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12/10/2025

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Attacchi di PanicoPer comprendere un attacco di panico è indispensabile riallacciarsi al suo parente più prossimo: la pa...
11/10/2025

Attacchi di Panico

Per comprendere un attacco di panico è indispensabile riallacciarsi al suo parente più prossimo: la paura. La paura è un’emozione che ci avverte quando siamo di fronte a pericoli reali, generando risposte adeguate a proteggerci e a mantenerci in salute. La paura, pur provocando sensazioni spiacevoli, è un alleato importante, uno stimolo a mobilitarci e seguire le reazioni difensive istintuali di fronte ad un pericolo reale. Queste reazioni sono decisioni prese rapidamente e intuitivamente dalla mente che, per essere appropriate alla natura del pericolo, possono risultare molto diverse fra loro: contrattacco, razionalizzazione, immobilità, fuga…

E’ importante non confondere questo sentimento primordiale forte e chiaro, che fa parte dell’istinto di sopravvivenza, con le innumerevoli paure infondate, fobie e fantasie catastrofiche in cui ci intrappoliamo nella vita di tutti i giorni. Questi stati fobici, ansiosi e angosciosi, nella loro forma acuta diventano i cosiddetti “attacchi di panico”, i quali non partendo da una realtà di pericolo concreto sono da considerarsi metafore del nostro mondo interno, espressioni di un disagio di vivere, nonostante le manifestazioni sul piano fisiologico e psichico siano identiche a quelle della paura: senso di allarme, palpitazioni, irrequietezza, rigidità muscolare, sensazione di non respirare, bocca secca, nodo alla gola, gambe molli, svenimento, stordimento, tremore, vertigini, appannamento della vista, dolore al petto, nausea, perdita di controllo, paura di morire, di impazzire.

Nel linguaggio comune si tende a confondere i termini paura, attacco di panico, ansia, angoscia; per mantenere una comunicazione significativa è essenziale chiarire e fare distinzione fra le diverse emozioni che a volte possono essere contemporanee. L'ansia è un eccitamento fisiologico dell’organismo, più leggero della paura e costante. Provare ansia significa sentirsi continuamente in allerta, ingigantire il valore dei fatti, vivere le situazioni con un’intensità emotiva assillante e discordante con la realtà, essere troppo vulnerabili per rispondere in modo opportuno agli stimoli e alle pressioni ambientali. Occorre poter sostenere un certo grado di ansietà interna per essere creativi o anche solo per sopravvivere nel mondo con una certa sicurezza, forza, autostima. L’angoscia è uno stato doloroso dilagante e persistente; quest’emozione intensa di dolore e insicurezza insieme s’insinua nell’animo quando tutto è vissuto come immutabile, triste e sembra impossibile progettare la propria vita. La paura e il panico si possono distinguere solo dalla presenza o meno del pericolo reale.

Chi ha fatto esperienza di un attacco di panico sa che è un evento angosciante, improvviso e inaspettato; il timore che si ripresenti diviene in genere un pensiero assillante da cui nasce la paura di avere paura. Il fatto di non trovare una ragione plausibile all’instaurarsi di questo disagio fa immaginare che il suo superamento sia al di là delle proprie possibilità da cui ha inizio una strategia difensiva paradossale: si sfuggono le situazioni in cui gli attacchi di panico sono avvenuti considerandoli pericolosi... gli spazi aperti, gli spazi chiusi, le piazze, la folla, il traffico, il supermercato, le situazioni d’esame, l’ospedale, l’aereo, il treno, per non parlare di ascensori, gallerie e ogni luogo in cui ci si sente “costretti”. Inizia un circolo vizioso in cui ci si auto-convince ad isolarsi, a vivere confinati, ad uscire di casa il meno possibile a meno di non essere affiancati; si limitano le proprie attività e relazioni, pervenendo ad una mancanza di autonomia eccessiva accompagnata dalla dipendenza dai farmaci. Solo quando ci si accorge che il regime di auto-limitazione e restrizione della libertà non aiuta a star meglio, anzi predispone alla depressione e alla frustrazione, si giunge alla logica conclusione che l’unico modo di uscirne è la comprensione del sintomo e non l’evitamento.

La terapia ha lo scopo di:

• Aiutare la persona a comprendere i motivi profondi del sintomo, in quali ambiti vive delle pressioni e scontenti di cui non si accorge.

• Sviluppare il potenziale creativo e la fantasia per ridurre le inibizioni, liberare le capacità inespresse, il coraggio di fare delle scelte interessanti per sé.

• Acquisire con il lavoro corporeo una nuova sensibilità per entrare in contatto con le proprie esperienze e divenire consapevoli della propria forza.

• Rinunciare ad usare il sintomo per controllare la vita altrui e assumersi la responsabilità di riconoscere e rispettare i propri bisogni.

❤️❤️❤️ 𝐏𝐫𝐞𝐧𝐝𝐢𝐭𝐢 𝐜𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐭𝐞❤️❤️❤️
10/10/2025

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10/10/2025
“La relazione tra il terapeuta e la persona che gli chiede aiuto è diversa da ogni altra forma di rapporto umano perché ...
10/10/2025

“La relazione tra il terapeuta e la persona che gli chiede aiuto è diversa da ogni altra forma di rapporto umano perché si svolge in un contesto specifico, il setting, modulato da regole precise e finalizzato al cambiamento, inteso come miglioramento significativo e concreto dell’equilibrio psicologico, che include la risoluzione dei problemi che hanno motivato la psicoterapia.
Perciò si può dire che la relazione psicoterapeutica, quando funziona, è nutrita dal cambiamento maturato fase dopo fase, seduta dopo seduta, e che si realizza appieno quando la persona, consolidati i risultati, è pronta al distacco.
Uno dei compiti difficili del terapeuta è incoraggiare amorevolmente all’autonomia e realizzare quelle condizioni ottimali per cui la psicoterapia si concluda con efficacia nel minor tempo possibile. Dunque, la fine di una relazione terapeutica non deve e non può essere traumatica, ma rappresentare un momento felice e convalidare il cambiamento, stabile e funzionale, conseguito durante il percorso.
Gioia, commozione e speranza. Quando una persona con cui ho lavorato lascia il mio studio per l’ultima volta sono abituato a sentire, tutte insieme, gioia, commozione e speranza.
Gioia, perché sento e vedo la bellezza del cambiamento, ricordo con precisione fotografica il “prima” e il “dopo” la terapia e ho un’idea precisa della linea ondulatoria, ma continua e ascendente, che si è inscritta nella sua vita, e nella mia vita, dopo ogni incontro.
Commozione, perché l’amore che nutro per le persone con cui lavoro è forte, ed è l’amore che per tutta la terapia mi spinge a restare nel setting, a colludere il meno possibile con le difese inevitabilmente opposte al processo terapeutico e, a volte, a sembrare duro e intransigente.
Speranza, perché quando una terapia finisce la persona incontrerà inevitabilmente nuove situazioni che potrebbero attivare “schemi disadattivi” e dovrà, da sola, gestirle e orientarsi verso quelle condizioni di auto-realizzazione, che sono sempre il tema finale della psicoterapia.
Poi, ho la certezza che, anche dopo molto tempo, chi ha fatto una psicoterapia efficace sappia, se necessario, chiedere di nuovo aiuto. Perché i dinamismi della vita sono imponderabili, e chiunque abbia capito qualcosa di se stesso, lo sa.
Capita, soprattutto nel periodo natalizio, che riceva cartoline d’auguri o email, da persone seguite anche dodici anni fa che, con l’occasione degli auguri, mi raccontano che ogni cosa ancora va bene, che i fantasmi e i mostri che avevamo allontanato continuano a stare alla larga, che la depressione, il panico, il disamore e il mal d’amore, sono quello che devono essere: passaggi, occasioni di svincolo, traiettorie da sorpassare sulla via della felicità.
Tra me e me, anche nell’esperienza delle mie psicoterapie personali, so che il rapporto col terapeuta, quando è buono, non finisce mai. Che lo si porta dentro, lo si interiorizza al punto di poter fare a meno della sua presenza fisica e delle sedute. Che viene sostituito da un “terapeuta interno” efficiente e amorevole. E questo è il massimo obiettivo di una relazione d’aiuto.
Nell’ultima seduta, spiego sempre che io ci sarò in caso di necessità, e che la terapia che finisce davvero, in fondo non finisce mai. Nel senso che io, come essere umano e come terapeuta, resto legato a chi ho seguito, professionalmente e personalmente, e che sono consapevole che un sentimento simile da parte dell’altro sia sano e costruttivo. Nella realtà, accade che, dopo molti anni, qualcuno torni in consulenza per questioni diverse da quelle che ci avevano fatti conoscere e, in genere, bastano pochi incontri per conseguire risultati, quando, se le stesse problematiche si fossero verificate in passato, avremmo dovuto lavorare più duramente.”

09/10/2025
Buonanotte 🩷
08/10/2025

Buonanotte 🩷

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08/10/2025

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Buongiorno 💕
08/10/2025

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Indirizzo

Via Monfalcone 5
San Giorgio Jonico
74027

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 18:00
Martedì 09:00 - 14:00
Mercoledì 09:00 - 19:00
Giovedì 09:00 - 14:00
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