Dr.ssa Olimpia Miraglia Psicoterapeuta Roma

Dr.ssa Olimpia Miraglia Psicoterapeuta Roma Sono la Dott.ssa Olimpia Miraglia, esercito la libera professione di Psicologa e Psicoterapeuta Psicoanalitico a Roma e Napoli. A.S.L. Pubblicazioni

- 2012, O.

Psicoterapia - Disturbo della Condotta Alimentare (Anoressia, Bulimia, Obesitá, Abbuffata compulsiva, Fame nervosa) Lutto, Depressione Post partum, Ab**to, Ansia, Attacchi di panico, Infertilitá, Disturbi sessuali, Autostima. Da anni mi occupo di Disturbi Alimentari (Anoressia, Bulimia, Disturbo da Alimentazione Incontrollata, Disturbi Alimentari Non Altrimenti Specificati), Infertilità, Gravidanza, Lutto e Lutto perinatale (perdita di un figlio in gravidanza o nel primo anno di vita), Depressione, Genitorialità, Ansia, bassa Autostima e Sostegno a Studenti Universitari. Attualmente collaboro con l'Unità Operativa Materno Infantile (U.O.M.I.) del San Camillo-Forlanini di Roma, con l'Associazione "Vita di Donna Onlus" (Roma) e l'Associazione "Lara" (Roma) occupandomi della salute psichica degli adolescenti, della donna e della coppia genitoriale. Dal 2012 al 2015 ho collaborato con l'Unità Complessa di Psicologia dell'Azienda Ospedaliera Universitaria "Federico II" di Napoli effettuando colloqui psicologici rivolti ad adulti con Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) e studenti universitari. Dal 2010 al 2013 ho collaborato con l'U.O.M.I. Na 2 occupandomi dello Spazio Adolescenti e tenendo gruppi con donne in Menopausa, Genitori Adottivi e Corsi di Preparazione al parto. Mi sono laureata in Psicologia Clinica e di Comunità presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II" con votazione 110/110 e specializzata in Psicoterapia Psicoanalitica presso l'IMAGO - Scuola Romana di Psicologia Clinica di Roma con votazione 50/50. Attualmente frequento il Master di II livello in "Diagnosi e Trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare" presso l'Università Sapienza di Roma. Ho svolto vari progetti rivolti a studenti in merito all'alfabetizzazione emotiva e successo formativo, sostegno e tutoraggio universitario. Miraglia et al, “Quando i bambini non arrivano … Il Colloquio Clinico nel sostegno alla generatività", in atti del convegno “Il Colloquio Clinico".

- 2012, O. Miraglia et al, “Quando i bambini non arrivano … Percorso di sostegno psicologico", in atti del convegno “Il filo di Arianna: nascita di un percorso territorio – ospedale- territorio".

- 2011, O. Miraglia et al, “I servizi territoriali per la famiglia e l'età evolutiva" in Sviluppo e Famiglia, Ordine degli Psicologi della Campania.

- 2011, O. Miraglia et al, “Quali ruoli per quali bisogni? Ricerca sulla situazione in Campania tra cultura della famiglia e strutture sanitarie" in Sviluppo e Famiglia, Ordine degli Psicologi della Campania.

- 2008, Napoli, Presentazione Poster "Il malato Oncologico: reazione alla diagnosi e strategie di coping", Giornate Scientifiche 2008, Polo delle Scienze e Tecnologie per la Vita, Università degli Studi di Napoli Federico II.

- 2008, Napoli, Presentazione Poster "Viaggiare Informati" Giornate Scientifiche 2008, Polo delle Scienze e Tecnologie per la Vita, Università degli Studi di Napoli Federico II. Attività in convegni e seminari

- 2015, Napoli, Relatore, Seminario "Essere genitori oggi: dialogo sull'Adolescenza"

- 2015, Napoli, Relatore Seminario "Rapporti Scuola-Famiglia e modalità di comunicazione"

- 2014, Napoli, Docente al Corso "Funzione Genitoriale - complessità e prospettive"

- 2012, Napoli, Relatore, Seminario “Autostima, benessere e successo formativo"

- 2012, Napoli, Relatore, Seminario di Studi “Il post adozione: Ricerche, esperienze e riflessioni".

- 2010, Napoli, Relatore, Seminario di Studi “Per una cultura della famiglia".

- 2010, Napoli, Relatore, Seminario di Studi "Ricerca Interculturale e Processi di Cambiamento".

08/09/2025

🔥 La rabbia

La rabbia è fiamma che nasce dall’ingiustizia,
incendio dell’anima che brucia per dire:
“Qualcosa non è stato visto, qualcosa è stato tradito.”

Se la soffochi, diventa veleno:
scava silenzi, si contorce in ombre, esplode in parole che feriscono, in gesti che opprimono, in violenza che acceca.

Ma se la ascolti,
se la lasci parlare e la riconosci,
diventa energia limpida:
illumina la ferita ,indica ciò che va trasformato, apre la via verso il rispetto e la verità.

La rabbia è bussola dei confini violati,
compagna scomoda ma fedele,
voce che chiede dignità.

E allora non distrugge: illumina.
Non ferisce: insegna.
Non incatena: libera. ❣️

Dr.ssa Miraglia Olimpia
Psicoterapeuta - Roma

07/09/2025

IL TERAPEUTA SA QUALCOSA CHE IO NON SO: LE ESPERIENZE GEMELLARI

Oggi parliamo delle esperienze gemellari, ma niente a che fare coi gemelli. Lo dico perché le intelligenze artificiali sono ancora piuttosto stupide e confondono i temi.

Allora disambiguiamo subito!

Quelle di cui parlerò sono quelle che rimandano a Winnicott, lo psicologo che, in antica lingua gergale psicologhese, viene appellato come “Quello dell’Oggetto transizionale”. Insomma quello che ci ha spiegato che l’orsacchiotto con cui dormiamo mitiga le angosce da separazione e consente la Transizione verso la separazione.

Le esperienze gemellari sono, quindi, quelle occasioni in cui, in età evolutiva, la nostra mamma [ma anche il nostro papà (Maledetto Winnicott e maledetto patriarcato)] ci restituiscono uno sguardo in grado di rispecchiare l’emozione che proviamo.

E se facciamo la c***a, nel pieno dello sforzo, gli occhi del cargiver (mamma o papà) si spalancano, le sclere illuminano le pupille, la fronte si aggrotta e anche le orecchie salgono, un sorriso ebete si stampa sulla bocca e “MaCCHEBBELLAcACCOna Dai CHECCElafai!”.

Ma questa esperienza ha a che fare più con la sensazione e con la soddisfazione, mentre le esperienze gemellari sono più varie e comprendono la capacità empatica dei genitori che, con un solo sguardo, riescono a dire: “So cosa stai provando, lo sento, può essere più o meno bello ma è giusto che tu lo provi, stai tranquillo/a, queste sono emozioni e sono molto importanti, parla con loro”.

E non pensate che sia roba di contorno perché, in vero, fonda le basi della fiducia in ciò che si prova e sulla capacità di dialogare con quello che si prova. Ma la fiducia, mi raccomando, non la confondete con un accoglienza incondizionata, ma con un emozionarsi interrogandosi sul perché e su cosa farsene.

Se manca l’esperienza gemellare, si tenderà a vivere un cortocircuito, si tenderà a pensare che, se si prova un’emozione, quell’emozione sia posticcia, sia una malattia. Se, all’opposto, si vive un eccesso di esperienze gemellari, si corre il rischio di sviluppare l’idea che la propria emozione sia sempre l’unica da ascoltare o, peggio, che l’altro provi le stesse cose che provo io.

Io, lo confesso, ho fatto un’esperienza della carenza, mentre oggi il rischio peggiore è il secondo e, secondo me, è alla base del tema della violenza di genere che è il non accettare che l’altro/ pensi e provi altro da ciò che era nelle mie aspettative.

Potremmo dire che noi che siamo figli della carenza di esperienze gemellari, corriamo il rischio di rebound e di favorirne un eccesso con i nostri figli… insomma accortezza!

Fine della lezione!

Andiamo verso la Transizione che conduce al titolo… a cosa sa il terapeuta

Ma iniziamo con la confessione

Avevo circa 8 anni… tranquilli sarò rapido. Genitori separati. Padre regala skateboard, nero e ruote rosse. 45milalire. Torno a casa da mamma. Scendo in strada. Stesso giorno. Scende il vicino di casa. Gli presto skateborad. Lui parte. Si sbilancia. Lo skateboard sfugge da sotto i piedi. Skateboard finisce sotto le ruote della macchina in transito. Rotto. Due mezzi skateboard.

Salgo a casa in lacrime ma anche sereno perché il papà del vicino era sceso e aveva detto che me lo avrebbe ricomprato. Eppure mia madre, donna verso cui ho grande gratitudine commista a risentimento, tradisce il bisogno gemellare.

“Dai non piangere è solo uno skateboard e non devi chiedere che te lo ricomprino”

Ma dico! Ma cavoletti! Non dico di restituirmi l’esperienza gemellare se per te le lacrime sono macigni che farebbero un rumore troppo forte, ma almeno fammi riavere il mio amato skateboard!

Sviluppai di lì a poco una certa fobia scolastica… si si, lo so che era farina del mio sacco, ma so anche che a volte mi veniva da piangere a ripensare a quello skateboard e, siccome accadeva a scuola, evitavo di andarci.

Ora però calmatevi. Non empatizzate troppo altrimenti ci perdiamo. Ho saltato solo un giorno di scuola per fobia scolastica, poi, complice anche il fatto che il vicino mi ha ricomprato lo skateboard in barba a mia madre, la vita è andata avanti e ho potuto sviluppare le mie sofferenze in libertà.

Ma questo aneddoto ci è utile a capire che quella esperienza, quella del “So cosa stai provando, lo sento, può essere più o meno bello ma è giusto che tu lo provi, stai tranquillo/a, queste sono emozioni e sono molto importanti, parla con loro”… se manca allora incentiva a studiare Psicologia e spinge nella stanza della terapia.

Si perché la prima cosa che fa un terapeuta è proprio questa. Rispecchiamento delle emozioni dei pazienti. Ma per rispecchiarle le deve sentire.

Probabilmente mia madre faticava a fare questo, a sentire le mie emozioni e, sempre probabilmente, non perché non le sentiva ma perché non le reggeva.

Ora sia chiaro… la terapia non è tutta qui. Non è solo dare asilo a quelle emozioni, sentirle, rispecchiarle, avviarci un dialogo riducendo così la rabbia, ossia l’emozione che divora tutte le emozioni represse e le rivomita a cavolo. No, la terapia non è tutta qui.

Ma inizia da qui, e le esperienze gemellari sono come il tabellone di un gioco da tavolo, sono il terreno di gioco.

Quindi… Cosa sa il terapeuta che io non so? Direi che la domanda è ambigua e va disambiguata anche questa questione. Anche perché è più interessante capire cosa il terapeuta prova.

Mentre su cosa sappia ci sono due scuole: Quelli che il paziente deve illudersi di questo potere del terapeuta per proiettare su di lui dimensioni funzionali in vero appartenenti al paziente stesso; e quelli che il terapeuta va smitizzato poiché la sua mitizzazione è essa stessa la malattia.

E vi confesso che alcuni colleghi mi disapprovano per pensare a questa seconda condizione. Alcuni colleghi invocano il “Colui supposto sapere” di lacaniana memoria, ossia il fatto che supporre che il terapeuta sappia serve per i pazienti.

Ma non posso non pensarla cosi, non mi piace questa “supposta” e, anche qui, per due motivi: il primo è che da paziente avevo bisogno di incontrare la dimensione umana del professionista e ho sofferto quando non l’ho incontrata; il secondo è perché da terapeuta vedo che oggi i pazienti sono stanchi di credere all’imperturbabilità e reclamano un esperienza terapeutica diversa.

Sia chiaro, e lo dico a quelli che pensano di poter uscire a prendere un caffè col terapeuta o chiamarlo la sera alle 22:48. La dimensione umana non è quella privata, ma solo quella di colui che, e qui sta la risposta contenuta nel titolo, non sa nulla che io non so.

Il terapeuta ignora il senso della vita e al massimo intuisce il fatto che un senso non c’è. Il terapeuta soffre, si emoziona, ha genitori più o meno bravi e fatica ogni giorno come chiunque altro.

Insomma il terapeuta non sa ma fa qualcosa che generalmente non accade, ossia non si difende, non si rende vittima di tutte le possibili difese psicologiche. Il terapeuta prova, o meglio ha il coraggio e sente il dovere di provare le emozioni. Prova a digerirle col paziente. Le rispecchia commiste alle sue e, come in una partita di tennis, rimanda la palla dall’altra parte.

Ma non per fare punto ma per mettere in condizione se stesso e il paziente, di continuare a giocare. La seduta poi finisce, si lascia il campo e si aspetta la settimana successiva, facendo anche attenzione alle strisce bianche, poiché quello è il terreno di gioco tra terapeuta e paziente.

Oltre le linee, il paziente torna a giocare con le persone care, mentre il terapeuta saluta i pazienti e torna ai parenti, quelli che, in buona sostanza, non si aspettano troppi tecnicismi.

Il terapeuta, insomma, certamente conosce moltissime teorie della mente e molti modelli di psicologia, ma, tenetelo a mente, non conosce mai quella del paziente che ha davanti. La teoria sul paziente non esiste prima della terapia ma si costruisce in terapia.

Buona Terapia

Luca Urbano Blasetti

💔 La Crisi come possibilità .. "A Mano a Mano" ... Nelle relazioni, la crisi non è sempre la fine.A volte è una rottura ...
07/09/2025

💔 La Crisi come possibilità .. "A Mano a Mano" ...

Nelle relazioni, la crisi non è sempre la fine.
A volte è una rottura necessaria, un varco attraverso cui guardarsi di nuovo, con occhi diversi.

L'Amore può sbiadire col tempo, raffreddarsi, diventare silenzio.
Eppure, sotto le ceneri, resta una brace che attende aria.

La crisi arriva così: come una frattura che sembra minaccia,
ma che, se attraversata, può diventare occasione di verità.
Perché costringe a fermarsi, a rivedere ciò che si è dato per scontato, a riscoprire la meraviglia dell’altro oltre le abitudini e i ruoli.

Il dolore, in questo senso, non è nemico ma messaggero.
È ciò che ci invita a rinnovare il legame, a trasformare la distanza in un nuovo incontro, a scegliere di amarci non nonostante la crisi, ma attraverso di essa.

Così, la rottura non separa: apre.
E la coppia che trova il coraggio di guardarsi dentro
può tornare a fiorire, con una bellezza diversa, più consapevole, più vera.

Perché ogni crisi custodisce in sé la possibilità di un nuovo inizio.
E, "a mano a mano", anche l’amore appassito dal tempo
può rifiorire.

Dr.ssa Miraglia Olimpia
Psicoterapeuta · Roma

Rino Gaetano - A mano a manoStream/Download: https://SMI.lnk.to/RinoGaetano_Stream Follow Rino Gaetano:https://www.facebook.com/rinogaetano/https://www.insta...

🌊 Amori liquidiCi sono amori che scorrono,come acqua tra le mani.Non si lasciano trattenere,non cercano radici,solo movi...
06/09/2025

🌊 Amori liquidi

Ci sono amori che scorrono,
come acqua tra le mani.
Non si lasciano trattenere,
non cercano radici,
solo movimento.

Amori leggeri, veloci,
che nutrono il bisogno di oggi
e temono il peso del domani.

Sono amori che si sfiorano,
si consumano in un istante,
lasciando dietro di sé
tracce sottili come gocce sulla pelle.

Eppure, anche nell’instabilità,
c’è una verità:
la sete di legame,
il desiderio di essere visti,
la paura di restare soli.

"Nella modernità liquida i legami umani sono instabili e temporanei: si creano con leggerezza, ma spesso si dissolvono altrettanto facilmente. L’amore liquido è diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame, tra la voglia di essere attraversati dall’intensità e il timore di restare vincolati" (Bauman)

Ma Amare, davvero, è un atto che sfida la fragilità del tempo... È il non temere il peso della continuità .. è restare.

Dr ssa Miraglia Olimpia

04/09/2025

💔 L’eco silenzioso delle perdite invisibili ...

Ci sono lutti che non si vedono,
ma vivono nel corpo come echi silenziosi.

L’utero, che avrebbe dovuto accogliere,
diventa custode di assenze.
Non solo culla, ma anche tomba.
E questa ambivalenza può trasmettersi
di madre in figlia, come memoria invisibile.

Allora il corpo parla.
Parla con blocchi, dolori, assenze, paure, tensioni, infiammazioni.
Parla quando le parole sono mancate.

Ogni lacrima non versata resta sospesa,
in attesa di qualcuno che le dia voce.
A volte sono le figlie a piangere
le lacrime che appartenevano alle loro madri.

Ma il pianto è amore.
È riconoscimento.
È liberazione.
È il gesto che trasforma ciò che era muto
in qualcosa che trova un posto.

Perché ogni vita, anche solo sfiorata,
merita di essere vista, riconosciuta, amata.

E allora, nel silenzio di uno spazio interiore,
si può dire:

“Ti vedo.
Ti riconosco.
Ti piango.
E ti lascio andare con amore.”

Così l’utero torna ad essere culla.
Così la vita torna a fiorire.

Dr.ssa Miraglia Olimpia

♥️ “Sei l’unica me che ho. Torna a casa.”Ci sono momenti in cui ci si perde... Non nel mondo, ma dentro. Tra ruoli da so...
27/08/2025

♥️ “Sei l’unica me che ho. Torna a casa.”

Ci sono momenti in cui ci si perde... Non nel mondo, ma dentro. Tra ruoli da sostenere, parole non dette, emozioni che non trovano spazio. La parte più autentica di noi (quella che sente, che vibra, che sogna) resta indietro... assediata.

E allora, come in un sussurro che nasce dal profondo, affiora una voce... Una voce che non accusa, non pretende, non giudica... Una voce che riconosce lo smarrimento e lo trasforma in invito.

In psicoterapia, questo è uno dei passaggi più delicati e potenti: Quando la persona smette di cercarsi negli occhi degli altri e comincia a riconoscersi nei propri.
Quando il ritorno a sé non è più una meta, ma una necessità.

Tornare a casa non significa tornare indietro ma tornare dentro.
Ritrovare quella parte che abbiamo lasciato in sospeso...
accoglierla .. ascoltarla .. dirle, con tutta la dolcezza possibile,
“Puoi tornare. Ti stavo aspettando.” ♥️

💊 L’amore come cura: quando la dose fa la differenza ..Un farmaco può guarire o avvelenare.  Una carezza può calmare o s...
27/08/2025

💊 L’amore come cura: quando la dose fa la differenza ..

Un farmaco può guarire o avvelenare.
Una carezza può calmare o soffocare.
Una parola può liberare o imprigionare.

Anche l’amore, come ogni cura, ha bisogno di misura.
Non basta amare, serve saper dosare.
Troppo controllo traveste la protezione.
Troppa presenza può diventare invasione.
Troppa assenza, abbandono.

In terapia, lo vediamo spesso: l’amore ricevuto (o negato) plasma il modo in cui ci relazioniamo.

C’è chi ama trattenendo.
Chi ama rinunciando.
Chi ama chiedendo di essere salvato.

Ma l’amore maturo non è dipendenza.
È regolazione.. È ascolto.. È confine sano.

💡 La domanda non è solo “ami?”, ma “come ami?”
Con quale intensità?
Con quale rispetto?
Con quale libertà?

Perché ogni cura, anche quella emotiva, ha bisogno di calibro.
E la giusta dose può fare la differenza tra una ferita e una guarigione.

“Un farmaco e’ veleno o salvezza. Ogni cura lo e’. Anche l’amore: può soffocare, condannare o liberare. La giusta misura. Il calibro. Le dosi. Quanto di quanto somministrare. Quando. E’ tutto qui”. (C. De Gregorio.. "Di madre in figlia"). ♥️

🧠 Il cervello e le convinzioni: quando la mente costruisce la realtàIl nostro cervello non è uno specchio della realtà. ...
26/08/2025

🧠 Il cervello e le convinzioni: quando la mente costruisce la realtà

Il nostro cervello non è uno specchio della realtà. È un filtro, un interprete, talvolta un regista silenzioso.
Tra i suoi meccanismi più insidiosi — e affascinanti — c’è il bias di conferma: quella tendenza automatica a cercare, notare e ricordare solo ciò che conferma ciò che già crediamo.

Se dentro di me vive la convinzione “non valgo abbastanza”, ogni rimprovero diventa una prova, ogni successo un colpo di fortuna.
Non è la realtà a dirlo. È la mia mente che lo seleziona, lo amplifica, lo scolpisce.

Ma c’è di più. Quando una credenza si radica, non si limita a colorare la percezione: modella il comportamento.
È qui che entra in gioco la profezia che si autoavvera.
Se penso che qualcuno “non mi sopporti”, inizierò — spesso inconsapevolmente — a chiudermi, a evitare, a irrigidirmi.
E quella persona, a sua volta, percepirà freddezza, distanza… confermando la mia idea iniziale.

🔄 Bias di conferma e profezia che si autoavvera si intrecciano in un dialogo silenzioso ma potente:

- Il primo sceglie le informazioni che sostengono la mia visione.
- La seconda plasma la realtà affinché quella visione diventi vera.

E così, ciò che penso diventa ciò che vedo.
Ciò che vedo diventa ciò che vivo.
E ciò che vivo rafforza ciò che penso.

🌱 Ma c’è una via d’uscita. Anzi, una via di crescita.

Se comincio a credere — anche solo timidamente — di meritare rispetto, il mio cervello inizierà a notare i segnali che lo confermano.
Mi comporterò con più sicurezza, più apertura.
E la realtà, lentamente, inizierà a rispecchiare questa nuova narrazione.

Perché la mente non è solo un archivio. È un giardiniere.
Ciò che semina come credenza, lo raccoglie come esperienza.

E allora, forse, la vera rivoluzione non è cambiare il mondo fuori.
È scegliere con cura i semi dentro ♥️

Dr.ssa Miraglia Olimpia

25/08/2025

“Se ti perdi”
Ho trovato questo albo illustrato di grande ispirazione perché racconta uno stato emotivo che i bambini, ma molto spesso anche gli adulti, sperimentano: il senso di smarrimento.
Nel libro, il protagonista è un coniglietto di pezza che scivola dalle mani della sua padroncina mentre la macchina è in corsa. Improvvisamente, il coniglietto prende vita e comincia a dare voce a ciò che si prova quando ci si sente persi, abbandonati, senza più un punto di riferimento.
Ed è in quel momento che una voce narrante comincia a guidarlo, suggerendogli come affrontare questo stato di smarrimento. Lo invita a fermarsi, respirare, guardarsi intorno, ascoltare i suoni, e cercare qualcuno disposto ad accoglierlo, a offrirgli uno sguardo o un sorriso.
Il libro ci insegna così a “ritornare su un piano di realtà”, utilizzando sia i propri sensi — per riconnettersi a sé stessi — sia la capacità di cercare aiuto negli altri — come risorse esterne. In questo modo, lo smarrimento può trasformarsi in un’occasione di incontro con parti di sé e con nuovi punti di riferimento.

Ansia, panico, paura: emozioni che sembrano inghiottirci, possono trasformarsi in curiosità e apertura. Sentirsi persi non è solo un momento difficile: è un passaggio prezioso, un invito a esplorare territori di sé e del mondo che altrimenti rimarrebbero nascosti. L’incertezza ci costringe a rallentare, a osservare, a chiedere aiuto, e in questo spazio sospeso possono emergere risorse e scoperte inattese.

📌 Attaccamento e perdita ..
25/08/2025

📌 Attaccamento e perdita ..

22/08/2025
21/08/2025

Dalla pagina: La casetta delle Favole...

LE CORREZIONI di Jonathan Franzen

Oggi finisco una parte di vacanza e insieme alla vacanza ho finito anche questo libro. Chi mi conosce lo sa che leggere per me è un po’ parte della vita e che senza lettura mi sentirei davvero persa. Ma non è sempre facile.

Le correzioni di Jonathan Franzen mi è stato regalato forse due anni fa. L’ho iniziato molte volte e molte volte l’ho rimesso sulla mensola.

Perché ci sono libri che ti chiamano per essere letti nel momento in cui ne abbiamo bisogno e siamo pronti a “riceverli”.

Vi dico cosa ne penso e perché chi si occupa di educazione dovrebbe provare a leggerlo.

Con Le correzioni, Franzen, non scrive semplicemente un romanzo familiare: costruisce una vivisezione dell’educazione come strumento di controllo emotivo e sociale. È attraverso la famiglia Lambert, con la sua apparente normalità borghese e le sue dinamiche asfittiche, che Franzen ci porta a interrogare l’impatto profondo, e spesso taciuto, di pratiche educative dure, punitive, e manipolatorie.

Quella dei Lambert è una famiglia in cui correggere non significa aiutare a crescere, ma modellare secondo una norma prestabilita. La norma del silenzio, del sacrificio, del decoro, della rimozione.

Quell’educazione che è una forma di violenza invisibile: la pedagogia nera.

Il concetto di pedagogia nera (termine introdotto da Katharina Rutschky e poi ampiamente sviluppato da Alice Miller) si riferisce a quelle pratiche educative fondate sull’autorità, la punizione, la manipolazione psicologica e l’annullamento dell’individualità del bambino e della bambina, spesso giustificate in nome dell’amore o della “buona educazione”.

Franzen non cita direttamente questa teoria, ma la sua narrazione ne è un’esemplificazione perfetta.

Il padre è un uomo moralmente integro ma emotivamente immaturo, che considera l’espressione del sentimento un segno di debolezza. Non ascolta, non accoglie, non abbraccia: impone, corregge, reprime.

La madre è l’incarnazione della pedagogia affettiva manipolatoria: vuole il bene dei figli, ma il “bene” coincide sempre con ciò che lei considera giusto, decente, opportuno. L’affetto, quando c’è, è condizionato. Il dissenso, punito con il ricatto emotivo.

La casa dei Lambert è una trappola affettiva, in cui i figli imparano a esistere non come sono, ma come devono essere per non deludere.

L’effetto di questo tipo di educazione non si manifesta nell’infanzia, ma nell’età adulta, come suggerisce Alice Miller ne Il dramma del bambino dotato: chi cresce sotto il peso di un amore condizionato e punitivo sviluppa spesso una personalità alienata da sé, costretta a sopprimere bisogni autentici per rispondere alle aspettative altrui.

Gary, il figlio maggiore, ne è il paradigma: esteriormente realizzato, interiormente devastato. La sua depressione, che rifiuta di riconoscere, è il prezzo pagato per essere stato il “figlio modello”. Denise, perfezionista e ambigua, combatte con un’identità sessuale e affettiva mai realmente accolta. Chip, l’intellettuale fallito, incarna il tentativo più esplicito di ribellione e insieme la conferma dell’impossibilità di liberarsi del tutto da ciò che ci ha cresciuti.

Ciascuno dei tre è, a modo suo, corretto. E tutti pagano un prezzo altissimo per aver interiorizzato la convinzione che l’amore debba essere guadagnato, mai ricevuto incondizionatamente.

Penso che il grande merito del romanzo è quello di mostrare come la violenza educativa non sia solo quella esplicita, visibile, riconoscibile. Esiste una forma più subdola, più diffusa, più socialmente accettata: quella della normalità affettiva negata, del dovere di sorridere, della soppressione del conflitto e della rimozione della sofferenza.

Eppure, Franzen non offre una liberazione. Nessuno dei personaggi riesce davvero a emanciparsi del tutto da quella gabbia familiare. Non c’è redenzione completa, né guarigione. Ma proprio in questo sta la forza del romanzo: nel mostrare che certi dolori non si superano con una “correzione”, ma solo con la fatica della coscienza. Rendersi conto di essere stati educati alla rinuncia di sé è il primo passo. Ma non basta.

Le correzioni è un’opera crudele, disillusa, necessaria. Anche poetica ammetto. È un romanzo che mette a disagio proprio perché ci costringe a riflettere su quanto, nella nostra idea di “buona educazione”, siano ancora presenti forme di violenza simbolica, di disciplinamento affettivo, di colonizzazione emotiva dei figli in nome dell’ordine, della rispettabilità, della “normalità”.

Franzen non costruisce personaggi da compatire, né genitori da condannare: ci mette davanti alla continuità intergenerazionale del dolore, al modo in cui le ferite si tramandano come se fossero virtù.
E ci costringe a chiederci quanto di ciò che siamo oggi nei nostri silenzi, nelle nostre scelte, nelle nostre paure sia davvero nostro, e quanto invece sia il risultato di una pedagogia che ha educato più alla rinuncia che alla libertà.

Un romanzo che non redime, ma disvela.
Un romanzo che non insegna, ma “diseduca”.
E, proprio per questo, indispensabile.

Vi consiglio assolutamente di leggerlo, o se l’avete letto di raccontarmi come vi ha fatte e fatti sentire ♥️

Post di Ilenia 🍭 La casetta delle Favole

Indirizzo

Via Bergamo
Rome
00198

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 20:00
Martedì 09:00 - 20:00
Mercoledì 09:00 - 20:00
Giovedì 09:00 - 20:00
Venerdì 09:00 - 20:00

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Sono la Dott.ssa Olimpia Miraglia, esercito la libera professione di Psicologa e Psicoterapeuta psicoanalitico, Specialista in Psicologia della Riproduzione, Psicologia Perinatale e in Disturbi del Comportamento Alimentare, a Roma e via Skype per i pazienti residenti in altre parti di Italia/ Italiani residenti all’Estero.

Da anni mi occupo di Disturbi Alimentari (Anoressia, Bulimia, Disturbo da Alimentazione Incontrollata, Disturbi Alimentari Non Altrimenti Specificati), Infertilità, Gravidanza, Lutto e Lutto perinatale (perdita di un figlio in gravidanza o nel primo anno di vita), Depressione, Genitorialità, Ansia, bassa Autostima, Tutoraggio Studi / Sostegno Psicologico rivolto a Studenti Universitari.

Attualmente collaboro con il Centro Chemis (Centro di Procreazione Medicalmente Assistita) di Napoli effettuando Colloqui Psicologici e di Sostegno rivolti a coppie con difficoltà procreative; l'Unità Operativa Materno Infantile (U.O.M.I.) del San Camillo-Forlanini di Roma occupandomi di Colloqui Psicologici rivolte a donne che effettuano I.V.G. e I.T.G. e con la U.O.M.I dell'ASL Na2Nord ; con l'Associazione "Vita di Donna Onlus" (Roma) dove mi occupo della salute psichica degli adolescenti, della donna e della coppia genitoriale e promuovo progetti di Educazione PsicoSessuale.