Preves

Preves Centro medico di prevenzione delle patologie tumorali e cardiovascolari a Rosignano Solvay (LI)

Il Centro Preves sottopone ad interventi di diagnosi precoce per le malattie cardiovascolari e tumorali, tutti coloro che lo richiedono, indipendentemente da età, sesso e presenza di fattori di rischio.

- tutta la diagnostica è effettuata da un solo medico professionista adeguatamente formato.

- la salute non è un bene élitario, manteniamo prezzi bassi ed accessibili a tutti garantendo professionalità e serietà.

20/03/2025
20/03/2025

Vivi in sicurezza.
Anticipa le malattie.
Previenile con competenza seguendo le linee guida del Centro Preves.
Da 20 anni ci occupiamo delle malattie potenzialmente mortali.
Ti aspettiamo per il tuo check up preventivo annuale.

In cosa consiste il nostro Preves check up
Esami diagnostici:
1. Elettrocardiogramma,
2. Ecocardiogramma,
3. Doppler TSA,
4. Doppler arterioso arti inferiori,
5. CAVI screening,
6. Eco ghiandole salivari,
7. Eco tiroide,
8. Eco linfonodi,
9. Eco addome completo,
10. Eco testicoli nell’uomo,
11. Eco mammella nella donna
Al termine degli esami riceverai:
1. Profilo di rischio cardiovascolare
2. Profilo di rischio cerebrovascolare
3. Profilo di rischio sportivo
4. Regime dietetico personalizzato
5. Scheda di attività fisica personalizzata
Il tutto a sole 200 Euro.
Ti aspettiamo in via Nazario Sauro 19 a Rosignano Solvay.
Per informazioni ed appuntamenti telefona allo 0586-019265 in orario di segreteria, dal martedì al venerdì dalle ore 10 alle ore 12. Oppure lascia il tuo nome e numero telefonico in segreteria e verrai richiamato il prima possibile.

25/12/2024

Il Centro Preves augura Buone Feste a tutti

20/11/2024

Ottavo episodio della serie
I RACCONTI CHE CURANO
dal titolo
IL NODULO DELLA CANTANTE
da leggere tutto d’un fiato.
Buona lettura

IL NODULO DELLA CANTANTE
Non era mai stata molto attenta agli esami diagnostici preventivi. Un po’ perché non aveva mai avuto nessuna patologia degna di nota, un po’ per la sua giovane età. I suoi 33 anni le davano tutte le garanzie di salute di cui aveva bisogno per vivere una vita del tutto tranquilla.
Nada era fisioterapista quando prese il primo appuntamento al Centro Preventivo per sottoporsi al check up ecografico completo.
Aveva un marito che la adorava, una bella casa e una bellissima bambina piccola. Aveva tutto per vivere una vita meravigliosa.
Nada aveva anche una grande passione. La musica. Cantava in un coro di buon livello e teneva alla sua voce in maniera quasi paranoica.
La sua disavventura inizio’ perché Nada lamentava degli strani abbassamenti di voce. Si sa, per una corista l’abbassamento di voce è un handicap non da poco. Si saltano le prove e si rischia di rimanere fuori dall’organico dei concerti. Per questo motivo Nada si sottopose a una visita otorino che aveva chiarito il problema. Un reflusso gastro esofageo era la causa dell’ irritazione delle corde vocali. Ecco spiegati quei noiosi abbassamenti di voce. Un farmaco anti reflusso e tutto si rimise a posto in breve tempo. Tutto bene quindi, ma Nada lesse da qualche parte che alcune patologie a carico della tiroide si sarebbero potute ripercuotere al livello vocale

Lesse che “le patologie tiroidee possono essere causa di disturbi della voce in presenza di un gozzo. Se il gozzo si sviluppa in sede retrosternale può presentarsi una compressione sull’esofago, sulla trachea, sulla laringe e, soprattutto, su alcuni nervi che decorrono a stretto contatto con la tiroide, come il nervo laringeo superiore ed il nervo laringeo inferiore. In questo ultimo caso si possono verificare disturbi alla fonazione”.
La tiroide è una ghiandola endocrina situata nella parte anteriore del collo, davanti alla trachea. Strutturalmente, è formata da due lobi uniti sulla linea mediana da un istmo, che le conferiscono un caratteristico aspetto a "farfalla" (le ali corrispondono ai lobi destro e sinistro).
Il gozzo tiroideo consiste in un aumento volumetrico della tiroide, che può essere a sua volta di tipo diffuso (gozzo diffuso) o nodulare (gozzo uninodulare o multinodulare).

Nada si recò spontaneamente ad un laboratorio analisi privato e si fece analizzare la funzionalità della tiroide senza sapere che molte volte una tiroide aumentata di volume - un gozzo tiroideo - può funzionare perfettamente.
E quindi Nada fece gli esami di funzionalità tiroidea: TSH, FT3, FT4. E questi esami erano perfettamente nella norma. La tiroide funzionava perfettamente. Quindi tutto chiarito?
Macché. Nada apprese da un’amica che in città esisteva un Centro Medico di Prevenzione che analizzava con l’ecografia tutti gli organi del corpo alla ricerca delle patologie più importanti.
E così, proprio per approfondire ancora di più la sua situazione clinica, prese l’appuntamento a quel Centro Preventivo perché voleva essere totalmente sicura che non ci fossero intoppi nella sua salute.
E così fu.
In anamnesi emerse che faceva poca attività fisica, ma l’ alimentazione era corretta.
Nada non aveva il vizio del fumo.
Colesterolo e glicemia erano nella norma.
Cosa evidenziarono gli esami strumentali?
L’apparato cardiovascolare, studiato analizzando le arterie ed il cuore, era perfettamente nella norma. Non aveva placche aterosclerotiche in nessun distretto arterioso, l’elettrocardiogramma e l’eco cuore risultavano totalmente negativi.
A carico di addome e mammelle non emerse nessuna patologia.
Ma, manco a farlo apposta, le fu diagnosticato un nodulo solido al lobo sinistro della tiroide.
“Me lo aspettavo - disse Nada al medico - ho letto che il gozzo può ripercuotersi sulle corde vocali.”
Nada non aveva un gozzo tiroideo. La ghiandola non era ingrossata e non c’era nessuna compressione da nessuna parte. Quindi il suo abbassamento di voce era attribuibile solamente al suo reflusso gastro esofageo e non certamente ad una patologia tiroidea.
Ma meno male che Nada si sottopose al check up generale.
Le caratteristiche di quel nodulo non apparvero subito tra le più belle. Nel referto c’era chiaramente scritto “nodulo francamente ipoecogeno con orletto periferico completo e ricca vascolarizzazione peri e intra nodulare del diametro di 20 mm. Si evidenziano inoltre numerose micro calcificazioni all’interno del nodulo stesso”.
Quelle descritte nel referto erano tre caratteristiche di malignità di quel nodulo: la netta ipoecogenicita’, ovvero il fatto che il nodulo fosse più scuro della tiroide che lo conteneva; la vascolarizzazione intra nodulare, ovvero il fatto che i vasi sanguigni fossero presenti non solo alla periferia del nodulo ma anche al suo interno, e la presenza di micro calcificazioni a “spruzzo“ sempre all’interno del nodulo.
Un medico che si occupa di prevenzione inizia a considerare maligno un nodulo alla tiroide anche se è presente solo una caratteristica ecografica dì malignità. Nada di caratteristiche di malignità ne aveva ben tre.
Il medico prosoetto’ subito a Nada la possibilità di un intervento chirurgico non prima però di averla fatta valutare da un endocrinologo.
Venne deciso quindi di inviarla a visita endocrinologica per eseguire l’agoaspirato di quel nodulo dubbio.

Quando il medico riferì queste cose a Nada, lei non la prese proprio benissimo.
Aveva paura. Aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere. Aveva paura dell’ intervento chirurgico, aveva paura di tante cose. Anche di non farcela.
Tutte reazioni estremamente normali. Ecco perché tante persone si sottopongono mal volentieri ad esami preventivi. Per la paura di aver paura.

E così fu. L’endocrinologo ripetette l’ecografia e esegui l’agoaspirato di quel nodulo alla tiroide.
La risposta, che arrivo’ dopo circa una decina di giorni, parlava di “reperto suggestivo di lesione follicolare non altrimenti specificata”

Oggi la classificazione citologica è cambiata, ma nell’anno di questo racconto, il 2003, lo stadio che oggi chiamiamo TIR3, era descritto come lesione follicolare, ed era l’unico caso in cui l’agoaspirato tiroideo non era in grado di stabilire con certezza se il nodulo fosse benigno o maligno. Ciò che differenzia le due lesioni consiste nel fatto che nel carcinoma follicolare maligno è sempre presente un’invasione della capsula del nodulo che, invece, non è mai presente nella lesione benigna.
L’invasione capsulare tuttavia, non può essere evidenziata con il solo esame citologico (ovvero con l’agoaspirato) ma richiede l’asportazione di tutto il nodulo e del tessuto circostante e quindi un intervento chirurgico. In poche parole, per tale diagnosi, è sempre necessario asportare chirurgicamente il nodulo anche in considerazione della non trascurabile probabilità (20%) che dietro alla proliferazione follicolare si nasconda un tumore maligno alla tiroide

Si decise quindi di asportare chirurgicamente quel nodulo per poterlo meglio analizzare con l’esame istologico.

E così Nada il 22 ottobre si sottopose ad intervento chirurgico di lobectomia sinistra ed istmectomia. Il decorso operatorio fu regolare in attesa dell’esame istologico del pezzo operatorio atteso dopo una decina di giorni.
Nada visse il post operatorio in tranquillità, con i soliti alti e bassi di quando una ferita operatoria sta guarendo. Ed anche da un punto di vista psicologico non era messa tanto male. L’intervento ormai era passato, quel brutto nodulo non c’era più e, giorno dopo giorno, si sentiva sempre meglio.

Ma la risposta dell’esame istologico fu agghiacciante: “Neoplasia follicolare …………presenza di attività mitotica.……
Il referto è suggestivo di carcinoma follicolare in via di sdifferenziazione con aspetti insulari, angioinvasivo”
Diagnosi di malignità.
E non solo.
“angioinvasivo” vuol dire che, all’esame microscopico, furono trovate cellule tumorali all’interno di almeno un vaso sanguigno esterno al tumore.
Il tumore era in procinto di sparare metastasi a distanza: ossa, polmoni, reni, cute.

Il mondo le casco’ addosso.

In questo casi la Tiroide va tolta completamente perché le recidive del tumore sono molto frequenti per ciascuna singola cellula tiroidea residua.
Per cui Nada, in data 7 Novembre, soli 14 giorni dopo, fu nuovamente operata di completamento di tiroidectomia totale.
Anche questa volta il decorso post operatorio fu regolare. Ma la situazione psicologica era completamente diversa. Dopo una batosta del genere c’è sempre la paura che qualcos’altro possa accadere.
Nada si sottopose a terapia con radio iodio il 12 gennaio per dustruggere eventuali cellule tiroidee residue.
E gli esami successivi dimostrarono che Nada non aveva più con lei nessuna cellula tiroidea.
Bene. Molto bene.
Naturalmente Nada dovrà fare a vita la terapia sostitutiva con un farmaco che si chiama Levotiroxina sodica, ma quell’anno aveva sconfitto il cancro.
Ora Nada fa una vita del tutto normale, ha un’altra bambina, fa regolarmente sport e continua a coltivare la sua grande passione che è la musica. Quella passione che le aveva salvato la vita. Quell’abbassamento di voce, alla fine, nulla aveva a che fare col suo tumore alla tiroide.
E quindi il terribile carcinoma follicolare tiroideo le fu trovato per caso.
Nada ha capito da quella terribile esperienza che i controlli preventivi di diagnosi precoce vanno fatti quando non ci sono sintomi, quando si sta’ bene.
La prevenzione ti salva la vita
Quel check up ecografico le aveva salvato la vita.
Si perché il suo tumore era altamente invasivo e se la sua diagnosi fosse stata fatta solo qualche mese dopo, magari n seguito a difficoltà alla deglutizione o a dolori ossei o a difficoltà respiratoria, probabilmente si sarebbero trovate quelle dannate metastasi a distanza che avrebbero complicato terribilmente la situazione.
Nada, è grata a quella passione che ha svegliato in lei la consapevolezza della vitale importanza della prevenzione. Ed ha studiato ancora, si è perfezionata e si è spinta oltre. Purtroppo per il suo vecchio coro, non canta più dove cantava al tempo degli eventi narrati. Ha fatto un provino in un coro più importante ed è stata presa.
Nada non solo è viva, ma vive la sua vita in modo meraviglioso.
La prevenzione salva la vita. La storia di Nada è una delle tantissime prove.

14/11/2024

Settimo episodio della serie
I RACCONTI CHE CURANO
dal titolo
QUEL CUORE MATTO
buona lettura

QUEL CUORE MATTO
In questo “racconto che cura”cercherò di mischiare la scienza medica con il racconto di un caso clinico vissuto realmente, raccontando i fatti e spiegando la malattia.

Non sempre il paziente si fa visitare in tempo.
Chiameremo Maria, la protagonista di questo racconto. Un nome fittizio per assicurarne la privacy.
La signora Maria, una allegra settantenne, prese l’appuntamento al mio Centro Medico Preventivo, non perché avesse sintomi particolari, ma per capire se andava tutto bene. Conosceva tante persone che venivano da noi per eseguire il check up ecografico completo - come mi disse lei stessa - persone molto più giovani di lei, e quindi decise dì prendere un appuntamento e di farsi visitare in ottica prevenzione.
Brava Maria - le dissi, mentre le facevo l’anamnesi - il trucco della prevenzione è proprio questo: farsi controllare preventivamente, quando si sta bene, quando non è presente nessun sintomo.
Cosa emerse dall’anamnesi non mi allarmava certamente, anche se le conseguenze delle sue cattive abitudini di vita, iniziavano a manifestarsi. Maria non era proprio quella che si dice una persona attenta alla linea. Aveva una circonferenza del girovita abbondante perché aveva sempre mangiato senza controllo quello che le pareva. Era sempre stata una buona forchetta e fino ai 60 anni non aveva mai avuto problemi di linea. Consumava troppi carboidrati e troppi grassi, anche se la quota di fibre che derivano dal consumo di frutta e verdura era comunque buona.
E poi Maria non sopportava l’attività fisica. Non l’aveva mai fatta e non riusciva neppure ad immaginarsi una vita movimentata da periodiche camminate o pedalate. Quando le chiesi se avesse mai corso, anche in gioventù, mi ricordo che mi rispose senza parlare ma ruotando la testa a destra e sinistra mentre le parti’ dalla bocca una fragorosa risata.
Ed il risultato di tutto questo, lo immaginavo già prima che rispondesse alle mie domande: era diabetica ed ipercolesterolemica.
L’unica nota positiva era la mancanza di fumo. Non aveva mai fumato una sigaretta in vita sua.
Mai avuto nessun sintomo degno di nota. Mi segnalò solo una cosa. Aveva una storia, documentata, di extrasistolia, ovvero di tanti battiti cardiaci prematuri, a volte anche molto noiosi perché simulano un’ aritmia cardiaca. Inizialmente Maria si era fatta visitare dal cardiologo, ma poi non fece più caso a quei battiti accelerati. L’extrasistolia, visto che non era continuativa e che si presentava sporadicamente non l’aveva mai spaventa più di tanto.
E cominciai gli esami.
Nessuna patologia tumorale in nessuno degli organi analizzati durante il check up e quindi tiroide, mammelle, linfonodi, ghiandole salivari, fegato, reni, milza, colecisti e vie biliari, pancreas, ed apparato ginecologico erano fortunatamente esenti da malattia.
Nelle arterie erano presenti, vista la presenza del diabete e dell’ ipercolesterolemia, alcune piccole placche aterosclerotiche. Erano presenti un po’ ovunque, alle carotidi, all’aorta addominale, ed alle arterie femorali. Queste placchettine indicavano che il suo rischio cardiovascolare fosse un po’ più alto della norma.
Ma furono i due successivi esami che determinarono gli eventi futuri di Maria.
L’eco cuore mise in evidenza una valvola mitralica calcifica ed ipomobile, cioè più rigida del normale e con una escursione minore dei suoi lembi.
Ma la cosa importante di tutta questa storia è che notai anche una dilatazione dell’atrio di sinistra. Abbastanza marcata. E collegai immediatamente questa dilatazione alla storia di extrasistolia che Maria mi aveva riferito nel l’anamnesi.

Ricordatevi questo, che poi è quello che pensai io immediatamente. L’ extrasistolia può determinare una dilatazione dell’atrio sinistro. E la dilatazione dell’atrio sinistro può essere alla base di una aritmia cardiaca che si chiama fibrillazione atriale.

Notai anche, una irregolarità dei battiti cardiaci. Altro indizio importante.
E, al doppler cardiaco, la mia attenzione fu catturata da un terzo indizio importante. Notai infatti un’ anomalia tipica del flusso trans valvolare mitralico. Tradotto in non medichese, notai che il flusso di sangue, che passa attraverso la valvola mitralica, presentava un anomalia. In poche parole l’onda doppler determinata da questo flusso, non andava bene, era anomala. Ne mancava un pezzo. Mancava l’onda A, tanto per tornare a parlare in medichese.
La mia diagnosi stava prendendo forma.
E l’elettrocardiogramma che eseguii pochi minuti dopo mi dette la conferma.
Maria aveva una fibrillazione atriale.

Cos’è una fibrillazione atriale?
La fibrillazione atriale è un’aritmia cardiaca. È l'aritmia cardiaca più diffusa nella popolazione e la sua prevalenza tende a crescere con l'aumentare dell'età.
In base ai dati del progetto FAI (Fibrillazione Atriale in Italia), realizzato dall'Istituto di neuroscienze del CNR e dall’Università di Firenze, un anziano su 12 è colpito da fibrillazione atriale per un totale di 1,1 milioni di soggetti affetti da questa aritmia in Italia. Lo studio ha inoltre permesso di dimostrare che, per effetto dei cambiamenti demografici, questi numeri saranno in costante crescita nei prossimi anni, fino a raggiungere 1,9 milioni di casi nel 2060.

Cerchiamo di spiegare un concetto difficile in poche parole.
Il cuore è diviso in 4 cavità: i 2 atri e i 2 ventricoli. In condizioni di normalità l’attività elettrica del cuore fa si che queste 4 cavità si contraggano in maniera armoniosa. In questo modo il cuore possiede una meccanica molto efficace per “pompare” il sangue nelle arterie.
Nella fibrillazione atriale l’attività elettrica degli atri è completamente disorganizzata. È molto veloce ed assolutamente non efficace per consentire una buona attività meccanica del cuore.

E perché diagnosticare la fibrillazione atriale e’ tanto importante ?
Perché la complicanza più grave della fibrillazione atriale è l’ictus. Un ictus che si chiama tromboembolico.
Ovvero.
Quando il cuore non si contrae in modo appropriato, come nella fibrillazione atriale, si favorisce, nell’atrio stesso, un ristagno di sangue, che si può coagulare e causare la formazione di piccoli trombi che sono come tante piccole pallottoline. Questi trombi - queste pallottoline - possono essere sparati dal cuore nel circolo sanguigno e ostruire una arteria cerebrale. L’ostruzione di una arteria cerebrale provoca l’ ictus.
Secondo uno studio del CNR, oltre un quarto dei 200mila ictus che si verificano ogni anno in Italia sono attribuibili alla fibrillazione atriale.

Chiesi a Maria se avesse la sensazione di aritmia o di “sfarfallio” nel petto, che sono sintomi tipici di una fibrillazione atriale. Ma Maria mi rispose di no.
In effetti la frequenza, ovverosia il numero dei battiti cardiaci, della sua fibrillazione atriale era molto bassa e quando la frequenza è bassa la fibrillazione non è avvertita dal paziente.

Come da protocollo, inviai Maria al pronto soccorso perché non sapevo quando questa fibrillazione fosse iniziata. Perché Maria non si era accorta di nulla. Perché Maria anche in quel preciso momento non aveva nessun sintomo.

E perché feci questo?
Cercherò di spiegarlo nella maniera più semplice possibile. Se la fibrillazione atriale persiste il paziente non corre nessun rischio.
Ma la fibrillazione atriale molte volte, torna spontaneamente ad un ritmo normale, cioè regredisce spontaneamente.
Ed è in questo momento che il rischio di avere un ictus si fa molto alto. Infatti il rischio maggiore si verifica nel momento in cui la fibrillazione atriale sparisce e si torna ad avere un battito cardiaco normale. In termini medici un battito cardiaco normale si chiama “ritmo sinusale”.
Ecco perché si deve tentare di far tornare un ritmo sinusale in maniera “controllata” in pronto soccorso.

Bene. Ma non è ancora finita. Vi chiedo un ulteriore sforzo di attenzione.

Se una fibrillazione atriale è iniziata da meno di 48 ore, allora si può cardiovertire, cioè si può far tornare, con i farmaci o con una specie di defibrillazione eletttica, il ritmo cardiaco alla normalità in maniera del tutto tranquilla e innocua.
Questo perché il sangue negli atri non ha ancora avuto il tempo di coagularsi ed allora i piccoli trombi - le pallottoline - che provocano l’ictus se sparati al cervello, non si sono ancora formati.
Ma se la fibrillazione atriale è iniziata da più di 48 ore allora non si può cardiovertire.
Ed ormai abbiamo tutti capito il perché. Perché dopo le 48 ore il sangue nell’atrio, comincia a coagularsi ed a formare i piccoli trombi che, in questo caso si, possono ve**re sparati al cervello e causare un ictus.

In questi casi che si fa in Pronto Soccorso?
Quando non si conosce l’epoca di insorgenza della fibrillazione atriale, proprio come successe a Maria, si inizia una terapia farmacologica anticoagulante, proprio per scoagulare il sangue, per evitare la formazione di quei trombi cardiaci che, ormai lo abbiamo capito benissimo, se sparati al cervello causano l’ictus.

Siete stati bravissimi. Avete compreso a pieno cos’è una fibrillazione atriale e il perché, se non si conosce quando è iniziata, non possiamo far tornare normale il ritmo del cuore.

Come vi dicevo, Maria stava bene, non aveva nessun sintomo. Ma era una paziente diligente e non provo’ neppure a chiedermi di rimandare la visita in pronto soccorso, come fanno coloro che non hanno ben capito la gravità della cosa.
Mentre si apprestava ad uscire dalla sala d’aspetto per essere accompagnata in pronto soccorso, Maria mi ringrazio’ e mi promise di tornare al Centro appena si fosse risolto il suo problema.
Ma Maria non ebbe il tempo di tornare a trovarmi.
In pronto Soccorso, prima che i medici potessero iniziare la terapia anticoagulante, il ritmo tornò sinusale spontaneamente e quello che di peggio poteva succedere, successe.
Maria aveva la fibrillazione atriale da alcuni giorni e il suo atrio sinistro era pieno di trombi, di quelle pallottoline tanto pericolose. L’atrio sinistro sparò nel circolo sanguigno uno di quei trombi, uno dei più grandi, che andò ad accludere uno dei rami arteriosi più grossi che irrorano il cervello causando un ictus ischemico massivo.
Maria fu ricoverata ma la sera stessa purtroppo mori’.

Molti casi simili mi sono capitati in ambulatorio e la maggior parte di essi ha avuto un lieto fine. Il paziente viene scoagulato farmacologicamente e successivamente il ritmo viene fatto tornare normale - sinusale - o con i famaci o con la defibrillazione.
Qualche paziente che non risponde ne ai famaci ne alla defibrillazione, viene fatto convivere con la fibrillazione atriale, facendogli assumere per sempre un anticoagulante.
Ma la vita va avanti senza grossi cambiamenti.
I tanti casi di fibrillazione atriale “scovati” durante il check up, tornano ai controlli annuali ringraziandoci per avergli salvato la vita.
Se la fibrillazione atriale non viene diagnostica in tempo, perché non da segno di se al paziente, in quanto a bassa frequenza, o perché il paziente non si sottopone agli esami specifici, può succedere quello che è successo a Maria.
Si può presentare un ictus. A volte anche mortale.

Maria è stata sfortunata. Si è presentata, al Centro Preventivo, alla nostra attenzione, quando l’atrio sinistro era già troppo dilatato da quegli episodi di extrasistolia.
E poi, quelle sensazioni di aritmia proprie dell’ extrasistolia, che Maria dopo varie viste cardiologiche, non considero’ più pericolose, saranno state semplici extrasistolie o già episodi di fibrillazione atriale? Tutte domande che non ebbero risposta perché Maria non effettuo’ mai gli esami che effettuò poi al nostro Centro di Ecografia preventiva.
Forse se fosse venuta prima, quando l’atrio sinistro non era ancora cosi tanto dilato, quando cioè il rimodellamento fibrotico, elettrico e meccanico del tessuto atriale sinistro non era ancora avvenuto, forse ora sarebbe ancora viva.

Anche la fibrillazione atriale, come tante malattie potenzialmente mortali, a volte non da nessun sintomo.
Ma gli esami specifici possono mettere in evidenza i fattori predisponenti. L’extrasistolia, la dilatazione dell’atrio sinistro, gli episodi di alterazione del ritmo cardiaco che possono sembrare innocue, sono segni che vanno tenuti in considerazione per evitare conseguenze importanti.
La prevenzione salva la vita. Maria lo ha capito troppo tardi.

12/11/2024
05/11/2024

Sesto episodio della serie
I RACCONTI CHE CURANO
dal titolo
QUELLA MALEDETTA MASSA DENTRO AL CUORE
Buona lettura

QUELLA MALEDETTA MASSA DENTRO AL CUORE

Sesso femminile. 55 anni. Maestra elementare.
Era la prima volta che veniva da noi per il check up completo. Noi la chiamiamo la “prima visita”.
Era estate e fuori faceva un caldo boia. Il mare a due passi dal Centro Medico Preventivo che creava una magnifica cartolina ma lei era naturalmente un po’ tesa. Quando ci si appresta ad essere analizzati a 360 gradi c’è sempre un po’ di tensione - mi disse - c’è sempre il rischio di trovare qualcosa e di uscire da qui ancora più tesi.
Nel l’anamnesi non emerse nulla di particolare. La paziente faceva regolarmente attività fisica, camminava sul mare tre volte alla settimana, sia in estate che in inverno. Non fumava. Si alimentava davvero correttamente. Nessun sintomo particolare da riferirmi.
Iniziai l’esame, come di routine, dal collo, e le esplorai i tronchi arteriosi sovra aortici che apparvero perfettamente puliti.
Nulla di particolare alla tiroide e alle ghiandole salivari.
Continuai l’esame con l’eco color doppler arterioso degli arti inferiori e trovai una piccola placca aterosclerotica all’arteria femorale di destra. Una cosa insignificante.
Salii all’addome ed anche qui tutto a posto, pancreas , fegato, colecisti e vie biliari erano nella norma. Cosi come i grossi vasi venosi e arteriosi addominali, reni e surreni. Non aveva grasso viscerale. Vescica ed apparato ginecologo nella norma.
Ottimo esame - pensai - liscio e veloce di quelli che piacciono a me.
Risalii ancora verso le mammelle che si presentavano a struttura fibro cistica, ma non rilevai nessuna anomalia mammaria con carattere di sospetto.
Le stazioni linfonodali latero cervicali, inguinali e ascellari non presentavano nessuna anomalia.
Feci mettere la paziente sul fianco sinistro, col braccio sinistro sotto la testa per allargare gli spazi intercostali, per effettuare l’eco cardiogramma.
E qui purtoppo arrivo’ l’inghippo.
In scansione apicale 4 camere - così si chiama la scansione che studia il cuore guardandolo dall’apice verso la base - osservai una massa iperecogena - cioè più chiara rispetto alle pareti del cuore - all’interno dell’atrio sinistro.
Si trattava di un tumore abbastanza raro chiamato mixoma cardiaco. Ne avevo visti veramente pochi, ma purtroppo l’aspetto era davvero tipico.

Il mixoma è un tumore benigno. E’ il più frequente tumore cardiaco, rappresentando il 40/60% di tutti i tumori cardiaci primitivi. L'incidenza nelle donne è da 2 a 3 volte quella negli uomini. La maggior parte dei mixomi si presenta nell'atrio sinistro e i restanti casi interessano le altre cavità cardiache. I mixomi possono avere fino a 15 cm di diametro. La maggior parte dei casi è peduncolato e può prolassare attraverso la valvola mitrale e ostacolare il riempimento ventricolare durante la diastole. La parte restante dei tumori è sessile, a larga base d'impianto. I mixomi possono essere irregolari e friabili aumentando così il rischio di un'embolia sistemica.

Il clima di spensieratezza che c’era stato fino a quel punto fu spezzato da un iniziale silenzio, un po’ per la delicatezza della patologia, un po’ per potermi concentrare meglio durante lo studio della stessa.
Ne analizzai i margini (era un mixoma peduncolato e irregolare) ne osservai la vascolarizzazione, ne presi le misure (4 cm di diametro). La paziente mi domandò se andasse tutto bene……
Io risposi quello che, in scienza e coscienza, dovevo rispondere.
E cioè che si trattava di una patologia seria, se si fosse lasciata a se stessa, e che sarebbe stato inevitabile l’intervento chirurgico per la rimozione di quella massa cardiaca.
Inviai la paziente a visita cardiologica ed il cardiologo, dopo aver contattato il cardiochirurgo, fisso’ immediatamente l’intervento chirurgico.
Infatti una volta diagnosticato, sebbene si tratti di un tumore benigno, è necessario un intervento di asportazione in tempi brevi, per evitare l’insorgenza delle gravi complicanze emboliche.

L'intervento chirurgico di asportazione del mixoma viene eseguito in anestesia generale e in circolazione extracorporea, con la macchina cuore-polmone, che permette di fermare e aprire il cuore.
L’accesso chirurgico consiste in una sternotomia mediana, oppure in una toracotomia sul lato destro del torace.
Si procede ad aprire la camera cardiaca nella quale il mixoma è situato, di solito, come nel caso della mia paziente, l’atrio sinistro e ad asportare il mixoma.
La parete cardiaca nella zona di impianto viene riparata con un punto o con una piccola “toppa” di pericardio prelevato dallo stesso paziente, oppure di pericardio di origine animale.
La durata media dell’intervento è compreso tra le 3 e la 4 ore. Terminata l'asportazione, viene ripristinata la circolazione naturale e il torace viene richiuso.
L’intervento richiede un ricovero del paziente per 1-2 settimane, con un rischio chirurgico contenuto e ottime chances di guarigione.
Dopo la rimozione, il paziente può riprendere la sua quotidianità senza problemi.
È un intervento dalle percentuali di successo molto alte.
Successivamente e’ opportuno eseguire periodici ecocardiogrammi di controllo (di solito annuali) per verificare l’assenza di (rare) recidive.

La paziente si rifece viva, al mio Centro Medico, qualche settimana dopo per portarmi in visione la documentazione dell’ intervento e per dirmi che era andato tutto bene.
È buffo pensare che un paziente in pieno benessere e con stili di vita molto corretti, si possa ammalare di una patologia tanto importante. Ma in prevenzione molte volte è così. Le patologie, anche e soprattutto quelle più gravi, iniziano sempre con un periodo di asintomaticita’ nel quale il paziente sta’ benissimo come se non ci fosse nulla di anormale. Se, queste patologie, vengono diagnosticate precocemente, quando il paziente non ha ancora i sintomi, amo sostenere che “vinciamo noi”. Se la maestra non si fosse sottoposta al check up, non si sarebbe accorta in tempo del mixoma. Ma quella massa inevitabilmente si sarebbe fatta viva prepotentemente qualche tempo dopo.
Questo le disse il cardiochirurgo e questo lei, ai controlli annuali, mi ripeteva con enfasi quasi per farmi capire, se mai ce ne fosse stato bisogno, che se non fosse venuta al Centro, dove le diagnosticai quella massa cardiaca, avrebbe potuto patire le pene dell’inferno e forse non se la sarebbe neppure cavata.

Infatti i mixomi dell’atrio sinistro spesso sono ancorati ad un peduncolo e fluttuano liberamente con il flusso sanguigno, come piccole sfere legate ad un filo. Questa oscillazione determina un movimento alternante di avvicinamento e allontanamento dalla valvola mitralica, che si apre dall’atrio sinistro nel ventricolo sinistro alternativamente, ostruendo e disostruendo la valvola, creando una interruzione ed un ripristino del flusso sanguigno intermittente attraverso la valvola stessa.
Durante queste oscillazioni, parti del mixoma o i coaguli di sangue che si formano sulla sua superficie, possono staccarsi trasformandosi in emboli, e giungere attraverso il torrente ematico verso altri organi ad ostruirne le arterie.
La sintomatologia dipende dal territorio colpito dall’embolo e quindi se si tratta del territorio cerebrale il paziente si ammalerà di ictus, se si tratta dell’arteria polmonare il paziente si ammalerà di embolia polmonare.

E quindi la paziente, nella migliore delle ipotesi, si sarebbe potuta accorgere del tumore grazie ad alterazioni ematologiche quali anemia o piastrinopenia con conseguente formazione di ecchimosi cutanee.
Oppure avrebbe presentato una sintomatologia caratterizzata da difficoltà a respirare in posizione eretta, dispnea parossistica notturna, capogiri, svenimenti, palpitazioni, tosse, dolore o senso di oppressione al petto e insufficienza cardiaca.
Oppure avrebbe potuto avere un ictus, anche grave e invalidante.
Ma sarebbe potuto anche capitare il peggio per l’insorgenza di una embolia polmonare massiva o anche di morte improvvisa. E in questi casi la presenza del mixoma si sarebbe potuta vedere solo con l’autopsia.

Quando ora la maestra torna ai controlli annuali, si raccomanda di guardare bene tutti gli organi perché ha imparato bene la lezione: farsi guardare da sana, mai aspettare il sintomo. Sul cuore invece è tranquilla “ho già dato - mi dice - problemi di cuore non ne voglio più”.

Indirizzo

Via Nazario Sauro 19/a
Rosignano Solvay
57016

Orario di apertura

Martedì 10:00 - 12:00
Mercoledì 10:00 - 12:00
Giovedì 10:00 - 12:00
Venerdì 10:00 - 12:00

Telefono

+390586019265

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