
28/05/2025
Bisogna fare una riflessione. Una riflessione non contro la violenza ma per l'analisi della violenza. In un atto violento non c'è solo un ragazzo o una ragazza che lo esercita ma c'è un contesto culturale, degli insegnamenti che non trovano ascolto o non vengono mai dati. Ma soprattutto c'è tanta intolleranza. C'è un non poter tollerare la frustrazione del no, l'incapacità di pensare che qualcosa può non andare come noi desideriamo. C'ə l'incapacità di pensare che quella tristezza che proviamo nel momento in cui l'altro o l'altra ci lascia noi la possiamo riuscire a vivere perché dopo ci potrà essere qualcosa o qualcun altro.Purtroppo chi commette quell' atto violento estremo che porta a togliere la vita a qualcuno/a il dopo non lo vede proprio ma non solo perché è preso/a dalla rabbia ma perché quel dopo è vuoto, inesistente. Quella persona non riesce a trarre pensiero di beneficio da niente perché le sue risorse (sempre che ce l'abbia) non gli vengono in soccorso.
Allora proviamo ad esser genitori che sanno dire no decisi accompagnati da spiegazioni che però non modificano il messaggio dato. Forse i bambini/ ragazzi dopo aver sbraitato si sentiranno al sicuro in una cornice ben definita. E se non riusciamo facciamoci aiutare chiediamo aiuto non ci vergognamo.
Nell'educazione dei nostri figli compaiono anche molte difficoltà per ciò che abbiamo vissuto noi nella nostra vita. Non ci vergognamo o al massimo vergognamoci se non chiediamo aiuto nonostante sappiamo di doverlo fare.
E concedetemi in ultimo una riflessione su chi esercita la mia professione. Vivo costantemente con il terrore che il nome di uno dei quei ragazzi/ ragazze che decidono di togliersi la vita possa essere un mio paziente: è tutto molto delicato. Tutto. Siate delicati con tutto/tutti.