Dottor Giancarlo Signorini

Dottor Giancarlo Signorini Giancarlo Signorini è uno Psicologo - Psicoterapeuta specializzato in Psicoanalisi Relazionale. Giancarlo Signorini è nato a Bologna nel 1956.

Psicologo ad indirizzo clinico e Sociologo ad indirizzo psico-sociale, è Specialista in Psicoterapia psicoanalitica. Già Professore a contratto di Sociologia dell'Educazione presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, già Cultore di Psicologia sociale presso l'Università Carlo Bo di Urbino, è stato membro del Consiglio direttivo di OPIFER (Organizzazione di Psicoanalisti Italiani, Federazione e Registro). Iscritto all'Albo degli Psicologi dell'Emilia Romagna, è socio della IEFS (International Erich Fromm Society), dell'IFPS (International Federation of Psychoanalytic Societies), e responsabile della sezione di Teorie e Tecniche della Psicoanalisi nell'Associazione per lo studio della Psicologia e delle Neuroscienze Gian Mario Balzarini di Forlì.

19/08/2025

La violenza non nasce solo dalla rabbia: nasce dal vuoto.
Dal silenzio che scava dentro quando la lingua muore.
Perché le parole non sono mai innocue: sono argini.
Se crollano gli argini, il fiume esonda.

Il trapasso lessicale, è il preludio alla rissa.
Quando il linguaggio si riduce a slogan, a faccine, a grida,
la realtà resta senza nome, e ciò che non si sa fa paura.
Chi non possiede parole, non possiede mediazioni. Andrea Caterini diceva: “quando le parole si atrofizzano i pugni si allenano,
l’ingiuria diventa vocabolario, il fendente, sintassi”.

Un popolo che perde la semantica perde anche la possibilità di capirsi.
Si passa dall’arte del dialogo a quella della percossa,
dalla dialettica alla rissa, dalla polis alla tribù.
La violenza è l’ombra del discorso mutilato:
più si impoverisce il linguaggio, più si arricchiscono le armerie.

Ecco la verità più cupa:
un lessico ridotto genera un pensiero piccolo,
e un concetto ridotto genera un gesto bruto.
È il potere salvifico della parola, che oggi purtroppo risulta depredata.
Così la società sprofonda nella grammatica del sangue,
dove le virgole sono le cicatrici e le frasi finiscono a coltellate.

“Scomparirà la lucciola, e con essa la lingua che la nominava.”
Oggi, sparita la parola, restano solo le grida.
E l’urlo, presto, si fa pugno.

17/08/2025

"I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli".

_Umberto Eco

💭 A volte scorriamo i social media e ci imbattiamo in commenti o opinioni che ci lasciano perplessi, se non proprio indignati, vero? 🤯 Ci chiediamo come sia possibile che certe cose vengano dette e abbiano risonanza.

Il grande intellettuale Umberto Eco, con la sua inconfondibile e tagliente lucidità, aveva già messo il dito sulla piaga di questa dinamica molti anni fa. Egli ci sbatte in faccia il lato oscuro della democrazia digitale. Non è tanto il fatto che tutti possano parlare, ma che la piattaforma equipari la voce di chi ha studiato una vita e si è guadagnato un'autorevolezza, a quella di chi esprime un'opinione superficiale, banale o priva di fondamento. Il "diritto di parola" dei social, in questa visione, ha eliminato il filtro naturale che prima esisteva (il bar, la piazza, il dibattito), creando un rumore di fondo che rende difficile distinguere la saggezza dalla stupidità.

È un invito potente a riflettere sulla nostra responsabilità come utenti. Sta a noi non solo usare la nostra voce in modo saggio, ma anche non dare spazio a chi semina "imbecillità". La libertà di parola non significa che tutte le parole abbiano lo stesso peso o lo stesso valore.

✍🏼©️ I sentieri della filosofia

07/08/2025

"La depressione non equivale al dolore; il vero depresso ringrazierebbe il cielo se riuscisse a provare dolore. La depressione è l'incapacità di provare emozioni. La depressione è la sensazione di essere morti mentre il corpo è ancora in vita. Non equivale affatto alla pena e al dolore, con i quali anzi non ha niente in comune.

Il depresso è incapace di provare gioia, così come è incapace di provare dolore. La depressione è l'assenza di ogni tipo di emozione, è un senso di morte che per il depresso è assolutamente insostenibile. È proprio l'incapacità a provare emozioni che rende la depressione così pesante da sopportare".

_ERICH FROMM, I cosiddetti sani

💭 Spesso usiamo la parola "depressione" per descrivere momenti di grande tristezza o dolore, vero? Ma la depressione clinica è qualcosa di molto diverso, e a volte è difficile per chi non l'ha provata a capirne la vera natura. 🤔

Erich Fromm, nel suo acuto libro "I cosiddetti sani", ci offre una definizione profonda e necessaria di cosa sia realmente la depressione. Non è un'emozione, ma la sua assenza. Non è la tristezza, ma una sorta di vuoto paralizzante, un'incapacità di sentire, di gioire e persino di soffrire. È una "morte" interiore, una condizione di anestesia emotiva che rende ogni istante insopportabile proprio perché non c'è nulla da sentire.

È un promemoria potente per chi soffre di depressione, e soprattutto per chi sta loro vicino. Dobbiamo andare oltre i luoghi comuni e capire che non si tratta di un "male di vivere" passeggero, ma di una condizione di profonda sofferenza che merita empatia, comprensione e, soprattutto, aiuto professionale. Non è una questione di "volersi ti**re su", ma di una battaglia per ritrovare il proprio mondo emotivo.

Se state vivendo qualcosa di simile, non siete soli. Cercate aiuto. E se avete qualcuno vicino che sta lottando con questo vuoto, offrite un ascolto senza giudizio, perché la loro battaglia è più profonda di quanto possiamo immaginare.

✍🏼©️ I sentieri della filosofia

ANGOSCIA PRIMARIA
22/07/2025

ANGOSCIA PRIMARIA

"L'angoscia primaria è priva di parola e di forma. È un vissuto corporeo di frammentazione e di minaccia alla continuità dell’esistenza. La funzione della relazione analitica è quella di dare un contenitore simbolico a queste esperienze, trasformandole in affetti nominabili. Senza questa funzione di contenimento, il pensiero rimane un'attività scissa e sterile, incapace di radicarsi nel corpo e nell’esperienza emotiva."

Silvio Zucconi

11/07/2025

«E’ un grosso errore supporre che il significato della vita si esaurisca con la giovinezza e con la fase di espansione, che una donna per esempio sia “finita” quando sopraggiunge la menopausa. Il meriggio della vita umana è ricco di significati quanto il mattino; ma sono significati e prospettive completamente diversi. L ’uomo ha un duplice scopo: il primo è lo scopo naturale, la procreazione e i vari compiti di protezione della prole, che implicano il procacciarsi un guadagno e la posizione sociale. Quando questo scopo è stato raggiunto comincia un’altra fase: lo scopo culturale. Per raggiungere la prima meta intervengono la natura e l’educazione, che sono invece di scarso o nessun aiuto per attuare il secondo.

Eppure predomina spesso un’ambizione sbagliata, secondo la quale i vecchi dovrebbero essere come i giovani, o perlomeno cercare di imitarli, anche se sono intimamente persuasi della vanità della cosa. Per molte persone il passaggio dalla fase naturale alla fase culturale è quindi estremamente difficile e amaro. Si aggrappano all’illusione della giovinezza o ai figli, nel tentativo di salvare ancora un brandello di gioventù. È un atteggiamento rintracciabile specialmente nelle madri, che vedono esclusivamente nei figli il senso della loro vita e credono di precipitare nel nulla più totale quando devono rinunciare ai figli. Non c’è quindi da stupire se molte difficili nevrosi subentrano proprio all’inizio dell’età matura. È una specie di seconda pubertà, un secondo periodo di Sturm und Drang, spesso accompagnato da tutte le tempeste della passione (l’“età pericolosa”). Ma i problemi che affiorano in questa fase della vita non possono più essere risolti in base alle vecchie ricette: sull’orologio della vita non possiamo spostare indietro le lancette. Ciò che il giovane ha trovato e doveva trovare al di fuori, l’uomo maturo lo deve trovare dentro di sé.»

Carl Gustav Jung ✍
📘 Psicologia dell’inconscio (pag. 126)

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🏹

10/07/2025

L’atto della resa di chi chiede di poter morire non è mai un atto irresponsabile. È, piuttosto, la testimonianza estrema di una soggettività che non vuole essere ridotta a sopravvivere ad ogni costo. In quel “no!” a una vita divenuta simile alla morte, la vita rivela tutta la sua umanità. È un “no!” non nel nome della morte ma nel nome della vita che reclama sino all’ultimo respiro il diritto alla sua dignità. Una civiltà matura non si misura solo dalla capacità di difendere la vita, ma anche da quella di accompagnarla nel suo congedo con dignità.

Al link, "La sovranità della resa", il mio articolo uscito ieri su la Repubblica: https://drive.google.com/file/d/1GHzEy3-ESnqditrApFAVxftvx4Niy-bl/view?usp=sharing

[In copertina: La stanza accanto (2024) di P. Almodóvar]

Un giorno la Paura bussò alla porta, il Coraggio andò ad aprire e nn vide nessuno.                M.L.KING
08/07/2025

Un giorno la Paura bussò alla porta, il Coraggio andò ad aprire e nn vide nessuno. M.L.KING

18/06/2025

Amare un genitore che non sa amare.

Lo amavi perché è tua madre (o tuo padre): non avevi scelta.

L'amore per un genitore non si decide, si vive, è biologico, istintivo, inevitabile.

Anche quando loro non sanno ricambiarlo, anche quando il loro amore era vuoto, ma tu eri un bambino e i bambini amano i loro genitori, sempre, anche quando sono mostri.

Anche quando i loro genitori non sanno amare.

Da bambino non puoi permetterti di non amarli: dipendi da loro per sopravvivere.
Il tuo cervello deve convincersi che quell'amore freddo sia normale, che quelle briciole siano un banchetto.

Non hai alternative.

O li ami o muori dentro.

E così scegli di amarli ogni singolo giorno.

Il paradosso più crudele: più loro sono incapaci di amarti, più tu ti sforzi di meritare il loro amore.

Diventi perfetto/a, invisibile, silenzioso/a.

Se solo fossi più bravo/a (pensi) forse mi amerebbero!

Ma non puoi insegnare l'amore a chi non ha mai imparato cosa significhi.

E così cresci diviso in due: una parte di te (il Bambino/a che sei stato) ama disperatamente; l'altra parte sa la verità... che il loro amore è come una stanza vuota.

Ma, ammettere che loro non ti amino davvero, significa ammettere di essere solo/o al mondo.

E' troppo. Troppo.

Così da adulto impari a vivere nel paradosso: ad amare chi ti ferisce, a cercare calore nel ghiaccio, a vedere amore dove c'è solo dovere, o peggio, indifferenza. Impari che amare significa soffrire in silenzio; che essere amati è un lusso che non ti puoi permettere.

Ma il tuo corpo ricorda: quando qualcuno ti tratta con freddezza ti senti a casa, quando qualcuno è emotivamente assente, lo riconosci come amore.

E' il paradosso che ti porti dentro: cerchi negli altri lo stesso vuoto che ti ha cresciuto/a, perché è l'unico amore che il tuo sistema conosce.

C'è una responsabilità dolorosa da riconoscere: scegli chi conferma la tua storia; i partner emotivamente assenti non capitano per caso, li riconosci, li selezioni, li tieni perché l'intimità vera terrorizza chi non l'ha mai conosciuta.

Meglio il vuoto familiare che il pieno sconosciuto.

Riconosci l'amore disfunzionale come un segugio, lo fiuti nell'aria, lo vedi in come non ti guardano, in come ti sfamano a briciole, non per masochismo, ma perché il tuo sistema sa navigare il rifiuto, non la presenza: è una competenza traumatica.

Claudia Scarpati

10/03/2025

Consiliatura 2025-2028

L'invidia...
11/02/2025

L'invidia...

«L’invidia è sempre cieca perché colpisce chi come noi ha più di noi. Non è mai invidia di qualcosa, non è tanto invidia di qualità o di proprietà.
Se spingiamo l'analisi del sentimento invidioso a fondo, come oggetto dell’invidia non troveremo altro che la vita stessa. L’invidia è sempre, come sosteneva anche Lacan, invidia della vita, della vita dell’altro che ha più vita della mia. Non si può, ovviamente, avere invidia della vita misera, depressa, spenta. L’invidia è sempre invidia della vita felice, è sempre invidia della vita piena»
Massimo Recalcati

Indirizzo

Via Bastia N. 29
San Mauro Pascoli
47030

Orario di apertura

Martedì 16:00 - 21:00
Venerdì 09:00 - 21:00

Telefono

3485220353

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Giancarlo Signorini è nato a Bologna nel 1956. Psicologo e Psicoterapeuta è Specialista in Psicoterapia psicoanalitica ad indirizzo relazionale. Già Professore a contratto di Sociologia dell'Educazione presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, già Cultore di Psicologia sociale presso l'Università Carlo Bo di Urbino, è stato membro del Consiglio direttivo di OPIFER (Organizzazione di Psicoanalisti Italiani, Federazione e Registro). Iscritto all'Albo degli Psicologi dell'Emilia Romagna, è socio della IEFS (International Erich Fromm Society), dell'IFPS (International Federation of Psychoanalytic Societies), e responsabile della sezione di Teorie e Tecniche della Psicoanalisi nell'Associazione per lo studio della Psicologia e delle Neuroscienze Gian Mario Balzarini di Forlì.