02/08/2024
Nella gara di pugilato che ieri ha visto contrapposte Angela Carini ad Imane Khelif ci sono state due donne sconfitte. La prima perché si è ritirata dopo pochi secondi, la seconda perché le è stato disconosciuto il suo essere donna. Per mere strumentalizzazioni politiche si è fatta passare la pugile algerina come una transessuale, adducendo come motivo che il suo genotipo fosse maschile. Non si è voluto appositamente neppure prendere in considerazione che invece fosse una persona intersessuale, più specificamente affetta dalla sindrome di Morris, ossia la sindrome di insensibilità agli androgeni.
Si tratta di una malattia rara, che interessa circa 1 neonato su 13000. Il feto, pur essendo geneticamente maschile (XY), sviluppa testicoli embrionali ma, a causa di una mutazione associata al gene dei recettori per gli androgeni, è insensibile agli ormoni maschili e sviluppa caratteri sessuali femminili. Questa discrepanza tra il sesso genetico e la formazione dei genitali esterni è una condizione differente dalla transessualità, in cui invece si verifica un conflitto fra l’identità di genere e il sesso fisico della persona. Le persone affette da questa sindrome sono dal punto di vista anatomico, psicologico, legale e sociale delle donne.
In quanto tale Imane Khelif ha partecipato a campionati mondiali di pugilato dilettanti femminile dal 2018 al 2022, vincendo ma anche perdendo con le altre pugili in gara. Quel che ha subito in questi giorni si connota, quindi, come un vero e proprio attacco improprio, soprattutto da parte di chi ha inteso usarla per sputare veleno sui e sulle transgender. Siamo le prime a sostenere che un’atleta transgender non possa competere nelle gare femminili, perché la sua struttura corporea ed il proprio patrimonio genetico costituiscono una condizione di aprioristico vantaggio sulle atlete di sesso femminile. Ma di qui a massacrare a parole la pugile algerina per battaglie ideologiche contro i/le transessuali molta acqua corre sotto i ponti.
Se è il sesso biologico di nascita a farci definire femmine, Imane lo è. Poi potremmo anche sollecitare una revisione delle norme e dei regolamenti sportivi che tenga conto delle Differenze dello Sviluppo del Sesso (DSD), come sono definite scientificamente. Ci domandiamo, però, la ragione del silenzio fragoroso sulle migliaia di atlete, in gran parte minorenni, che nella Germania dell’Est negli ultimi decenni del secolo scorso vennero virilizzate chimicamente e sacrificate alla nazione a loro insaputa, rese sì invincibili sul campo ma annientate nella vita.
Misteri che oggi di fronte al caso della pugile algerina svaniscono alla luce di un contesto sociale e politico fortemente improntato a mere strumentalizzazioni. Il corpo di una donna usato per confutare i diritti delle persone transessuali esce sconfitto da questa indegna competizione, ragione per la quale ci diciamo indignate e solidarizziamo con Imane Khelife, di cui pubblichiamo una foto da bambina attorniata dai suoi familiari.