30/06/2025
Apologia dell’imperdibilità: vuoto e fame esperienziale.
Viviamo in un tempo in cui ogni evento viene presentato come imperdibile, ogni occasione come unica, ogni esperienza come fondamentale.
L’imperdibilità è diventata non solo una strategia retorica, ma un imperativo esistenziale: "non puoi perdertelo" altrimenti qualcosa in te resterà per sempre incompiuto.
Ma cosa racconta di noi questa narrazione?
Questa retorica affonda le sue radici in una cultura del riempimento, dove il vuoto – fisico, psichico, relazionale – è temuto, negato, perfino demonizzato.
L’idea stessa di mancare un evento, una mostra, un viaggio, una conversazione, genera in molti una sensazione quasi angosciosa, come se qualcosa di vitale venisse sottratto. Ma questa angoscia non nasce dall’evento in sé, bensì da un’incapacità di sostare nel vuoto, di abitarlo senza doverlo saturare compulsivamente.
Il bisogno di "non perdere nulla" è come una fame bulimica di esperienze. Non si tratta di nutrirsi per bisogno, ma di ingoiare per colmare un’assenza interna, un senso di incompletezza mai digerito. L'agenda si affolla di eventi, gli spazi si saturano di stimoli, il tempo viene masticato senza tregua.
Non si vive per essere presenti a sé, ma per esserci ovunque, con la paura costante che qualcosa di importante ci stia sfuggendo.
Ma chi ha deciso che tutto è imperdibile?
Non è forse una trovata di marketing travestita da esigenza autentica? La pubblicità lo sa: se ti convinco che non puoi permetterti di mancare, ti sto vendendo non un prodotto, ma un pezzo della tua identità.
Non partecipi a un evento, confermi di esistere.
Ma questo non è un bisogno genuino: è una paura indotta. Paura che, se ti fermi, perdi. Ma perdi cosa, esattamente?
In realtà, l’esperienza della mancanza è parte integrante della maturazione psichica. Imparare a stare nel vuoto – nel silenzio, nella solitudine, nella noia, nel tempo non riempito – è ciò che consente il passaggio da un'esistenza infantile, dipendente e reattiva, a una adulta, consapevole e scelta.
L’adulto sa che la vita è fatta anche di assenze, di occasioni perdute, di non detti, di stanze vuote.
E sa che è proprio da lì, da quelle mancanze, che potrebbe nascere qualcosa di nuovo: desiderio autentico, discernimento, libertà.
Saper perdere qualcosa – una festa, una tendenza, un’opportunità – è l’atto più rivoluzionario e adulto che si possa compiere oggi. È un’affermazione di padronanza sul proprio tempo, sul proprio desiderio, sulla propria interiorità.
E allora: chi l’ha detto che tutto è imperdibile?
Chi ci ha venduto l’idea che vivere significhi non perdersi nulla, anziché ritrovarsi in qualcosa?
Forse è il momento di disobbedire a questa narrazione. Di restare, ogni tanto, a casa. Di perdere un evento, un trend, un aggiornamento. Di perdere per scegliere. Di vuotarsi per sentire.
Di mancare, e di permettersi di sentire la mancanza, per esistere davvero, paradossalmente in maniera più autentica e piena.