15/02/2022
Da Imparare l'ipnosi e l'autoipnosi.
La potenza del rituale.
l neuromesmerista compie una sequenza di sguardi, passi, gesti, toccamenti, che hanno un senso ben preciso, una sorta di grammatica per rimanere nell’analogia con l’alfabeto.
Questa sequenza, vista dall’esterno, assume l’aspetto di un cerimoniale, di un vero e proprio rituale. E come tutti i rituali nulla è lasciato al caso, ma ogni singola parte concorre a formare l’insieme.
Laddove poi l’insieme, in omaggio al principio olistico, è superiore alla somma delle singole parti.
Il rituale, quale esso sia, ha una duplice funzione: da un lato è una sorta di algoritmo, che favorisce l’operatore nel ricordare e applicare la giusta sequenza; dall’altro, e in particolare per chi osserva l’operatore mentre lo compie, nel suo svolgersi ritmato dà una sensazione di qualcosa di compiuto, di conosciuto, di efficace.
In campo medico sono stati effettuati degli esperimenti molto interessanti, che hanno dimostrato come un rituale conosciuto, e atteso, possa influenzare positivamente l’esito della somministrazione di un farmaco, o più in generale di una cura.
Si pensi al malato che si trova in una stanza di una clinica, in attesa che arrivi un medico a somministrargli un antidolorifico: si è verificato che se il medico osserva un certo rituale (quale guardare la siringa, sorridere al malato, promettere allo stesso che il medicinale farà passare il dolore, iniettare la dose con lo sguardo di chi è sicuro che sortirà l’effetto promesso) effettivamente dopo poco il dolore passerà.
Si dirà: “e quale sarebbe la stranezza”?
La stranezza, e in questo consisteva l’esperimento, è che il medico ha iniettato al paziente della semplice acqua distillata, e ciò non di meno il dolore è passato!
Classico esperimento per verificare l’effetto placebo.
Ma l’esperimento è andato oltre: a un altro paziente nelle stesse condizioni di dolore è stato iniettato un farmaco vero, ma il paziente non sapeva che glielo stavano somministrando (infatti un computer, collegato alla flebo, aveva fatto arrivare alla vena il farmaco, a un orario stabilito e all’insaputa del paziente).
Ebbene, in questo caso il paziente ha continuato a provare ancora dolore, per un certo tempo, dopo la somministrazione dell’antidolorifico vero!
In questo esperimento è dunque apparso chiaro che proprio fattori estranei al farmaco, quali l’aspettativa del paziente e la sua fiducia nella cura, hanno prodotto dei risultati “come se” il farmaco fosse stato davvero iniettato.
Esaminiamo un attimo la situazione dal punto di vista del paziente: si trova in una clinica (e in una clinica si va per risolvere un problema di salute); arriva nella stanza un uomo in camice bianco (e l’uomo in camice bianco è deputato a curare); quest’uomo in camice prende una siringa (e la siringa contiene un farmaco); il medico sorride al paziente (e se sorride è perché sa che avverrà qualcosa di buono); l’uomo in camice bianco fa una promessa (e un medico in genere non promette quello che non può fare); il medico, mentre fa la siringa, ha l’espressione di chi è convinto che avverrà proprio ciò che si propone (e ha quell’espressione perché tante altre volte ha fatto quella siringa e ha sempre ottenuto lo stesso risultato).
Tutto ciò che il paziente ha osservato, e nella sequenza in cui è avvenuto, concorre a formare in lui un’aspettativa, una speranza, una fiducia nel fatto che il dolore passerà…e gli passa anche se il farmaco è finto, è un placebo. Tutto quello che ha visto, ha per lui un carattere di rituale.
In una sessione di neuromesmerismo, di conseguenza, si costruisce proprio un rituale, una sequenza significativa. Questo rituale avrà un potente effetto di influenzamento, sin da subito. E avrà ancor più efficacia nelle eventuali sessioni successive, laddove il cliente si aspetta esattamente quel che accadrà, perché è già accaduto nella prima sessione.
Anche nella vita di tutti i giorni si osservano in continuazione dei rituali significativi, non solo se si va in chiesa o a una commemorazione istituzionale.
Basti pensare ai “format” di alcuni programmi televisivi: il telespettatore sa che avverrà quella tal cosa (per esempio la presentazione dell’ospite) e subito dopo un’altra (per esempio l’intervista), e poi ancora un’altra (per esempio un intermezzo musicale) e così via. Il telespettatore è “preparato” a vedere quanto sta accadendo, se lo aspetta, e accade proprio quello che si aspetta.
Paolo Vocca