20/09/2025
Il ritorno all'umanità: una speranza o un'utopia
Introduzione al Convegno dell'Accademia di Psicoterapia della famiglia APF: “Guerra e migrazioni forzate. Perdite e trasformazioni familiari”. 4-5 luglio 2025, Roma.
Maurizio Andolfi
Iniziamo con alcune domande:
Chi siamo noi in questo auditorium?
Noi siamo rappresentanti delle professioni d'aiuto, con diverse professionalità (di psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali, mediatori familiari e culturali), ci occupiamo a livello clinico e psicosociale della sofferenza, della disperazione di tante persone e famiglie in difficoltà, dei loro lutti, delle loro perdite a volte tragiche, degli abusi e violenze intrafamiliari, delle disgregazioni sociali, in particolare di comunità marginalizzate, di cui i migranti e i senza fissa dimora ne rappresentano una quota consistente.
Siamo anche docenti che a vari livelli -universitari e di scuole di psicoterapia- insegnano i principi cardine del pensiero sistemico e lo studio delle relazioni familiare e del loro sviluppo. Come pure è nostro compito insegnare, le modalità e le strategie atte a favorire l'armonia e il benessere familiare, il rispetto reciproco tra i membri di una famiglia, l'ascolto delle ragioni e dei bisogni di tutti, compresi bambini e adolescenti, così da favorire una loro migliore integrazione nel tessuto sociale e comunitario.
In seguito a ciò, noi non siamo solo rappresentanti delle professioni di aiuto in ambito strettamente clinico e didattico, ma siamo a tutti gli effetti operatori sociali attivi nella comunità, sensibili a quesiti relativi all'identità di genere, all'identità etnica e razziale, alla povertà, e alla giustizia sociale, ai cambiamenti climatici e a altri danni provocati dall'uomo sul pianeta terra.
Pertanto, dovremmo considerare il nostro operato più una mission che una scelta strettamente professionale, una mission fatta di valori fondamentali e di uno scopo ben preciso da raggiungere.
Chi siamo noi di fronte a un mondo sempre più sconvolto da guerre, massacri, genocidi, invasioni armate, giustificate dalla megalomania criminale di chi detiene il potere delle armi e quello economico?
Questa è una domanda a cui è più difficile dare una risposta concreta e realistica e spero che queste due giornate di lavoro ci aiutino ad abbozzare una risposta.
Il Convegno Internazionale di Assisi, la sua risonanza mondiale, il Manifesto che ne è stato prodotto successivamente, ci ha portati a dichiarare alcuni principi irrinunciabili della nostra mission di psicoterapeuti sistemici, come ad esempio "quello di facilitare quei processi relazionali che rafforzano le famiglie e le aiutano ad affrontare i normali eventi di vita, ma anche le perdite traumatiche collegate alla violenza, alle guerre, alle migrazioni forzate a cui assistiamo attualmente su scala globale senza precedenti”.
E ancora il Manifesto di Assisi e il Convegno che sta per cominciare con le testimonianze di tanti relatori che operano in terreni di guerra e migrazioni forzate rappresentano un appello all'azione e alla denuncia e una esortazione a promuovere in qualsiasi forma e luogo, la giustizia sociale e la pace, rifiutando l'idea della guerra come soluzione ai conflitti mondiali, cosi come ci viene quotidianamente proposto e imposto da leader mondiali criminali, megalomani e privi di ogni senso di umanità.
Tutto ciò ci porta a riflettere sul ruolo politico dei terapeuti sistemici, come proposto dieci anni fa dal Presidente della Associazione tedesca di terapia familiare, Joachim Schweitzer in un bellissimo testo su cui traccia le linee guida del perché e come agire politicamente, testo riportato da Valeria Pomini nell'ultima newsletter della Family Therapy Academy.
Noi e loro
Una distinzione antica, arbitraria e dannosa per la coesistenza pacifica mondiale, ancor più radicata in questi ultimi anni funestati da preoccupanti movimenti sovranisti e dall'uso belligerante delle religioni è quella tra il Mondo Occidentale, il Western world per intenderci, e gli altri che non ne fanno parte, siano essi africani, arabi o asiatici.
Noi siamo i bianchi, siamo cristiani e siamo europei. Noi siamo quelli che con il Nordamerica detengono in larga parte il potere economico e decisionale al punto di influire fortemente sulle sorti del mondo, noi siamo la società del privilegio che con vecchi e nuovi colonialismi ha depredato interi continenti come quello africano, salvo poi erigere muri e centri di detenzioni per chi osasse solo avvicinarsi a questo mondo opulento, per appropriarsi di qualche briciola di quello che gli è stato tolto. Eppure, noi europei ci vantiamo di essere la "culla della civiltà".
Già dagli anni 60, un sociologo francese, aveva descritto un fenomeno inevitabile, quello dell'Africanizzazione dell'Europa. E aveva visto bene. Nel 2019, Steven Smith, esperto del continente più povero, prevede in un suo libro che entro il 2050 un europeo su 4 avrà origini africane. Un po' come è avvenuto nella costa occidentale degli Stati Uniti dove gli ispano-americani hanno avuto un impatto culturale, economico e sociale molto significativo, alla faccia di Trump.
È quasi una legge della fisica, se da un lato non c'è nulla e dall'altro c'è troppo, il cambiamento è inevitabile e tutti i governi di destra ed estrema destra europei vincono le elezioni su questa minaccia dell'invasione africana, che in realtà racchiude la sfida di una eguaglianza sociale che non è mai esistita. Forse la sola eccezione è rappresentata dallo sport e in particolare dal mondo del calcio dove i calciatori africani hanno finito in poche decadi a surclassare i tanto blasonati calciatori europei.
Il tema di Israele e del popolo palestinese vorrei trattarlo, ripercorrendo alcune mie esperienze professionali di oltre 50 anni.
Da oltre 50 anni ho contribuito al perfezionamento in terapia familiare sistemica di numerosi terapeuti israeliani attraverso practicum a Roma e in altre parti d’Italia. Tra gli altri vorrei ricordare due figure di spicco, Joel Elizur e Noga Nabarro, oggi personalità molto riconosciute a livello internazionale. Ho partecipato a conference internazionali e condotto molti workshops presso la Kibbuz Clinic di Tel Aviv. Ho vissuto per un periodo in un kibbuz quando sembrava fosse un modello originale da sostituire al modello della famiglia nucleare. Ho condotto consulenze dal vivo con numerose famiglie ebree a Tel Aviv, Gerusalemme, Herzliya, che portavano sul corpo i segni del trauma dell'Olocausto tramandato da generazione a generazione.
Ho avuto contatti con la comunità dei terapeuti palestinesi tramite Mustafa Qossoqsi, che si è laureato in Psicologia clinica a Roma e ha collaborato con la Fondazione Andolfi nei suoi anni storici.
Con lui ho condiviso alcune sue esperienze fantastiche chiamate "Semi di Pace". Un tentativo riuscito per introdurre “Semi di pace” tra studenti israeliani e palestinesi attraverso dei soggiorni in Italia. Con un nutrito gruppo di terapeuti e operatori sociali palestinesi avevamo pianificato un programma di Formazione sulla terapia familiare organizzato dall'Accademia di Psicoterapia della Famiglia a Gaza, pochi mesi prima del 7 ottobre 2023. Programma che ovviamente non ha mai preso luce dopo gli eventi drammatici degli ultimi 20 mesi.
In 50 anni di frequenti viaggi in Israele, ho potuto constatare con mano e vedere con i miei occhi la condizione di segregazione razziale e di oppressione militare del popolo palestinese in una forma di apartheid molto simile a quella sud-africana di cui alcune immagini molto toccanti sono racchiuse nel documentario “Wrong side of the bus”[1]. Segregazione e negazione dei diritti più fondamentali ben visibile a tutti, mai realmente contrastata né in Israele, né nel resto del mondo, complice da decadi del genocidio palestinese.
Francesca Albanese, relatrice speciale alle Nazioni Unite sui diritti umani nel territorio palestinese occupato, una delle poche voci tanto autorevole quanto inascoltata, nel suo ultimo libro intitolato "Quando il mondo dorme"[2] scrive " fino a che punto si arriverà, mentre il mondo sembra dormire un sonno di pietra e non riesce a tenere gli occhi aperti di fronte a una ferita grande quanto un intero popolo".
Io mi occupo dei bambini e del loro benessere da 55 anni. Noi tutti conosciamo, come genitori, nonni e educatori, il valore sacro di un bambino: per un figlio sacrificheremmo la nostra vita.
Non è diverso se vengono uccisi bambini ucraini, israeliani o palestinesi e nessuna religione può accettare o giustificare queste morti.
Gaza non c'è più... solo macerie di una terra dove vivevano due milioni e mezzo di palestinesi, dopo mesi di bombe e armi da guerra con una potenza complessiva molto superiore a quella della bomba atomica di Hiroshima.
I bambini di Gaza, uccisi brutalmente in quantità indescrivibili, amputati, affamati, assetati, orfani di tutto, sono il confine ultimo della nostra umanità.