre non si può ricostruire nulla sulle macerie del passato. Per costruire un nuovo edificio bisogna radere al suolo i resti di quello preesistente. È indispensabile rivedere tutta la propria storia, togliere i residuati di un passato che non ha dato frutti e che persistono ancora incidendo sulle scelte. Azzerare le motivazioni che hanno causato l'insuccesso, stare ben in equilibrio sentendosi in grado di affrontare la vita contando sulle proprie forze. Non avere bisogno di riconoscimento esterno. Allora solo si è pronti ad amare e può accadere l'incontro auspicato. Quando non si è più giovani è comunque necessario, anche se difficile, avere un progetto di vita davanti a sé. Amare è costruire insieme qualcosa di solido, anche se non si può più costruire una famiglia, generare figli, come quando si è giovani. Qualcuno riesce nell'impresa, ma solo dopo un lungo percorso di analisi.

https://youtu.be/9sNn0-aGHvU?si=LmDcb_tlLT8z7ack

Ci sono "stanchezze dell'anima", non le chiamo appositamente patologie, come si usa definirle, che non trovano parole pe...
21/07/2025

Ci sono "stanchezze dell'anima", non le chiamo appositamente patologie, come si usa definirle, che non trovano parole per esser dette. I poeti, solo loro, talora le trovano. Tuttavia il corpo trova sempre un modo, anche se i segni che usa non sono fonemi e non fa discorsi razionalmente comprensibili. Gli psicologi, gli psichiatri, tentano di dare un nome, ché un nome noi umani dobbiamo pur darlo alle cose per conoscerle. Conosciamo i fenomeni della natura dando ad essi un nome. Li osserviamo e li ri-conosciamo.
I pazienti avvertono un disagio e cercano di trovare il modo di comunicarlo a noi analisti nel modo in cui sono abituati a farlo, attraverso la parola. Ma noi osserviamo il corpo che segnala il non detto e da lì apprendiamo molto di più. Non c'è disagio psichico che non sia correlato a una postura, a un tono di voce, a un gesto delle mani, a un determinato comportarsi con noi. Allora da questo intreccio di parole e atti riusciamo a restituire un'interpretazione di ciò che la persona sta vivendo.
Sta vivendo un male di vivere, non c'è dubbio, altrimenti non si rivolgerebbe a noi. Ha perso un suo equilibrio interiore, oppure quello che finora ha trovato non è consono alla sua natura e l'anima ne sta cercando un altro che non conosce, ma ogni mutazione, anche se desiderata, fa paura in quanto è perturbazione del consueto modo di percepirsi e porsi nel mondo. Sta a noi terapeuti fare in modo che il processo avvenga nei suoi tempi, senza forzare, senza accelerare. A poco a poco anche il corpo si scioglie e molte contratture articolari o muscolari si attenuano, i sintomi psicosomatici, molto fastidiosi, scompaiono. L'anima si libera dalle compressioni e può spaziare. La stanchezza di vivere, il peso del vivere, che si accompagna sempre a qualsiasi malessere interiore, si trasforma in nuova energia, voglia di agire, apertura agli imprevisti della vita senza più il timore di non farcela.
Siamo progettati per la vita, nasciamo equipaggiati per affrontare tutto, non siamo destinati al male e all'infelicità. Il contrario. Questo lo affermo con convinzione anche se la natura, che procede per infiniti tentativi ed errori, a volte produce corpi imperfetti. Ma l'anima no, quella non è frutto del caso ed è sempre completa, anche se il mondo non lo sa riconoscere e si etichettano come malattie le diversità dalla cosiddetta norma. L'anima si ammala, è vero, o meglio viene ospitata da un male per molte cause di cui ci si può liberare se lo si vuole, tornando a essere quella che è, nella sua assoluta originalità unica.

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