
16/05/2025
Non siamo fatti per funzionare. Siamo fatti per avere senso.
La cultura della performance ci ha insegnato a misurare la nostra salute mentale in termini di efficienza: riesci a lavorare? Dormi? Produci? Allora stai bene.
Se ti fermi, se senti troppo, se rallenti — c’è qualcosa che non va.
Ma l’essere umano non è un sistema operativo.
Non ha bisogno solo di “funzionare”, ha bisogno di trovare senso in ciò che vive.
Può essere attivo, presente, brillante e sentirsi vuoto.
Può essere calmo, equilibrato, produttivo e non capire più perché lo fa.
Molti sintomi psicologici, oggi, derivano da un iperfunzionamento svuotato di significato.
Il corpo regge, la mente si adatta, l’agenda si riempie.
Ma il senso manca.
E quando manca il senso, il disagio non si esprime con parole: si infiltra nel sonno, nella pelle, nello stomaco, nei legami.
Si traduce in ansia senza nome, in demotivazione cronica, in una stanchezza che non si cura dormendo.
Il lavoro terapeutico non consiste nel “rimettere in moto” le persone.
Consiste nel restituire profondità a una vita che si è ridotta a superficie.
Perché non basta funzionare. Serve essere in contatto con ciò che ci tiene vivi.