09/04/2025
Ogni volta che varco la soglia della sala operatoria, sento dentro di me due forze che convivono: la responsabilità e il privilegio.
La responsabilità di essere stato scelto. Il privilegio di poter fare qualcosa di reale per migliorare la qualità di vita di una persona.
In sala il tempo rallenta. Le parole si dissolvono e restano solo i gesti, la concentrazione, il rispetto. Ma tutto comincia molto prima del bisturi: in uno sguardo, in una conversazione sincera, in una storia raccontata con coraggio.
Una storia fatta di fragilità, di desideri taciuti, di bisogni profondi.
Perché dietro ogni intervento non c’è mai solo un “difetto” da correggere.
C’è spesso un dolore sommerso, un bisogno di riscatto, il desiderio di rivedersi con occhi più gentili.
E il mio compito è onorare tutto questo. Senza mai inseguire la perfezione – che non esiste – ma valorizzando l’unicità di ogni corpo, di ogni persona.
La chirurgia plastica non è un insieme di gesti tecnici: è un viaggio condiviso.
Un percorso fatto di ascolto, di dialogo, di fiducia reciproca.
Ogni paziente che si affida a me, con la sua storia e la sua verità, mi ricorda quanto questo lavoro sia umano, profondo, irripetibile.
E quando, a intervento concluso, li vedo guardarsi con una luce diversa negli occhi, quello che provo non è solo soddisfazione.
È gratitudine. Gratitudine per il legame che si è creato, per la fiducia ricevuta, per l’opportunità di aver fatto la differenza.
È per questo che amo ogni giorno trascorso in sala operatoria.
Perché so che, dietro ogni bisturi, c’è molto di più: c’è una persona. E c’è una rinascita.