Dott.ssa Marta Bugari - Psicologa Psicoterapeuta

Dott.ssa Marta Bugari - Psicologa Psicoterapeuta Studio di Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

Sono una psicologa clinica iscritta all'albo della regione Marche n. 2563, Operatore di training Autogeno, Specializzanda in Psicoterapia

18/11/2025

E tu, adulto, che fai?
Ti metti in fila anche tu dietro al “tutti”?
O ti ricordi che educare non significa obbedire alle mode, ma avere il coraggio di andare controcorrente?

Perché la verità è semplice:
lo smartphone non è un problema dei bambini.
È un problema degli adulti che hanno paura di dire NO
e ancora più paura di dire SÌ con responsabilità.

Un telefono non serve a crescere un figlio.
Serve un adulto presente, scomodo, coerente.

Vediamo come dovrebbe funzionare per davvero.

Prima cosa: smetti di giustificarti. Ascolta tuo figlio.

Dietro “ce l’hanno tutti” non c’è la voglia di un oggetto.
C’è il terrore di sentirsi escluso.

Guardalo negli occhi, non nel telefono che ti chiede.

Dì semplicemente:
«Capisco perché lo vuoi.»

E poi smetti di sentirti in colpa.
L’educazione non è una trattativa al ribasso.

Se dici SÌ, ricordati che non stai dando un telefono.

Stai dando potere.

Potere di confrontarsi, perdersi, imitare, sbagliare.
E questo potere va dato solo se sei disposto a esserci, davvero.

Quindi il SÌ funziona solo così:
• non glielo butti addosso per liberarti
• lo accompagni
• fissi confini che non si discutono
• ti prendi la responsabilità di guardare cosa fa e come sta

La tecnologia non cresce nessuno.
Gli adulti sì.
Ma devono volerlo.

Se dici NO, devi voler reggere la sua frustrazione.

E la tua.

Un figlio senza smartphone non muore.
Un figlio senza limiti sì.
Muore dentro, piano, senza nemmeno accorgersene.

Il NO va detto così:

«Non ancora.
E non perché non ti reputo capace, ma perché non voglio buttarti in un mondo che non sei pronto a reggere.»

Non si educa per paura di essere impopolari.
Si educa per amore del futuro dei figli.

La frase che gli dovresti lasciare addosso

Non importa cosa decidi.
Importa cosa gli arriva.

«Io scelgo per te.
Non per gli altri.»

Se tuo figlio capisce questo,
lo smartphone potrà anche averlo tardi.
Ma avrà qualcosa di molto più raro:
un adulto che ci mette la faccia,
non uno che segue la mandria.

E poi comprendi che non è ciò che ti ha fatto paura il vero problema ma ciò che pensi di spaventoso e pericoloso potrebb...
17/10/2025

E poi comprendi che non è ciò che ti ha fatto paura il vero problema ma ciò che pensi di spaventoso e pericoloso potrebbe riaccadere.
La cura alla paura è comprendere che non tutto può essere previsto ma soprattutto che vivere in previsione e prescrizione non è la cura per non avere paura. Anzi.

Che a volte di fronte a un trauma i segni che porti con te, sono il frutto di ciò che è accaduto ma anche il segno concreto che sei lì a raccontarlo e che oggi avresti gli strumenti per non farlo accadere più. Strumenti per dire basta.

Che puoi raccontare oggi come la pensi, che forse è come la pensavi anche ieri, solo che ti mancava la scrittura dentro di quel concetto tanto importante ma così poco legittimato, da non avergli dedicato pensiero e parole per essere espresso.
Ma ora è lì quella credenza,
chiara
forte
esprimibile.

Per tante storie di dolore ci sono altrettante strade di cura.

07/10/2025
E se il sintomo fosse solo un elemento da considerare ma non l’elemento?…È spontaneo, automatico, viene da sé che il sin...
01/10/2025

E se il sintomo fosse solo un elemento da considerare ma non l’elemento?



È spontaneo, automatico, viene da sé che il sintomo spinga alla richiesta di aiuto, è il segnale di un malessere, visibile a tutti i presenti.

Eppure, anche se tutti d’accordo con questa visione delle cose, capita che il sintomo rappresenti in realtà una piccola parte del problema e assolvi la funzione di realizzazione di bisogni molto più profondi dei pazienti che cercano una cura a quell’inconveniente piombato addosso.

Sono sintomi ad esempio la paura intensa di andare al supermercato, il timore e l’abbattimento nell’affrontare un nuovo inizio, l’ansia costante per la propria salute che porta chi ne soffre a controlli ripetuti che restano senza diagnosi e quindi anche senza cura.

Questi ed altri svariati sintomi raccontano molto di più di ciò che si vede, desideri profondi come ad esempio il bisogno di non essere mai lasciati soli, la paura di affrontare il mondo perché ci si considera troppo poco per poter fare qualsiasi cosa, il timore di non essere pensati e di non ricevere cura “se solo smettessi di chiederla”.

Il sintomo è assolutamente un problema per chi lo vive, è invalidante, è doloroso ma non sempre attenzionarlo così come viene presentato rappresenta la via della cura, perché regge uno schema che mantiene invariati tanti aspetti della vita delle persone prima fra tutto, stando al tema di questo post, la capacità e la possibilità di comunicare il vero bisogno, la vera paura, la vera angoscia che soggiorna dentro e che a volte può solo essere urlata attraverso un sintomo, che per quanto scomodo, lo è meno di altre domande e di altre risposte.
Da entrambi i lati, sia per il mittente sia per il/i destinatario/i.

La stanchezza è un input per approdare in terapia.Le persone arrivano in terapia stanche, molte volte dopo tempo dalla p...
26/07/2025

La stanchezza è un input per approdare in terapia.

Le persone arrivano in terapia stanche, molte volte dopo tempo dalla prima volta che hanno iniziato ad avvertire i primi sintomi, con la testa impicciata a pensare a ciò che causa malessere, spesso senza condividere quello che frulla in pancia.
E in seduta quelle sensazioni negative e i vissuti dolorosi passano da essere sensazioni, poi pensieri poi parole che si sciolgono in un racconto.

Sì perché il pensiero di una persona che sta male da tempo è nebbioso, astratto, può essere ripetitivo e afinalistico. Significa che non porta ad alcuna conclusione, solo a un girotondo di visioni negative che in terapia si chiama “rimuginio”. Il rimuginio è una modalità di pensiero che dà l’illusione che, pensando assiduamente, riflettendo e analizzandosi si possa arrivare alla “soluzione”, ci si riesca a preparare al peggio o che si possa ridurre la probabilità che accada l’evento temuto. In realtà una mente impegnata a produrre pensieri negativi e ansiosi, nonostante avrà trovato almeno un buon motivo per farlo, si affossa sempre più e difficilmente potrà fare spazio ad altre prospettive.
“E se la situazione non cambia?”
“E se la situazione peggiora?”
“E se accadesse davvero?”
“E se domani mi sveglio e mi sento male?”

Questi sono esempi di pensieri che accendono il rimuginio, un modo di pensare le cose che a volte rischia di creare una barriera tra il pensiero e la pancia, tra quello che penso e mi dico e quello che sentirei faccia a faccia con la sofferenza più profonda.
La terapia che funge da contenitore, può far sentire al sicuro, più al sicuro per poter andare oltre quel rimuginio mettendo davvero le mani su ciò che c’è sotto perché pensare, pensare e pensare tiene tutto il movimento in testa e poco nella pancia = razionalizzo/mantengo il controllo pensando e non scomodo le emozioni in pancia…che chissà se mi conviene ad aprire quella porta.
Rallentare un pensiero ansioso, sfiduciato o malinconico che spesso sovrasta e cristallizza il vero problema, può rappresentare moltissimo nella partita con la sofferenza, concedendo istanti di vantaggio che potranno fare spazio a comprensioni più articolate e personali.

Indirizzo

Via Abruzzi, N. 10
San Benedetto Del Tronto
63074

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