1000 Papaveri Rossi - ANPI San Gimignano

1000 Papaveri Rossi - ANPI San Gimignano Sezione A.N.P.I. San Gimignano
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14/07/2025

Deposizione delle corone di alloro e cerimonia istituzionale sabato 12 luglio in Piazza del Duomo dalle ore 21.15

13/07/2025
02/05/2025
26/04/2025

Il discorso che la presidente provinciale Anpi ha tenuto in Piazza del Campo oggi, 25 aprile.

È il partigiano Sandro Pertini il 25 aprile 1945 a chiamare all’insurrezione generale dal microfono di Radio Milano Liberata, con il proclama che inizia con la celebre frase: “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l'occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.
Usa parole dure, ma che chiariscono il senso di quel momento storico: essendo ormai evidente la sconfitta di fascisti e nazisti, Pertini e il Comitato di liberazione nazionale intimano loro la resa incondizionata, perché si smetta di trascinare ancora il Paese nella rovina. E garantisce che non ci sarà vendetta per chi consegnerà le armi.
Celebrando la Resistenza in un discorso alla Camera nel 1970, Pertini sottolinea come il vero protagonista della lotta di Liberazione è stato il popolo: "Protagonista è la classe lavoratrice, che diviene così, non per concessione altrui ma per sua virtù, soggetto della storia del nostro paese. Questo posto se l’è duramente conquistato e non intende esserne spodestata. Gli ideali che animarono quella lotta sono la libertà e la giustizia sociale, che – continua Pertini – costituirono un binomio inscindibile: non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà. E sta precisamente al Parlamento adoperarsi senza tregua perché sia soddisfatta la sete di giustizia sociale della classe lavoratrice. La libertà solo così riposerà su una base solida, la sua base naturale, e diverrà una conquista duratura e sarà sentita in tutto il suo alto valore, e considerata un bene prezioso inalienabile dal popolo lavoratore italiano".
Senza i lavoratori, con i loro scioperi e con la difesa delle fabbriche dallo smantellamento e dalla distruzione, senza le donne che in gran numero si misero a disposizione rompendo lo schema culturale che le avrebbe volute relegate nella sola dimensione privata (35.000 partigiane combattenti, 70.000 organizzate nei Gruppi di difesa della donna), senza i militari che ebbero la forza di non aderire all’esercito della Repubblica sociale, preferendo l’internamento in Germania (600mila), senza chi non potè fare a meno di prendere in mano la propria capacità di reagire, non ci sarebbe stata alcuna Resistenza.
Per tanti anni della lotta di liberazione ha prevalso la narrazione eroica. Abbiamo considerato la lotta partigiana soprattutto come azione militare: la guerriglia, i sabotaggi, le azioni dei Gap nelle città. Ma dobbiamo considerare che alla base di questa lotta, fondamentale, c’è un atto politico, e c’è una questione di umanità.
La Resistenza si è combattuta anche senza le armi, dicendo dei No, come gli internati militari che preferirono le condizioni durissime nei campi di prigionia, gli operai che scioperarono, le antifasciste e gli antifascisti che sfidarono il Tribunale speciale per continuare un’azione di opposizione clandestina che costava il carcere, il confino, la vita, e come fecero i sacerdoti che protessero i partigiani, e in molti casi diventarono partigiani loro stessi. Questo vasto e generoso mondo che definiamo con l’unica parola “Resistenza” è in stretta correlazione con l’opposizione alla disumanità della guerra, al “non voler essere come loro”, cioè come i fascisti e i nazisti che fondarono sulla violenza, soprattutto contro i civili, la cifra della loro azione.
Credo che sia importante, in una contemporaneità dilaniata dalle guerre, da un genocidio in atto e dall’indisponibilità ad arrivare a una mediazione, dal ricatto della presunta necessità di riarmare gli stati, da una propaganda tesa alla costruzione del nemico - tutte cose già viste condannate nel corso del Novecento - credo che sia importante rimettere al centro l’imperativo morale di “non essere come loro”, e considerare l’importanza della dimensione politica accanto a quella militare.
E credo che il più significativo omaggio a papa Francesco sia non la sobrietà che ci viene richiesta in questa giornata di festa nazionale, che sempre abbiamo celebrato con la compostezza necessaria, e con la vitalità che conviene a una festa ancora così attuale e sentita. Credo che l’omaggio più importante sia rimettere al centro del dibattito pubblico l’accorata opposizione del papa al riarmo e il suo appello per la soluzione politica dei conflitti.
È questo, in sostanza, il motivo che ci chiama in piazza ogni 25 aprile, e che ci interpella ancora: esserci liberati grazie alla spinta della volontà popolare da una dittatura violenta e da una guerra atroce, e avere grazie a questa spinta collettiva gettato le basi per determinare il fondamento della nostra Repubblica, e le basi della sua Costituzione.
Che cosa ci resta, altrimenti, di quella stagione a così tanti anni di distanza? E perché quel movimento di popolo ci interessa ancora? Non certo per reducismo, ma perché la seconda parte della sua azione, altrettanto impegnativa, resta da compiere. E compierla tocca a noi. Tocca a noi difendere la Costituzione ispirata allo spirito della Resistenza dai continui tentativi di manipolazione e delegittimazione. E tocca a noi, soprattutto, applicarla nella sua interezza. Tocca a noi ribadire, articolo dopo articolo, il suo spirito interamente antifascista. La sua capacità di chiedere a ciascun cittadino, una volta sancita l’uguaglianza di tutti, e una volta che la Repubblica abbia garantito questa uguaglianza, di concorrere allo sviluppo della società, con il suo lavoro e il suo ingegno. Tocca a noi ricordare che l’impresa privata non è fine a sé stessa, ma ha una finalità sociale. Tocca a noi ricordare che la scuola è aperta a tutti, che le università sono libere e libero è l’insegnamento. Che manifestare è un diritto. Che la salute è un diritto. Che al cittadino a cui nel suo paese sono negati i diritti fondamentali deve trovare protezione in questo Paese. Tocca a noi ricordare che l’Italia ripudia la guerra.
Non possiamo oggi rischiare di perdere pezzo dopo pezzo la sostanza di questa enorme operazione di democrazia, magari rinunciando al voto e restando indifferenti rispetto al dovere di partecipare alla vita del Paese. Ricordiamoci che il voto è un nostro diritto, ma anche una nostra responsabilità, e quando con fatica riusciamo a conquistarlo, il voto è anche la nostra rivolta.
Non possiamo restare indifferenti se gli stati tornano a riarmarsi, e l’Europa stessa rinuncia al suo statuto di organismo sovranazionale che ha il compito di garantire la mediazione e l’evitamento dei conflitti. Non possiamo tacere se a noi cittadini viene chiesto di rinunciare alla nostra sovranità, che ci appartiene, per delegarla in modo sempre più astratto e delegittimante a poteri che non ci corrispondono.
La Resistenza ci ha insegnato che si può organizzare una opposizione comune tra diversi. A Siena, il comandante della Brigata Garibaldi Spartaco Lavagnini, Viro Avanzati, era comunista, aveva scontato quattro anni di confino a Ponza e in altri luoghi per le sue idee politiche. Il primo partigiano della Lavagnini che pagò con la vita la sua adesione alla lotta di liberazione era un ragazzo senese. Si chiamava Luciano Panti, frequentava il Costone e l’Azione cattolica. Fu ucciso a Rigosecco il 15 gennaio 1944 in un’imboscata dei fascisti senesi, che lo lasciarono morire dissanguato dopo una lunga agonia. Il partigiano della Monte Amiata che il 2 luglio, il giorno precedente la liberazione della città, attraversò le linee per portare ai francesi informazioni decisive sul posizionamento dell’artiglieria tedesca era Francesco Griccioli, ed era monarchico. Gina e Lina Guerrini, e Bruna Talluri, partigiane combattenti nel Raggruppamento Monte Amiata militavano nel partito d’Azione.
La gran parte delle partigiane e dei partigiani che in quei mesi misero in gioco la loro vita si andavano formando le proprie idee iniziando dall’atto stesso di resistere. Erano nati sotto l’ombrello del fascio littorio e del suo motto, ‘credere – obbedire – combattere’, che li esimeva dal prendere decisioni proprie. Vollero rovesciare per prima cosa quella oppressione sulle loro coscienze, vollero decidere, invece che credere, e rifiutarono di obbedire. Quanto a combattere, lo fecero, ma dalla parte che ritennero giusta, e per mettere fine a quel corto circuito della storia che poneva il mito del guerriero a fondamento dell’identità nazionale.
Ci costerebbe così tanto, oggi, riprendere il filo di quello spirito unitario? Renderci disponibili a recuperare il senso di quella lotta, che fu lotta di idee, prima ancora che azione militare? Rimettere al centro il progetto di una collettività che sa giudicare e prendere le proprie decisioni, e pretendere che non le siano scippate?
Protagonista – ci ricordava Sandro Pertini - è la classe lavoratrice che con la sua generosa partecipazione dette un contenuto popolare alla guerra di Liberazione. Divenendo così, non per concessione altrui, ma per sua virtù, soggetto della storia del nostro paese. Questo posto se l’è duramente conquistato e non intende, neppure oggi, esserne spodestata.
Viva il 25 aprile, viva i partigiani che ci hanno indicato la via.

Questa sera, deposizione della corona presso il Parco della Rimembranza a Ulignano.
24/04/2025

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Venerdì alle 10:00 vi aspettiamo in piazza!
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05/04/2025

Questa mattina a Firenze, presso il Cimitero Monumentale delle Porte Sante, commemorazione sulla tomba di Franco Corsinovi, il partigiano "Fernandel" caduto su Montemaggio.

28/03/2025

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