Ambulatorio di Fisioterapia e Osteopatia a Bologna - Dr. Giora Sluzky

Ambulatorio di Fisioterapia e Osteopatia a Bologna - Dr. Giora Sluzky Trattamenti di fisioterapia e osteopatia, terapia fisica moderna e fisioestetica. Convenzione dirett

Il legame oscuro tra vaccino e tumori: lo studio coreano che riapre il dibattito*Se preferisci, puoi ascoltare l’articol...
08/10/2025

Il legame oscuro tra vaccino e tumori: lo studio coreano che riapre il dibattito*

Se preferisci, puoi ascoltare l’articolo letto dall’AI invece di leggerlo. Il link seguente sarà disponibile per un periodo di tempo limitato:

https://www.dropbox.com/scl/fi/f341jv6teajpay9udhuxf/Il_legame_oscuro_tra_vaccino_e_tumori_lo_studio_c.mp3?rlkey=7bf2vxuh22jb8se7d4zh41f8i&st=pm3tk9fz&dl=0

Da anni il tema degli effetti a lungo termine della vaccinazione anti-Covid divide il mondo scientifico. Ma ora arriva una ricerca imponente, condotta in Corea del Sud, che solleva interrogativi che non possono più essere ignorati.

Pubblicato su Biomarker Research nel 2025, lo studio firmato da Hong Jin Kim, Min-Ho Kim, Myeong Geun Choi e Eun Mi Chun analizza i dati di oltre otto milioni e quattrocentomila persone tra il 2021 e il 2023, ricavati dal database dell’Assicurazione Sanitaria Nazionale coreana.

L’obiettivo: capire se, a distanza di un anno dalla vaccinazione contro il COVID-19, esista un aumento di rischio nello sviluppo di tumori.

I risultati, freddi nei numeri ma dirompenti nelle implicazioni, mostrano che sì, una correlazione statistica esiste. E non marginale.

Il rischio di sviluppare sei tipi di tumore – tiroide, stomaco, colon-retto, polmone, mammella e prostata – risulta significativamente più alto nei vaccinati rispetto ai non vaccinati.

Per esempio, il rischio relativo per il tumore alla tiroide cresce del 35%, per quello gastrico del 34%, per il colon-retto del 28%, per il polmone del 53%, per la mammella del 20%, e per la prostata addirittura del 69%.

Numeri che impongono prudenza, certo, ma che pongono anche un dovere di indagine.

Il virus e il vaccino: due facce dello stesso enigma biologico.

Gli autori ricordano che SARS-CoV-2, come altri virus noti per la loro potenzialità oncogena – ad esempio il papilloma umano o l’Epstein-Barr – possiede caratteristiche biologiche in grado di alterare i processi cellulari.

Il suo effetto sul sistema renina-angiotensina, la capacità di indurre mutazioni e di innescare infiammazione cronica potrebbero, in teoria, creare un terreno favorevole alla trasformazione neoplastica.

Ma c’è un aspetto ancora più inquietante.

Poiché le proteine di superficie del virus, in particolare la spike, sono le stesse su cui si basano le tecnologie vaccinali – mRNA e cDNA – gli studiosi ipotizzano che anche la vaccinazione possa condividere parte di questi meccanismi biologici.

È un’ipotesi, non una condanna, ma lo studio mostra che la correlazione non può essere liquidata come fantasia complottista.

8 virgola 4 milioni di individui sotto la lente.

Per arrivare a queste conclusioni, il gruppo coreano ha esaminato i dati di quasi 8 e mezza milioni dei cittadini.

Attraverso una procedura statistica chiamata propensity score matching, che serve a rendere comparabili i gruppi, sono stati selezionati quasi 609 mila vaccinati e quasi 2 milioni e mezzo non vaccinati.

Tra i vaccinati, 356 mila non avevano ricevuto il richiamo e 712 mila sì.

L’osservazione è durata un anno, analizzando tutte le diagnosi oncologiche emerse nel periodo successivo alla vaccinazione.

Il risultato? Un aumento significativo del rischio di sei neoplasie – tiroide, stomaco, colon-retto, polmone, mammella e prostata – con valori di hazard ratio tra 1 virgola 20 e 1 virgola 69, tutti con intervalli di confidenza statisticamente solidi.

Le differenze tra vaccini.

Non tutti i vaccini hanno mostrato lo stesso comportamento.

I vaccini a DNA, cDNA, cioè DNA complementare che è un tipo di DNA sintetico che viene prodotto in laboratorio copiando un filamento di RNA messaggero, mRNA, tramite un enzima chiamato trascrittasi inversa.

In pratica:

l’RNA contiene le istruzioni per produrre una proteina, come la spike del SARS-CoV-2;

la trascrittasi inversa legge quelle istruzioni e le trasforma in DNA;

questo DNA complementare può poi essere inserito in un vettore virale o plasmidico per far produrre la proteina al corpo umano.

Nel linguaggio dei vaccini, quindi, i vaccini a cDNA, detti anche vaccini a DNA o DNA-based vaccines, non usano mRNA libero come Pfizer o Moderna, ma frammenti di DNA circolar, plasmidi, che, una volta iniettati, entrano nel nucleo delle cellule e vengono lì trascritti in mRNA endogeno.

Da quell’mRNA, la cellula sintetizza poi la proteina spike contro cui si genera la risposta immunitaria, si sono associati a un rischio maggiore per tumori alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone e alla prostata.

I vaccini a mRNA, come quelli di Pfizer e Moderna, risultano invece legati a un incremento per tiroide, colon-retto, polmone e mammella.

Chi ha ricevuto una vaccinazione eterologa, cioè combinando tipi diversi di vaccino, ha mostrato un aumento specifico nei tumori della tiroide e della mammella.

Anche il sesso ha influito.

Gli uomini vaccinati si sono rivelati più vulnerabili ai tumori gastrici e polmonari, mentre le donne hanno mostrato un’incidenza più alta di tumori tiroidei e colorettali.

L’età, infine, sembra giocare un ruolo determinante: sotto i 65 anni, il rischio più evidente riguarda tiroide e mammella; sopra i 75, domina invece il tumore alla prostata.

Il ruolo dei richiami.

L’analisi dei booster ha rivelato nuovi elementi.

In chi ha ricevuto dosi di richiamo, il rischio è aumentato in modo significativo per tumori gastrici e pancreatici, con un hazard ratio per il pancreas di 2 virgola 25, più che raddoppiato.

Inaspettatamente, è emersa una riduzione del rischio di leucemie, HR 0 virgola 56, mentre per la maggior parte delle altre neoplasie non sono state riscontrate variazioni rilevanti.

Gli autori spiegano che il richiamo è concepito per rafforzare la memoria immunitaria, ma ricordano che la protezione del vaccino tende a diminuire nel tempo, richiedendo nuove esposizioni all’antigene.

E proprio queste re-esposizioni ripetute potrebbero, in individui predisposti, alimentare fenomeni infiammatori cronici, una delle vie più note di innesco tumorale.

Un’associazione, non ancora una causa.

La conclusione dei ricercatori è prudente ma netta.

Lo studio non stabilisce un nesso causale diretto tra vaccino e insorgenza di tumori, ma mostra un’associazione epidemiologica robusta, differenziata per età, sesso e tipo di vaccino.

Secondo gli autori, sarà indispensabile proseguire con ricerche molecolari e cliniche per comprendere se l’aumento dei casi oncologici rifletta un effetto biologico reale o soltanto una coincidenza statistica.

Nel frattempo, suggeriscono, i clinici dovrebbero prestare particolare attenzione ai pazienti vaccinati, soprattutto in relazione al rischio di tumori gastrici, tiroidei e pancreatici, osservati con maggiore frequenza dopo i richiami.

Una domanda aperta alla comunità scientifica.

Questo studio non è una sentenza, ma una chiamata alla responsabilità.

Laddove la scienza ufficiale tende a minimizzare o derubricare certi dati come “rumore statistico”, i ricercatori coreani hanno avuto il coraggio di guardare oltre.

Con metodo, numeri e rigore, hanno mostrato che l’immunizzazione di massa può avere effetti complessi, non sempre prevedibili, e che la sicurezza vaccinale non può più essere valutata solo nel breve termine.

In definitiva, i dati parlano chiaro: nel campione osservato, entro un anno dalla vaccinazione contro il Covid-19, l’incidenza di sei tipi di cancro è aumentata in modo statisticamente significativo.

E anche se nessuno può dire oggi se la causa sia diretta o indiretta, il fatto che emerga un pattern coerente tra sesso, età e tipo di vaccino non può essere archiviato come casuale.

Il lavoro di Kim e dei suoi colleghi è destinato a riaccendere il dibattito.

Non tanto per negare la scienza, ma per restaurarla nel suo significato autentico: quello di porre domande scomode e cercare risposte oneste, anche quando disturbano le certezze costruite in fretta.

* Disclaimer: Questo articolo non è un contenuto originale. È stato tradotto dalla lingua originale per rendere le informazioni accessibili al pubblico italiano e poi rielaborato dalla nostra redazione, basandosi sul articolo pubblicato (un link all’articolo originale:https://biomarkerres.biomedcentral.com/counter/pdf/10.1186/s40364-025-00831-w.pdf ).

Quando l’arte contemporanea incontra la storia anticaA volte i luoghi e le esperienze si intrecciano in un filo invisibi...
24/09/2025

Quando l’arte contemporanea incontra la storia antica

A volte i luoghi e le esperienze si intrecciano in un filo invisibile. A Vietri sul Mare, cuore pulsante della ceramica artistica, ho scoperto la bottega di Lucia Carpentieri: uno spazio che sembra una galleria d’arte, dove ogni creazione racconta un ritmo visivo fatto di geometrie, illusioni ottiche e riflessi dorati.

Ho scelto un set di vasi che presto entreranno nel mio ambulatorio, sostituendo le vecchie orchidee artificiali. Saranno quattro, due nella sala d’attesa e due nello studio, e dialogheranno con i quadri d’acciaio già presenti. Non semplici complementi d’arredo, ma vere e proprie presenze, capaci di trasformare lo spazio in un luogo di armonia e suggestione.

Guardandoli, non ho potuto fare a meno di pensare ai mosaici di Pompei: quel pavimento che sembra vibrare, muoversi sotto lo sguardo, creato duemila anni fa e ancora oggi capace di stupire con la sua potenza grafica. C’è un legame sottile tra quell’antica arte illusionistica e le linee ipnotiche di Lucia Carpentieri: entrambe parlano di un’estetica che non invecchia, che sa attraversare i secoli.

Lucia ha il raro dono di trasformare la ceramica in un’esperienza: nelle sue mani l’argilla diventa ritmo, il colore diventa profondità, l’oro diventa luce. Le sue opere non si limitano a decorare: abitano lo spazio, lo arricchiscono, e al tempo stesso lo proiettano in una dimensione senza tempo.

Fra due mesi questi vasi entreranno a far parte del mio quotidiano, e sono certo che ogni giorno, nel vederli, ritroverò un frammento di Vietri, un’eco di Pompei e, soprattutto, il talento di un’artista che ha saputo unire tradizione e visione contemporanea.

https://www.facebook.com/share/1AAbjFeSxj/?mibextid=wwXIfr

31/08/2025

L’amara pillola cinese: dipendenza, geopolitica e rischio sanitario

La Cina non è più soltanto un gigante manifatturiero: è diventata la farmacia del pianeta. Il Dragone controlla oggi la produzione globale di principi attivi farmaceutici, antibiotici e molecole essenziali, imponendo di fatto un monopolio che non è solo economico, ma anche strategico e politico.

La farmacia del mondo, ma a che prezzo?

Dietro i numeri impressionanti — il 75% dei principi attivi e l’80% degli eterosidi prodotti in Cina, un investimento di 55 miliardi di euro in ricerca solo nel 2024, tre quarti dell’export mondiale farmaceutico — si nasconde una realtà inquietante: Europa e Stati Uniti non sono più autosufficienti.

Basta pensare a un’eventuale crisi diplomatica o commerciale: se Pechino decidesse di limitare le esportazioni, le farmacie europee si svuoterebbero in poche settimane. Senza la Cina mancherebbero antibiotici, antidolorifici, persino le banali vitamine. La pandemia da Covid lo aveva già mostrato con le mascherine; oggi il rischio riguarda farmaci salvavita.

Il collasso della strategia europea

Il Vecchio Continente, che un tempo guidava l’innovazione farmaceutica, ha abdicato al suo ruolo, soffocato da burocrazia, lentezza decisionale e scelte miopi. In media, in Europa servono 578 giorni per l’approvazione di un nuovo farmaco, contro i tempi molto più rapidi degli Stati Uniti. Intanto le aziende hanno delocalizzato in Asia le produzioni meno redditizie, consegnando a Pechino un vantaggio competitivo inscalfibile.

Non è solo un problema economico: è una questione di sicurezza nazionale. Come può l’Europa parlare di “autonomia strategica” se dipende da un unico Paese straniero per la fornitura dei medicinali di base?

Il ricatto del Dragone

Il monopolio cinese non è neutrale. Pechino lo sa e lo utilizza come arma geopolitica. Controllando antibiotici, analgesici e principi attivi, il regime di Xi Jinping può esercitare una pressione silenziosa ma devastante sulle economie occidentali. È una forma di ricatto moderno: non con carri armati o missili, ma con pillole e fiale.

Gli Stati Uniti hanno colto il pericolo e creato commissioni speciali per recuperare il terreno perduto. L’Europa, invece, continua a oscillare tra l’illusione del libero mercato e la paralisi burocratica, senza una vera strategia industriale.

L’Italia tra eccellenza e rischio marginalità

Il nostro Paese resta un polo importante: il 25% dei principi attivi europei viene prodotto in Italia e il surplus commerciale ha toccato i 21 miliardi nel 2024. Ma questo non basta. Senza una politica comune europea e senza investimenti mirati, anche l’Italia rischia di essere trascinata nel declino generale.

Come ha ammonito Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, “non possiamo vivere di rendita. La Cina corre, noi camminiamo”.

Una nuova guerra silenziosa

La dipendenza dai farmaci cinesi non è un tema tecnico, ma un fronte di guerra silenziosa. Chi controlla le medicine controlla la salute, la stabilità sociale, persino la capacità di resistere a emergenze sanitarie future. E oggi, questo potere, appartiene quasi interamente al Dragone.

I depositi di grasso viscerale accelerano l’invecchiamento cardiaco*Se preferisci, puoi ascoltare l’articolo letto dall’...
25/08/2025

I depositi di grasso viscerale accelerano l’invecchiamento cardiaco*

Se preferisci, puoi ascoltare l’articolo letto dall’AI invece di leggerlo. Il link seguente sarà disponibile per un periodo di tempo limitato:
https://www.dropbox.com/scl/fi/f4jqm5iteut4wbuqrs02v/I_depositi_di_grasso_viscerale_accelerano_l-invecc.mp3?rlkey=t3ybbtnffjr7g6n0hwo7ecd59&st=q2ck4u4s&dl=0

Un nuovo studio pubblicato sull’European Heart Journal ha identificato una connessione significativa tra i depositi di grasso viscerale — il grasso che si accumula in profondità attorno a organi come stomaco, intestino e fegato — e l’invecchiamento precoce del cuore.

A differenza del grasso sottocutaneo, quello viscerale non è visibile dall’esterno e può essere presente anche in persone normopeso. La ricerca condotta dal gruppo del professor Declan O’Regan (MRC Laboratory of Medical Sciences, Imperial College di Londra) mostra che questo grasso “nascosto” favorisce processi infiammatori sistemici che compromettono la funzionalità cardiaca, indipendentemente dallo stato di forma fisica apparente.



Metodologia dello studio

I ricercatori hanno analizzato i dati di oltre 21.000 partecipanti della UK Biobank, un ampio progetto di ricerca britannico.

• Attraverso la risonanza magnetica è stato possibile quantificare i depositi di grasso corporeo e valutare la struttura del cuore e dei vasi sanguigni.

• A ogni individuo è stata attribuita un’“età cardiaca”, definita in base ai segni di usura osservati nel sistema cardiovascolare.

L’analisi ha dimostrato che una maggiore quantità di grasso viscerale corrisponde a un’accelerazione del processo di invecchiamento cardiaco.



Risultati principali

• Infiammazione sistemica: gli esami del sangue hanno evidenziato che l’accumulo di grasso viscerale è associato a marcatori infiammatori elevati, noti per accelerare il danno tissutale e vascolare.

• Differenze di genere:

• Negli uomini, una distribuzione del grasso “a mela” (concentrata sull’addome) è risultata strettamente collegata a un cuore più “vecchio”.

• Nelle donne, la distribuzione “a pera” (grasso su fianchi e cosce) sembra avere un effetto protettivo, probabilmente grazie alla produzione di estrogeni, ormoni associati a un invecchiamento cardiaco più lento.

• Limiti del BMI: l’indice di massa corporea si è rivelato poco affidabile nel predire l’età cardiaca, confermando che non conta solo il peso totale, ma soprattutto dove il grasso si accumula.



Implicazioni cliniche

Lo studio sottolinea la necessità di valutazioni più accurate nella prevenzione cardiovascolare. Non basta controllare il peso corporeo: è cruciale misurare la quantità e la localizzazione del grasso.

Gli autori suggeriscono che una corretta gestione del grasso viscerale potrebbe diventare un obiettivo specifico per ridurre il rischio di malattie cardiache. In futuro, i ricercatori intendono esplorare se terapie dimagranti basate su farmaci come i GLP-1 agonisti (ad esempio Ozempic) possano avere un impatto diretto sulla riduzione del grasso viscerale e, di conseguenza, sull’invecchiamento cardiaco.



Messaggio per la popolazione

I risultati rafforzano l’importanza di uno stile di vita sano, che includa alimentazione equilibrata, attività fisica regolare e controlli medici mirati. Gli individui dovrebbero chiedere al proprio medico una valutazione del grasso viscerale e ricevere indicazioni personalizzate su come ridurne l’accumulo, anche in assenza di sovrappeso visibile.

* Disclaimer: Questo articolo non è un contenuto originale del giornale citato. È stato tradotto dalla lingua originale per rendere le informazioni accessibili al pubblico italiano e poi rielaborato dalla nostra redazione, basandosi sul articolo pubblicato dal suddetto giornale.

Lo svapo: la nuova trappola per ragazzi, dietro la facciata “salutista” del tabacco 2.0*Se preferisci, puoi ascoltare l’...
20/08/2025

Lo svapo: la nuova trappola per ragazzi, dietro la facciata “salutista” del tabacco 2.0*

Se preferisci, puoi ascoltare l’articolo letto dall’AI invece di leggerlo. Il link seguente sarà disponibile per un periodo di tempo limitato:
https://www.dropbox.com/scl/fi/23h0r21fbtn5p42rnmjs1/Lo_svapo_la_nuova_trappola_per_ragazzi-_dietro_la.mp3?rlkey=jhm70s5qsqeanynvethkce641&st=dii58s3g&dl=0

Il più ampio studio mai realizzato sullo svapo tra i giovani – condotto da ricercatori dell’Università di York e della London School of Hygiene and Tropical Medicine – ha demolito una volta per tutte la favola del “fumo innocuo”. I dati parlano chiaro: i ragazzi che svapano hanno tre volte più probabilità di diventare fumatori tradizionali, con tutte le conseguenze che questo comporta.

Ma non è solo questione di si*****te: il report, basato su 384 studi e 56 revisioni scientifiche, elenca un bollettino di guerra. Asma, bronchite, polmonite, riduzione della fertilità maschile, vertigini, mal di testa cronici. E ancora: depressione, ansia, persino pensieri suicidi. Un quadro che trasforma lo svapo da passatempo “trendy” a porta d’ingresso verso la dipendenza e la malattia.

Gli autori parlano di evidenze “coerenti e forti”, al punto da ipotizzare un rapporto causale. Tradotto: non è solo una coincidenza se i ragazzi che iniziano a svapare finiscono poi a fumare più e più si*****te. Il passaggio è sistematico, quasi programmato.

Non a caso, il governo britannico ha deciso nel giugno 2025 di mettere al bando le e-cig usa e getta in tutto il Regno Unito, nel tentativo di arginare un fenomeno ormai fuori controllo. Restano in commercio le ricaricabili, naturalmente quelle più redditizie per l’industria.

E qui arriva la contraddizione. Da un lato, i ricercatori invocano misure drastiche di sanità pubblica, ricordando che il marketing verso i minori è “sempre inaccettabile”. Dall’altro, i colossi del tabacco – gli stessi che controllano il mercato dello svapo – provano a ripulirsi l’immagine. British American To***co, con un candore disarmante, sostiene che non esistono prove solide sul ruolo di “porta d’ingresso” e che, anzi, lo svapo avrebbe aiutato milioni di adulti a smettere di fumare. Peccato che lo stesso studio dimostri l’opposto: lo svapo non spezza il legame con la nicotina, lo cementa.

Insomma, dietro le nuvolette colorate e aromatizzate al mango, c’è il solito copione: una generazione di adolescenti trasformata in clientela a lungo termine. Un business miliardario che si alimenta di dipendenze, mascherato da “alternativa salutare”.

* Disclaimer: Questo articolo non è un contenuto originale del giornale citato. È stato tradotto dalla lingua originale per rendere le informazioni accessibili al pubblico italiano e poi rielaborato dalla nostra redazione, basandosi sul articolo pubblicato dal suddetto giornale.

Mangiare meno cibi ultraprocessati può raddoppiare la perdita di peso*Se preferisci, puoi ascoltare l’articolo letto dal...
06/08/2025

Mangiare meno cibi ultraprocessati può raddoppiare la perdita di peso*

Se preferisci, puoi ascoltare l’articolo letto dall’AI invece di leggerlo. Il link seguente sarà disponibile per un periodo di tempo limitato:
https://www.dropbox.com/scl/fi/9yei96smdt6sh56zzqxgt/Mangiare_meno_cibi_ultraprocessati_pu-_raddoppiare.mp3?rlkey=xq3tudsbl9ds2mxa3fii3lnm4&st=6w91ckjp&dl=0

Una nuova ricerca clinica ha dimostrato che le persone perdono il doppio del peso quando seguono un’alimentazione basata su cibi minimamente processati, rispetto a una dieta ultraprocessata, anche se entrambe le diete rispettano le stesse linee guida nutrizionali .

Dettagli dello studio

• Il trial ha coinvolto 55 adulti con obesità, per un totale di 8 settimane per ciascuna dieta, con un intervallo di 4 settimane intermedie. Ogni partecipante ha seguito entrambe le diete in sequenza.
• Le pietanze erano consegnate a domicilio, e i partecipanti potevano mangiare liberamente, senza restrizioni sulle calorie  .
• Una dieta era composta da piatti ultraprocessati (es. barrette, lasagne pronte), l’altra da cibi fatti in casa (es. spaghetti al ragù, avena con latte e frutta).

Risultati principali

• Chi ha consumato cibi minimamente processati ha perso in media il 2% del peso corporeo, contro l’1% di chi seguiva la dieta ultraprocessata.
• Il gruppo MPF (minimamente processato) ha ridotto naturalmente l’apporto calorico, assumendo circa 290 kcal al giorno in meno, mentre il gruppo UPF ne ha assunte circa 120 kcal al giorno in meno.
• I partecipanti che consumavano cibi MPF hanno segnalato meno desiderio di cibo e hanno perso una quantità significativamente maggiore di massa grassa.

Gli autori sottolineano che se questi risultati fossero mantenuti su un anno, si potrebbe stimare una riduzione di peso fino al 13% per gli uomini e circa il 9% per le donne con i cibi MPF, rispetto a una riduzione del 4–5% con una dieta ultraprocessata.

Interpretazioni e contesto

• Nonostante le diete fossero equivalenti dal punto di vista nutrizionale (proteine, fibre, zuccheri, grassi, sali, frutta e verdura secondo le linee guida nazionali), il solo livello di processamento alimentare ha avuto un impatto sull’efficacia della perdita di peso  .
• I cibi ultraprocessati tendono ad avere una densità calorica più alta, consistenze più facilmente ingeribili e indurre un minore senso di sazietà, favorendo così un consumo maggiore.
• Non tutti concordano sui meccanismi: alcuni esperti sostengono che l’importante non sia tanto il processo, ma la composizione nutrizionale, e che la differenza emerga solo perché spontaneamente si mangia meno con i cibi fatti in casa.

Nel complesso, si tratta del primo studio clinico in condizioni quotidiane (non in laboratorio) che dimostra chiaramente: mangiare cibi minimamente processati aiuta a perdere più peso rispetto agli ultraprocessati, anche quando le componenti nutrizionali sono le stesse.

Conclusione

Scegliere alimenti freschi e poco elaborati, cucinati in casa, può migliorare significativamente la perdita di peso, grazie a una maggiore riduzione spontanea delle calorie, un senso di sazietà più elevato e minori desideri di cibo. Questi risultati mettono in luce il ruolo del contesto alimentare e della struttura del cibo, oltre al solo conteggio calorico o nutrienti.

* Disclaimer: Questo articolo non è un contenuto originale del giornale citato. È stato tradotto dalla lingua originale per rendere le informazioni accessibili al pubblico italiano e poi rielaborato dalla nostra redazione, basandosi sul articolo pubblicato dal suddetto giornale.

Onde d’Urto Focali: tra realtà clinica e falsi mitiSe preferisci, puoi ascoltare l’articolo letto dall’AI invece di legg...
19/07/2025

Onde d’Urto Focali: tra realtà clinica e falsi miti

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https://www.dropbox.com/scl/fi/r9o0ge19o2uh5jg27etef/Onde_d-Urto_Focali_tra_realt-_clinica_e_falsi_mit.mp3?rlkey=jp45cwcr4dnhsvpjupwjgts1k&st=63n3c18h&dl=0

Le Onde d’Urto FOCALI Extracorporee (ESWT) rappresentano oggi uno dei metodi non invasivi più efficaci nella fisioterapia e nella medicina riabilitativa per il trattamento di numerose patologie dell’apparato muscolo-scheletrico. Questa tecnologia stimola la rigenerazione dei tessuti ossei e muscolo-tendinei e trova applicazione anche nella guarigione avanzata di lesioni cutanee complesse, come piaghe da decubito, ulcere e ferite difficili. Inoltre, la terapia ESWT è tra le poche tecniche realmente in grado di ridurre il dolore cronico muscolo-scheletrico, favorendo i processi di autoguarigione e aumentando la presenza di cellule staminali mesenchimali nella zona trattata. Un meccanismo che apre nuove prospettive nella medicina rigenerativa.

Tuttavia, attorno alle Onde d’Urto Focali circolano ancora molti luoghi comuni, spesso diffusi da professionisti non aggiornati o male informati. Per questo è utile chiarire cosa possono davvero fare e cosa invece non potranno mai fare.



6 miti da sfatare:

1. “Con le Onde d’Urto possiamo rompere le calcificazioni tendinee”

No, le calcificazioni muscolo-tendinee non sono corpi duri da frantumare, ma strutture molli e pastose, simili al dentifricio. Le Onde d’Urto non le “rompono”: ne stimolano il riassorbimento biologico naturale, migliorando la vascolarizzazione e attivando i macrofagi.

2. “Possono distruggere lo sperone calcaneare”

Falso anche questo. Lo sperone è osso compatto: nessuna onda d’urto può romperlo. Quello che accade, invece, è che l’infiammazione dell’entesi (come nella fascite plantare) migliora e, riducendosi il dolore, anche lo sperone diventa clinicamente irrilevante.

3. “Più alta è la potenza, più è efficace”

Un errore frequente. La potenza va dosata con precisione in base al tessuto e alla fase clinica. Il miglior risultato si ottiene adattando il parametro all’età del paziente e alla condizione trattata (fase acuta, cronica, degenerativa, ecc.).

4. “Servono solo se il dolore è cronico”

Non è così. Le Onde d’Urto sono efficaci anche nelle fasi acute, ad esempio subito dopo un trauma, oppure come prevenzione per evitare che una lesione cronica peggiori.

5. “Le Onde d’Urto fanno male per forza”

Possono essere dolorose, ma il dolore non è un effetto collaterale inevitabile: è piuttosto un segnale che si sta trattando il punto corretto. Grazie a questa caratteristica, le Onde d’Urto sono uno strumento straordinario di precisione, capace di localizzare il focolaio infiammatorio o la lesione. L’obiettivo è ottenere la massima efficacia con il minimo disagio, adattando intensità e durata alla sensibilità individuale.

6. “Le Onde d’Urto sono tutte uguali”

Niente di più sbagliato. Esistono onde radiali (più superficiali e meno efficaci) e onde focali, che penetrano in profondità e concentrano l’energia sul punto bersaglio. Inoltre, ogni patologia richiede un settaggio specifico: frequenza, energia e durata non possono essere standardizzati. Chi lavora in automatico sbaglia approccio.



La differenza tra mito e realtà clinica

Se il tuo medico ti ha detto che con le Onde d’Urto “si frantumano le calcificazioni” o “si elimina lo sperone”, è forse il momento di cambiare riferimento. Un approccio serio si basa su evidenze scientifiche e sulla personalizzazione del trattamento.

La chiave del successo, infatti, non è la macchina in sé, ma la competenza clinica e la capacità di adattare ogni seduta al singolo paziente. Per questo la personalizzazione resta fondamentale: regolare la potenza e modulare l’intensità sono passaggi indispensabili per raggiungere il massimo risultato.



L’esperienza dell’Ambulatorio VIVERESANO

Nel nostro ambulatorio utilizziamo Onde d’Urto Focali ad alta energia (fino a 45 MPa), integrate con Neuromodulazione, K-LASER HILT ad alta potenza e TECARTERAPIA ad alta intensità.

Quello che ci distingue non è soltanto la tecnologia, ma l’approccio clinico personalizzato: ogni trattamento viene modulato sulle esigenze del paziente, con l’obiettivo di ottenere la massima efficacia e migliorare davvero la qualità di vita.

Se vuoi un trattamento serio, mirato e biologicamente efficace, allora ci vediamo in ambulatorio.

📍 Ambulatorio VIVERESANO – Via Edera 51/A, Ponticella (BO)

☎️ Per informazioni o appuntamenti: 051-0914515

12/07/2025
L’Italia Senza Sonno: Epidemia Sociale, Farmaci del Futuro e un PIL che RallentaSe preferisci, puoi ascoltare l’articolo...
09/07/2025

L’Italia Senza Sonno: Epidemia Sociale, Farmaci del Futuro e un PIL che Rallenta

Se preferisci, puoi ascoltare l’articolo letto dall’AI invece di leggerlo. Il link seguente sarà disponibile per un periodo di tempo limitato:
https://www.dropbox.com/scl/fi/ivr8t3ypez2dprqyh6x8f/L-Italia_Senza_Sonno_Epidemia_Sociale-_Farmaci_de.mp3?rlkey=5i9sr1kdmx19w1l0v4evtzysu&st=ojmixsqw&dl=0

L’insonnia non è più solo il disturbo fastidioso e trascurato dai medici: oggi è diventata una vera malattia sociale che affligge almeno 12 milioni di italiani, giovani iperconnessi e anziani sempre più longevi, con impatti a cascata sulla salute pubblica, la produttività economica e la coesione della società stessa. Quella che una volta si archiviava come semplice stress o sfortuna personale, ora si sta rivelando per ciò che è: una patologia cronica sottovalutata, esplosa in silenzio a livello globale.

La narrazione convenzionale sul sonno ci ha portati a considerarlo un lusso o una questione di “volontà”, e così milioni di persone finiscono per accettare notti bianche come normali. I dati, però, sono implacabili: l’80% dei pazienti con diagnosi d’insonnia, anche dopo un anno, continua a dormire male, e il 60% dopo cinque anni. Numeri che dipingono uno scenario dove la cronicità diventa la regola, con una quota impressionante di italiani che ormai non si ricorda più cosa significhi addormentarsi spontaneamente.

Le Ricadute Sulla Salute e sul Paese

Il prezzo dell’insonnia si paga carissimo. Dormire poco o male triplica il rischio di ipertensione, favorisce la comparsa di obesità, diabete e persino tumori. Negli anziani, la deprivazione cronica di sonno accelera il declino cognitivo e favorisce l’insorgenza delle demenze, compromettendo drammaticamente la qualità della vita. Nei giovani, invece, la mancanza di sonno si traduce in stanchezza cronica, difficoltà di concentrazione e danni cognitivi che rischiano di influire sullo sviluppo e sul futuro. Complici smartphone e social, oggi i ragazzi dormono meno che mai, sempre connessi, con una vulnerabilità inedita a depressione, ansia, iperattività e un rischio crescente di patologie.

Ma la vera bomba a orologeria è il peso economico: in Italia si stima una perdita annua di 16,5 miliardi di euro, pari a circa lo 0,74% del PIL nazionale, tra costi sanitari, cure a lungo termine, assenze dal lavoro, riduzione di produttività e, fenomeno sempre più evidente, il “presenteismo”: lavoratori presenti solo fisicamente ma incapaci di svolgere le proprie mansioni a causa della stanchezza cronica. E se allarghiamo lo sguardo al resto d’Europa e ai paesi sviluppati, il danno supera i 92 miliardi di euro ogni anno, mentre negli Stati Uniti arriva a 207,5 miliardi.

L’Impotenza della Medicina e il Vuoto dell’Industria Farmaceutica

Per decenni, la medicina si è limitata a prescrivere integratori (melatonina, valeriana) o farmaci nati per altre indicazioni: ansiolitici, antidepressivi e benzodiazepine, con risultati spesso deludenti e gravi effetti collaterali (dipendenza, sonnolenza diurna, alterazioni cognitive). Nemmeno Big Pharma ha mai investito davvero nel settore: per anni il trattamento dell’insonnia è rimasto fermo, senza alcuna reale innovazione farmacologica. La cronicità della patologia veniva semplicemente gestita, mai risolta.

Solo di recente la ricerca ha iniziato a spostare il paradigma: non più “accendere” il sonno a forza, ma “spegnere” in modo mirato i centri della veglia nel cervello. È arrivata la classe dei cosiddetti antagonisti dell’orexina, come i farmaci Dora, ora disponibili anche in Italia su prescrizione specialistica. Per la prima volta, un meccanismo d’azione completamente diverso: bloccare i recettori della “sveglia” cerebrale, lasciando intatte le altre funzioni. Il risultato? Un farmaco che non crea dipendenza, non dà intontimento e non aumenta il rischio di cadute o vertigini negli anziani. Insomma, una rivoluzione copernicana attesa da decenni, che promette di cambiare la cura dell’insonnia, ma di cui solo pochi possono realmente beneficiare per ora.

I Giovani, il Sonno e la Schiavitù della Connessione

Nei ragazzi e nei giovani adulti la situazione è ancora più preoccupante: la deprivazione di sonno, facilitata da una costante connessione a dispositivi elettronici, ha ormai raggiunto livelli epidemici. Lavori recenti dimostrano che dormire poco in adolescenza produce danni permanenti nella maturazione del sistema nervoso. E se le alterazioni dei ritmi sonno-veglia stanno diventando la norma, le ripercussioni su salute pubblica, apprendimento e stabilità emotiva saranno pagate a caro prezzo dalle generazioni future.

L’Apnea Notturna: Il Nemico Invisibile

Non si tratta solo di insonnia “pura”. Almeno il 20% degli adulti in Europa soffre di apnee notturne, spesso non diagnosticate: pause respiratorie involontarie che frammentano il sonno, riducono l’ossigenazione, aumentano il rischio di ictus, scompensi cardiaci e incidenti sul lavoro. Il tutto condito da russamento spietato che rovina convivenze e matrimoni, ma soprattutto mina la salute. E se l’obesità, l’età avanzata e le anomalie anatomiche delle vie aeree peggiorano il quadro, la situazione si aggrava con l’aumento delle temperature, che secondo recenti ricerche porterà a una crescita del 50% di queste patologie entro fine secolo.

Gli Anziani, la Notte e la Paura delle Cadute

Negli anziani il sonno disturbato è regola più che eccezione. Eppure, dormire bene è l’unico vero baluardo contro il decadimento cognitivo e la perdita dell’autonomia. I nuovi farmaci di ultima generazione sembrano non aumentare il rischio di cadute, ma l’attenzione deve restare alta: la tendenza a sottovalutare i disturbi del sonno nella terza età resta un errore clinico fatale.

La Grande Svolta (forse) della Chimica e il Business della Mindfulness

La rivoluzione chimica per il sonno è (forse) alle porte, ma intanto il mercato si è riempito di una miriade di app, gadget, audio, terapie di rilassamento e percorsi di mindfulness che promettono – quasi sempre senza prove – di liberarci da pensieri ossessivi, rilassare la mente e conciliare il sonno. Dai rumori bianchi agli auricolari “anti-stress”, al marketing della notte: il sonno è ormai una delle grandi minestre di business della salute globale.

Impatto Economico e Sociale: Un’Italia a Mezz’asta

Senza sonno, senza crescita: la privazione di sonno rallenta l’economia. L’impatto si misura non solo in costi sanitari, ma nella perdita netta di PIL, nella riduzione delle prestazioni individuali, nella fragilità delle aziende e nell’esplosione dei costi sociali. Una società stanca non innova, non produce e soprattutto si ammala di più.

I ricercatori stimano che se riuscissimo anche solo a ridurre l’impatto dell’insonnia sulla produttività del lavoro, il PIL di ogni nazione crescerebbe fino all’1,3%, cioè miliardi di euro che oggi vengono bruciati tra assenze, malattie, errori e infortuni. Non si tratta solo di salute personale, ma di un indicatore globale di vitalità di un Paese. Eppure, la realtà resta questa: chi dorme poco si trova durante il giorno in uno stato di torpore, con conseguenze a catena che si riflettono su tutta la giornata, con una produttività compromessa, un aumento degli incidenti sul lavoro, una qualità della vita che crolla e un sistema sociale sempre più fragile.

L’Italia, come il resto del mondo sviluppato, si sta scoprendo improvvisamente vecchia, stanca e senza sonno. E la soluzione non potrà arrivare solo da una pillola miracolosa. Serve una rivoluzione culturale e politica che riporti il sonno al centro della salute pubblica, della produttività e, finalmente, della qualità della vita.

* Disclaimer: Questo articolo non è un contenuto originale del giornale citato. È stato rielaborato dalla nostra redazione, basandosi sugli articoli pubblicati dal suddetto giornale.

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