Dott.ssa Lucia Bacciottini fisioterapista

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09/08/2025

Sarò assente dal lavoro x le vacanze dal 11 al 29 agosto compresi. X urgenze dal 20 agosto Vital Center - Riabilita a Empoli e Federica lotti a San Miniato basso.

09/08/2025

Scopri consigli pratici e approfondimenti sul benessere fisico e la fisioterapia. Leggi i nostri articoli su EduCare Fisio.

02/08/2025

IL TUO CORE NON È SOLO UNA TAVOLETTA DI CIOCCOLATO!

Ecco la sezione trasversale a livello di L4 (quarta vertebra lombare), un vero quartier generale muscolare e fasciale. Sì, quel core di cui tutti parlano non è solo “addominali scolpiti”: è un sistema tridimensionale straordinariamente complesso.

SFIDA: Mentre leggi, immagina di fare un plank e prova a sentire questi strati uno per uno!

SCOPRIAMOLI INSIEME, DAL DAVANTI ALLA SCHIENA

1. Retto dell’addome
Il più noto (la famosa “tartaruga”), ma da solo non stabilizza niente.

2-3-4. Obliquo esterno, interno e trasverso dell’addome

Il corsetto naturale: il trasverso addominale è un vero “cinturone”, attivabile con l’espirazione profonda.

TEST: Fai un’espirazione forzata, senti come si contrae il basso ventre? È lui!

5. Grande psoas

Non solo flessione d’anca: è connesso alle vertebre lombari, partecipa alla stabilità e alla propriocezione.

6. Gran dorsale

Non te lo aspetti? Invece sì: collega il bacino alle braccia, influenzando la postura.

7. Quadrato dei lombi

Un “sorvegliante” laterale della colonna, stabilizza e inclina lateralmente.

8-9-10. Muscoli paraspinali profondi (Iliocostale, Lunghissimo, Multifido)

I guardiani posteriori: controllano micromovimenti vertebrali e propriocezione. Il multifido è piccolo ma fondamentale nel dolore lombare cronico.

SFIDA

Riesci a percepire la differenza tra contrarre i muscoli superficiali della schiena (ad esempio estendendo la schiena e inarcando la colonna),
e attivare delicatamente i muscoli profondi stabilizzatori, come il multifido, senza irrigidire tutto il tronco?

Prova questo esperimento.

Mettiti a carponi (quadrupedia per i pignoli 😅) con la schiena neutra.

Spingi con le mani e senti cosa succede nei lombari: probabilmente la colonna si irrigidisce tutta.

Ora, invece, immagina di “allungarti verso l’alto” con la testa e “accorciarti” con l’osso sacro, mantenendo la pancia attiva ma morbida.

Questo piccolo movimento “interno” stimola i muscoli profondi, senza contrarre in blocco i paraspinali superficiali.

LA FASCIA: IL COLLANTE E IL TRAMPOLINO

11-12-13. Fascia toracolombare (posteriore, media, anteriore)

Immagina un’enorme amaca di tessuto connettivo che sostiene la colonna e trasmette forze fra arti superiori e inferiori.

14. Raphe laterale

La “cerniera lampo” che connette la fascia al trasverso.

UN FATTO CURIOSO

La fascia toracolombare è così forte da poter resistere a trazioni enormi (fino a 900N).
Se pensi che basti fare “addominali classici” per stabilizzare la colonna, ripensaci!

Allenare il core significa: respirazione diaframmatica e controllo del trasverso, rinforzo dei paraspinali profondi, mobilità del bacino e della fascia toracolombare, coordinazione fra arti e tronco.

Non significa solo crunch e plank infiniti.

DOMANDA PER TE

Sei capace di attivare il core senza bloccare il respiro? Prova: respira profondamente in posizione quadrupedica e senti come si muove l’addome in modo tridimensionale.

Tagga chi deve capire che il core è un’orchestra e non un solo strumento! 🤭

02/08/2025

RESPIRA. Ma stavolta fallo davvero.

Viaggio collettivo dentro il muscolo più silenzioso, più sottovalutato, più determinante che abbiamo: il diaframma.

Questo non è un semplice post.

È il frutto di un esperimento unico nel suo genere. Abbiamo lanciato una domanda. Abbiamo parlato di un muscolo poco visibile ma potentissimo. E ci siamo messi in ascolto.

In tre mesi sono arrivati oltre 350 commenti: esperienze cliniche, sensazioni profonde, storie personali, intuizioni geniali, domande scomode.

Abbiamo letto, selezionato, intrecciato e riscritto. E oggi vi restituiamo tutto questo, in un unico racconto. Un corpo narrativo collettivo, dove ogni voce è diventata un respiro.

Siete pronti?

BUONA LETTURA!

Tutto è partito da una semplice domanda:

“Ma te respiri?”

L’ho chiesto ad una paziente mentre la stavo trattando per un problema alla spalla. Lei si è fermata, sorpresa. Ha esitato un attimo. Poi ha risposto:

“Boh.. non lo so.”

E lì ho capito che il dolore alla spalla era solo la punta dell’iceberg.

Succede così, quasi sempre.
Hai dolore alla spalla? Sarà la spalla. Ti svegli col collo rigido? Sarà il cuscino. Una morsa al petto? L’ansia, forse. O il tempo. Sempre qualcosa fuori.

Eppure, in mezzo a tutti questi sintomi, c’è un muscolo solo che li attraversa tutti, che li influenza tutti, che può peggiorarli o migliorarli tutti.

E quel muscolo.. non lo guarda mai nessuno.

Si chiama diaframma.
E oggi parliamo di lui. Davvero.

IL GRANDE SILENZIOSO

Il diaframma è un muscolo.
Ma è anche una bugia.

Perché lavora sempre, ma nessuno se ne accorge.
Perché è centrale, ma invisibile.
Perché collega tutto, ma non è legato a niente di specifico.
Perché se sta bene, nessuno lo nomina.
E se sta male.. lo cercano altrove.

“Dopo anni ci sono arrivato: spalla, collo, cervicale, gastrite, reflusso, ansia, mal di schiena, ileopsoas. Era tutto il diaframma. Un casino.” (Simon)

PERCHÉ FA COSÌ TANTI DANNI?

Perché è ovunque.

Anatomicamente divide il torace dall’addome. Funzionalmente è il centro di gravità della tua respirazione, della tua postura, della tua digestione, del tuo equilibrio neurovegetativo.
E sì, anche delle tue emozioni.

Ogni volta che inspiri.. lui scende.
Ogni volta che espiri.. lui sale.

Ma se non scende più bene, oppure se non risale più, il tuo corpo inizia ad adattarsi.

E da lì parte la giostra dei compensi: il collo tira, la spalla si blocca, la colonna si inarca, l’intestino si ferma, il cuore accelera, e la mente entra in modalità allarme.

“Io ho un’ernia iatale molto dilatata, il diaframma è rialzato di 5 cm. Dolori a spalla e collo, tutti i sintomi descritti. A breve mi operano. Spero di ristabilirmi.” (Patrizia)

MA NON SARÀ MICA “SOLO UN MUSCOLO”?

No. Il diaframma è un’interfaccia.

Tra dentro e fuori.
Tra alto e basso.
Tra automatico e volontario.
Tra viscerale e posturale.
Tra ciò che senti.. e ciò che non riesci più a sentire.

Ha le chiavi di casa della tua salute. Ma spesso lo lasci fuori dalla porta. Dimenticato sullo zerbino.

“Uso molto il diaframma, specialmente per “smuovere” l’intestino. Ma dopo il terzo cesareo, hanno stretto troppo i punti. Quando respiro con il diaframma sento dolore.” (Cristina)

E TU.. LO USI?

C’è chi non lo ha mai incontrato.
Chi lo ha perso da piccolo.
Chi lo ha bloccato con l’ansia.
Chi lo ha abbandonato a forza di sedie, cinture, posture chiuse, sospiri trattenuti.

“Sono molto emotiva, tengo tutto dentro e non respiro. La mia insegnante mi ha obbligata a farlo con consapevolezza. Ora mi accorgo quando sono in apnea.”(Francesca)

I SEGNALI (SOTTILI, MA CHIARISSIMI)

Tosse secca e strana, reflusso che non passa, spalla che “tira” sempre, pressione alta non giustificata, affaticamento respiratorio sotto sforzo, mal di schiena senza causa apparente, rigidità cervicale che non cede.

“Mi hanno detto che il mio diaframma è fuori sede dopo un intervento al cuore.” (Manu)

E ALLORA CHE SI FA?

C’è chi lo ha ritrovato con lo yoga.
Chi con il canto.
Chi con il Tai Chi.
Chi grazie a un fisioterapista.
Chi con la meditazione.
Chi con il Buteyko.
Chi massaggiandolo.
Chi.. semplicemente, ascoltandolo.

“Alla notte, quando l’esofagite mi assale, mi aiuta respirare col diaframma.” (Enea)

“Mi rilassa cantare. Ci ho pensato solo ora: il diaframma si muove molto quando canto.”(Alberto)

“La mia maestra lo fa allenare in palestra. Altro che muscolo dimenticato!”(Letizia)

Per una Letizia.. ce ne sono cento che non sanno neanche dove si trova.

E PERCHÉ È ANCORA COSÌ DIMENTICATO?

Perché il diaframma non lo vedi.
Perché è dentro.
Perché non è sexy.
Perché non ha addominali a tartaruga.
Perché non c’è una macchina per lui in palestra.
Perché non è Instagrammabile.
Perché il diaframma non si mostra.

Si manifesta. E spesso si manifesta sotto forma di sintomo lontano. E quindi ti confonde. Ti depista. Ti frega.

“Io sono contro le gabbie toraciche. Viva la libertà!” (Alberto, in vena poetica)

MA ATTENZIONE: NON SEMPRE IL PROBLEMA È IL DIAFRAMMA

A volte il diaframma è una vittima.

Di un viscere che funziona male.
Di un trauma emotivo.
Di una postura rigida.
Di un addome chiuso.
Di uno stomaco che non si svuota.
Di un fegato congestionato.

“Il fegato deve smaltire il cortisolo da stress. Se è sovraccarico, congestiona l’emicupola destra, tira le coste, coinvolge la cervicale. Senza trattare anche il viscere, il lavoro sul diaframma è solo parziale.” (Angelo)

“Potrebbe essere anche il contrario: un problema strutturale può creare una difficoltà viscerale. È una risposta somato-viscerale.” (Giusy)

TU, QUANDO RESPIRI, TI SENTI?

Non se lo chiedono in molti.
Ma qualcuno, prima o poi, arriva a farlo.

“Anni fa, il maestro di Thai Chi mi insegnò a respirare con la pancia. Me lo ricordo ancora.” (Terri)

“Io l’ho imparato con lo yoga. Mi ha salvato la vita.” (Silvia)

E si apre un’altra riflessione: “A scuola, in auto, davanti al pc.. siamo diventati animali seduti. E abbiamo perso la capacità innata di respirare. Un fringuello la conserva meglio di noi.” (Catia)

E la verità è che nessuno ci ha mai insegnato a sentirci respirare.
Non a scuola.
Non in palestra.
Non quando stavamo “bene”.

Nessuno ti dice come si respira.. finché non smetti di farlo bene.

Finché non succede qualcosa che ti costringe a ricominciare da lì.

E allora scopri che respirare non è scontato. È un’abilità.
Che si perde.
Che si recupera.
Che si allena.

Il diaframma è come una porta automatica: si apre solo se ti avvicini davvero.

Ma se ci passi davanti di corsa.. non ti vede.
E resta chiusa.

E ALLORA, CHE LIBRO MI CONSIGLI?

“C’è un testo per imparare la respirazione e la manutenzione di questo piccolo, fondamentale organo?” (Adele)

Sì, ci sono testi, metodi, esercizi.
Ma il primo libro da leggere.. è il tuo corpo.
Ti serve tempo.
Ti serve qualcuno che ti guidi.
Ma soprattutto: ti serve il coraggio di ascoltarti davvero.

E magari, con una mano sul petto e una sull’addome. E con la voglia di rispondere alla domanda:

“Chi si muove prima?”

Prova ora.
Sei seduto? Sei sdraiato? Sei in piedi?
Respira lentamente.
Dove si muove prima il tuo corpo?
Riesci a espirare completamente?
Senti il respiro arrivare fino alla pelvi?
Ti senti più calmo o più nervoso dopo 5 respiri consapevoli?

Se hai risposto “non lo so” o “boh”…
forse non è solo ansia.

Condividi questo post con chi ha dolori misteriosi, ha fatto mille esami senza risposte, respira male ma non lo sa, vive in apnea, ha un addome sempre contratto e non si sente mai “centrato”.

LA VERITÀ?

Il diaframma non ha bisogno di essere “sbloccato”. Ha bisogno di essere ascoltato. Sentito. Rispettato. Allineato. Allenato. Integrato.

È come un direttore d’orchestra silenzioso.
Che però sa farti stonare tutto il corpo se lo ignori.

GRAZIE

A tutte le persone che hanno lasciato un commento.
A chi ha raccontato un dolore.
A chi ha posto una domanda.
A chi ha condiviso un’intuizione.

Questo post è nato così: da un respiro collettivo.

E tu, da dove è cominciata la tua storia col respiro? Raccontacelo. Potrebbe aiutare qualcuno che sta ancora trattenendo il fiato tra tutti questi sintomi.

Perché ogni sintomo racconta una storia.
E spesso.. comincia proprio da lì.

Da un respiro.

02/08/2025

POSTURA E COMPENSAZIONI: DALLA BASE ALLA CIMA!

Un problema locale può avere ripercussioni globali sul corpo. Dalla perdita di supporto plantare fino all’inclinazione delle spalle, ogni segmento si adatta per mantenere l’equilibrio, spesso con costi elevati per il sistema muscolo-scheletrico.

Il piede: la base della catena cinestetica

Flat Arch (Piede piatto o iperpronazione)

Il cedimento dell’arco plantare induce una rotazione interna della tibia (sostenuta dal muscolo tibiale posteriore, che spesso diventa inefficace).

Il peroneo lungo diventa iperattivo nel tentativo di stabilizzare il piede. Muscoli intrinseci plantari deboli (come l’abduttore dell’alluce e il quadrato della pianta) portano a una scarsa stabilità della volta plantare.

Conseguenza? Il ginocchio segue la rotazione interna, sovraccaricando il legamento collaterale mediale (LCM) e la banda ileotibiale (TFL e grande gluteo).

Il ginocchio: punto critico di trasmissione

Shifted Patella (Disallineamento della rotula) e valgo dinamico

Il vasto mediale obliquo (VMO) risulta inibito, mentre il vasto laterale e il TFL tendono a dominare, trascinando la rotula lateralmente.

Il bicipite femorale tende a sovraccaricarsi per contrastare la rotazione interna del femore. Il semitendinoso e il semimembranoso possono perdere efficienza, alterando la biomeccanica del ginocchio.

Conseguenza? Il ginocchio compensa con un valgo funzionale, aumentando il rischio di sindrome femoro-rotulea e tendinopatie.

Il bacino: il fulcro della stabilità

Pelvic Unleveling (bacino inclinato) e disfunzione sacroiliaca

L’ileopsoas diventa ipertonico su un lato, tirando il bacino in anteriorità e accentuando la lordosi lombare.

Il quadrato dei lombi si contrae per cercare di stabilizzare l’inclinazione pelvica. L’otturatore interno e il piriforme possono iperattivarsi, contribuendo a sintomi simil-sciatalgici.

Conseguenza? La colonna lombare compensa con una lateroflessione e una torsione, creando una scoliosi funzionale.

La colonna e le spalle: adattamenti superiori

Functional scoliosis e spalle asimmetriche

Il trapezio superiore e lo sternocleidomastoideo lavorano eccessivamente per contrastare la lateralizzazione del busto.

Il grande dorsale, se iperattivo da un lato, può accentuare la rotazione del tronco. Il piccolo pettorale accorciato può inclinare anteriormente la spalla, riducendo lo spazio subacromiale e predisponendo a sindromi da impingement.

Conseguenza? Il rachide cervicale può sviluppare un adattamento posturale in avanti, con aumento del carico su C5-C6.

E quindi? Che fare? Nel ventaglio delle soluzioni, ecco alcuni possibili interventi terapeutici.

Lavoro sui muscoli plantari con esercizi propriocettivi e di rinforzo intrinseco.

Riequilibrio dell’ileopsoas e del quadrato dei lombi per stabilizzare il bacino.

Attivazione del core con trasverso dell’addome e multifido per ridurre la compensazione lombare.

Rieducazione scapolare con lavoro su trapezio inferiore e dentato anteriore.

Riequilibrio cervicale con tecniche di rilascio miofasciale su sternocleidomastoideo e scaleni.

Ti sei mai accorto di come un problema al piede possa manifestarsi come dolore alla spalla o alla cervicale? L’approccio globale è la chiave!

02/08/2025

E SE IL CORPO NON FOSSE UNA CATENA.. MA UNA RETE!?

Dal modello lineare alla visione bio-psico-funzionale-sociale: riflessioni sulla complessità posturale (oltre la meccanica).

Questa riflessione nasce da un post recente che ha generato molte critiche, confronti e reazioni contrastanti.
E va benissimo così.
Anzi, è proprio per questo che vale la pena continuare a parlarne.

Perché il tema non è teorico. È clinico, quotidiano, culturale.

Quel post toccava un’immagine ancora molto diffusa nella pratica professionale: quella del corpo visto come una catena di segmenti meccanicamente interdipendenti. Un modello che, come dimostrano i numerosissimi commenti ricevuti, è ancora profondamente radicato nei discorsi, nei trattamenti e nei ragionamenti di tanti operatori della salute.

E allora abbiamo deciso di fare un passo indietro per poterne fare uno avanti: ripartire da quella visione lineare, per aprirci a una lettura più ampia, più fedele, più attuale del corpo umano.

Perché ogni paradigma nasce da una storia.
E ogni cambiamento comincia proprio da lì: dal metterla in discussione. 💪

Per anni abbiamo raccontato il corpo come un congegno perfettamente allineato. Una catena meccanica dove, se un anello si indebolisce, l’effetto si propaga in modo ordinato: il piede cede, la tibia ruota, il ginocchio compensa, il bacino si adatta, la spalla si alza, il collo si irrigidisce.

Una teoria semplice, affascinante, persino terapeuticamente utile. Una narrazione che ci ha aiutato a vedere collegamenti, cercare spiegazioni, costruire interventi coerenti. Ha nutrito il ragionamento clinico e sviluppato il pensiero critico.

Ma.. siamo sicuri che il corpo funzioni davvero così?

ATTENZIONE: il corpo a volte si comporta come una catena, soprattutto in contesti ad alta richiesta meccanica (come la corsa o l’atletica), ma è solo uno dei tanti modi in cui può organizzarsi. Il modello di rete che leggerete sotto non sostituisce quello lineare. Lo completa. Lo arricchisce.

DAL DOMINO ALLA RAGNATELA: IL CORPO COME RETE CONNESSA

La realtà è molto più sofisticata.
Le neuroscienze, la biotensegrità, la sistemica, la fascia, la clinica osservativa.. ci dicono la stessa cosa: il corpo non ragiona in termini di sequenze, ma di reti.

Non c’è un ordine meccanico.
Non c’è una direzione fissa.
Non c’è un prima e un dopo.

Il corpo non è un domino. È una ragnatela dinamica, che si riconfigura in tempo reale, con migliaia di input simultanei che si integrano tra loro.

Ogni nodo è in relazione.
Ogni adattamento è contestuale.

Un dolore alla spalla può essere l’eco di una disfunzione diaframmatica. Un piede che collassa può essere la conseguenza di una strategia di protezione psico-emotiva. Una tensione cervicale può derivare da un’alterata percezione interocettiva.

BENVENUTI NEL PARADIGMA DELLA COMPLESSITÀ

Dal segmento alla relazione.

Il passaggio da un modello lineare e puramente biomeccanico a uno a rete cambia radicalmente il nostro modo di osservare il corpo.

Non ci chiediamo più: “Dov’è il segmento fuori asse?”

Ci chiediamo “perché il sistema ha scelto questa configurazione?” “Quali nodi funzionali stanno sostenendo quella posizione?” “Quanto costa al sistema mantenere questa coerenza?”

Parliamo infatti di coerenza funzionale, ovvero la capacità del sistema di trovare un’organizzazione temporanea, economicamente vantaggiosa, e compatibile con il compito o l’ambiente.

È un ribaltamento epistemologico.

Dall’analisi dei pezzi alla comprensione delle relazioni.

IL MODELLO BIO-PSICO-FUNZIONALE-SOCIALE

Ed è qui che il nostro sguardo si espande ulteriormente.

Non basta dire “rete muscolo-fasciale”.
Per comprendere davvero il comportamento del corpo, dobbiamo integrare le dimensioni biologiche, psicologiche, funzionali e sociali.

Il modello bio-psico-funzionale-sociale è presente in letteratura come evoluzione del classico bio-psico-sociale.

Insiste sulla funzione come luogo di espressione dinamica del sistema, dove biologia, psicologia e contesto sociale si integrano nell’azione.

Una visione coerente con le esigenze della clinica contemporanea.

Vediamola in sintesi.

Biologica: struttura, biomeccanica, neurofisiologia.

Psicologica: esperienza, emozioni, percezione, attenzione, memoria del dolore.

Funzionale: obiettivo, carico, contesto, adattamento.

Sociale: relazioni, ambiente, lavoro, cultura, aspettative, linguaggio.

Ogni tensione, postura o sintomo è il risultato di questa rete di fattori che interagiscono.

Non c’è mai una causa sola: c’è un pattern emergente.

IL MODELLO PCS – Polyconnective Skeleton

È un altro riferimento emergente che nasce proprio per abbracciare la complessità, senza semplificarla.

Il Polyconnective Skeleton è un modello tridimensionale e integrato del corpo umano, in cui reti osteoarticolari, fasciali, neuromuscolari e viscerali interagiscono in modo policentrico e adattativo, non lineare.

Ogni nodo può diventare centrale a seconda del compito, dello stato emotivo o della memoria del corpo. Gli adattamenti non sono rigidi né in sequenza: sono plastici, distribuiti, contestuali.

Un modello realistico, coerente con la fisiologia, l’anatomia, la neuroplasticità e la clinica.

Una bussola concreta nella terapia manuale e nel movimento.

LE IMPLICAZIONI CLINICHE

E quindi, cosa cambia nella pratica?

1. Valutazione

Nel modello lineare cercavamo “dove parte il problema”. Nel modello a rete, bio-psico-funzionale-sociale, ci chiediamo:

“Dove si organizza il sistema per sostenere il carico?”

“Quali strutture si sacrificano per mantenere l’efficienza?”

“Dove si manifesta la strategia adattativa più significativa?”

E soprattutto: “che senso ha, per quel paziente, in quel momento, quella configurazione?”

2. Trattamento

Non correggiamo una postura.
Proponiamo una nuova coerenza funzionale, compatibile con le risorse e la storia del paziente.

Non allineiamo.
Riorganizziamo le forze, le percezioni, le intenzioni.

Il trattamento diventa un dialogo con la rete, non un’aggressione al sintomo.

E in tutto questo, non dimentichiamo mai la persona dietro il sintomo.

Ogni nodo è attraversato da una storia, un’emozione, un bisogno.

3. Monitoraggio

La risposta del corpo è la nostra guida.

Ogni esercizio, ogni input, ogni tecnica è un’ipotesi da osservare. Ci muoviamo per tentativi, in ascolto, senza certezze assolute.

E il dolore? Cambia anche lui.

Nel modello lineare è la spia di un errore.
Nel modello a rete, il dolore è una strategia comunicativa.

Il corpo non urla perché è rotto.
Urla perché sta proteggendo.
Urla perché sta negoziando.
Urla perché ha bisogno di cambiare mappa.

In termini neuroscientifici, il dolore è l’espressione di un sistema nervoso centrale che risponde a una minaccia percepita, non necessariamente a un danno reale.

IL LINGUAGGIO CONTA

Le parole che usiamo non sono neutre.
Quante volte diciamo ancora “catena posteriore accorciata”, “bacino in anteroversione”, “segmento instabile, “spalla che scappa”..

Parole che sembrano descrivere ma che raccontano un corpo rotto, passivo, meccanico.

Se vogliamo una visione di rete, dobbiamo aggiornare anche il vocabolario. Per coerenza clinica e per rispetto del paziente.

Ogni parola costruisce una rappresentazione. Quella rappresentazione plasma il modo in cui il paziente vive il proprio corpo.. e noi scegliamo di intervenire.

Alcuni esempi concreti.

Una paziente con dolore mandibolare migliora dopo un lavoro sul pavimento pelvico. Nella sua rete, era un nodo tensivo centrale.

Un runner con fascite plantare cronica migliora lavorando su diaframma e respiro. Il problema era un tronco rigido e iperattivo.

Un adolescente con scoliosi e dolore lombare migliora con lavoro su propriocezione e identità corporea. Non era un problema posturale, ma percettivo.

Concludendo, fare divulgazione non significa dire meno. Significa dire meglio. Con parole semplici, ma mai semplificate.

Con i piedi ben piantati nel presente, ma lo sguardo rivolto al futuro.
Semplificare senza distorcere.
Comunicare senza irrigidire.
Educare senza infantilizzare.

Anche i pazienti meritano di sapere che non sono rotti. Che il loro corpo sta solo cercando un nuovo equilibrio.

E ALLORA.. QUAL È IL NOSTRO RUOLO?

Siamo ancora terapisti manuali? Sì.
Esperti di esercizio terapeutico? Assolutamente.

Ma oggi più che mai siamo anche facilitatori di consapevolezza, osservatori della complessità, traduttori di segnali corporei e alleati nella costruzione di nuove reti funzionali.

Non aggiustiamo.
Riorganizziamo.

Non imponiamo.
Proponiamo.

Non normalizziamo.
Facilitiamo l’adattamento.

Il corpo non si adatta in sequenza.
Si adatta in coerenza.

Non ragiona per catene lineari.
Ragiona per reti distribuite, influenzate da esperienze, pensieri, tensioni, respiri, relazioni.

E noi fisioterapisti?

Siamo chiamati a guardare oltre l’anatomia, oltre la postura, oltre il sintomo.

Siamo chiamati a sentire la rete. A riconoscerla. A rispettarla.

Se anche tu credi che la fisioterapia non sia solo correzione, ma ascolto, relazione, visione, adattamento.. condividi questo post.

Perché il futuro del nostro mestiere non si costruisce con blocchi da correggere,
ma con connessioni da nutrire.

Raccontaci nei commenti qual è stata la connessione più sorprendente che hai osservato nel corpo. Oppure condividilo con chi, come te, ha voglia di guardare oltre.

NOTA FINALE
Le informazioni contenute in questo post hanno finalità divulgativa e non sostituiscono la valutazione di un professionista sanitario.

Un sentito grazie a tutti i colleghi fisioterapisti e ai professionisti sanitari che, con i loro studi scientifici pubblicati, commenti, critiche e spunti, hanno contribuito alla nascita di questo testo.
È anche così che si costruisce una rete: con il dialogo.

11/07/2025
11/07/2025

C’è un legame che ci tiene in piedi, ci fa respirare, ci dà stabilità.. e nessuno lo vede.

Oggi ti mostro una relazione silenziosa ma potentissima: quella tra diaframma e psoas. Due muscoli lontani nella funzione, ma vicinissimi nell’anatomia e nella clinica.

Il diaframma è il muscolo della vita, il “soffitto” dell’addome e il “pavimento” del torace.

Lo psoas è il muscolo del movimento, il “ponte” tra colonna e gambe.

Ma guarda bene questa immagine: si incontrano. Si fondono. Si condizionano a vicenda.

Perché questa coppia è importante?

Il pilastro mediale del diaframma si tuffa sulle vertebre lombari proprio accanto al grande psoas. A volte le fibre si intrecciano.

Durante l’inspirazione, il diaframma si abbassa.. e “massaggia” lo psoas. Durante la stazione eretta o il cammino, uno psoas rigido tira.. e condiziona la posizione del diaframma.

Se uno non lavora bene, l’altro compensa.
Se entrambi sono rigidi, la colonna soffre, il respiro si accorcia, e la postura collassa.
Se uno è iperattivo e l’altro silente.. hai dolori lombari, tensioni viscerali o difficoltà nella performance.

Test clinico da ricordare (per fisioterapisti)

Hai mai valutato la mobilità diaframmatica in un paziente con psoas retratto?
Hai mai rilasciato lo psoas e migliorato la capacità respiratoria?
Hai mai trattato una lombalgia cronica dal respiro?

Messaggio per chi ci legge.

Se respiri male, ti muovi male.
Se ti muovi male, respiri male.

E in mezzo, c’è questo abbraccio tra due muscoli apparentemente distanti, ma clinicamente inseparabili.

Condividilo con un collega, uno sportivo, un paziente curioso. E la prossima volta che pensi al respiro o al mal di schiena.. pensa al legame invisibile tra psoas e diaframma.

E per i curiosi, un articolo inerente!

https://educarefisio.com/2016/07/04/lo-stretching-diaframmatico/

Squatty potty
11/07/2025

Squatty potty

Seduti nel modo sbagliato? Il WC moderno sotto accusa (e una soluzione sorprendente che può cambiare il tuo intestino!)

Ti è mai capitato di alzarti dal bagno sentendo che.. non hai proprio finito? O di stare lì minuti e minuti, magari con il telefono in mano, a combattere una battaglia silenziosa contro l’intestino? 😣

Ecco. Non sei solo.

Ogni giorno milioni di persone siedono su una porcellana bianca credendo di essere nella posizione più comoda e igienica possibile. Ma c’è un piccolo, grande problema: potrebbe non essere quella giusta per il nostro corpo.

Siamo nati per accovacciarci, non per sederci! 😅

Sembra assurdo, ma è proprio così. L’evoluzione ci ha progettati per evacuare accovacciati. I nostri antenati non avevano certo il WC con scarico a doppio flusso.. eppure, guarda caso, stitichezza cronica, emorroidi o prolassi viscerali erano meno frequenti rispetto ai giorni nostri.

Si ritiene che queste condizioni fossero meno frequenti in popolazioni che utilizzavano la posizione accovacciata, sulla base di osservazioni antropologiche e studi fisiologici comparativi, ma non esistono registri epidemiologici certi di confronto.

Giovanni esordisce così: “Un tempo non molto lontano si accovacciavano tutti!! Non esisteva il WC.” E aggiunge Hatidza: “Se torniamo indietro di non tanti anni, è evidente che tutti i nonni stavano proprio in questa posizione nei bagni esterni o nei campi.”

La posizione accovacciata apre l’angolo anorettale (quello tra il retto e l’ano), rilassa il muscolo puborettale, che normalmente chiude il canale come una cordicella, e permette un passaggio più diretto e meno faticoso.

Immagina di spremere il dentifricio da un tubo piegato a metà..
Ora raddrizzalo. Esce tutto, senza fatica.

Tecnicamente, il muscolo puborettale, parte del complesso dell’elevatore dell’ano, forma un’ansa che “strozza” l’angolo del retto durante la stazione eretta o seduta. Solo accovacciandosi l’ansa si distende e l’angolo si raddrizza (da circa 90° a 15-30°).

Non è un’idealizzazione nostalgica del passato: è biomeccanica. E la scienza lo conferma. 😁

Cosa succede davvero quando ci sediamo sul WC moderno?

Sedersi a 90°, come ci hanno sempre insegnato, significa in realtà ostacolare il nostro corpo. Il muscolo puborettale non si rilassa del tutto, l’angolo tra retto e ano resta chiuso, l’intestino fatica a svuotarsi.. e noi iniziamo a spingere.

“In passato la gente era più forte, soprattutto le donne.” riflette Luca.

Ma oggi? Lo sforzo evacuativo ripetuto modifica la pressione intra-addominale e agisce sul diaframma pelvico come un pistone. Nel tempo, questo può contribuire a discesa perineale, alterazioni fasciali e sintomi viscerali secondari, soprattutto nei soggetti stitici o ipotonici.

Elena ci ricorda un dettaglio trascurato: “La vecchia soluzione della turca, ormai sostituita in tutti i luoghi pubblici, era anche molto più igienica.”

Ma se bastasse un piccolo sgabello?

Ecco la parte sorprendente: non serve installare una toilette alla turca.
Potrebbe bastare un semplice sgabello sotto i piedi.

Rosanna ne è convinta: “Un rialzo sotto i piedi è la soluzione migliore. E ci permette anche di considerare il bagno come luogo delle più profonde riflessioni.”

Hai presente quelli dei bambini per arrivare al lavandino? Esatto, quelli.
Posizionandoli sotto le gambe, il busto si inclina in avanti, l’angolo anorettale si raddrizza, il puborettale si rilassa.. e il corpo può finalmente lasciar andare.
Più veloce. Più completo. Più naturale.

“Uno sgabello alto 18 cm ha risolto il mio problema. Ne ho tratto vantaggio!” ci conferma Dario. Anche Vera è arrivata a questa conclusione. “Basta un rialzino su cui appoggiare i piedi quando si è seduti sul WC.”

Uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Gastroenterology ha evidenziato una riduzione del 50% del tempo evacuativo medio con l’uso di uno “defecation posture modification device” (ovvero.. lo sgabello!). E la sensazione di svuotamento completo è aumentata significativamente nei partecipanti.

“L’ho provato e adesso non riesco più a farne a meno.”

È la frase più frequente tra chi lo adotta. Marco, 47 anni, insegnante: “Pensavo fosse una sciocchezza. Ora lo porto anche in vacanza.” Giulia, 34 anni, mamma di due bimbi: “Dopo il parto avevo sempre problemi. Da quando uso lo sgabello, vado regolare e senza sforzo.” Andrea, runner con colon irritabile: “Meno gonfiore, meno dolore. Un gesto semplice, ma rivoluzionario.”

Nei soggetti con IBS, migliorare la coordinazione del pavimento pelvico può avere effetti simili a un primo approccio di biofeedback posturale: meno sforzo, meno paura, più fiducia. Ovviamente, senza sostituirsi a un percorso clinico dedicato nei casi complessi.

Ma non tutti sono d'accordo.. “Basta un minimo di artrosi e tutte queste parole vanno in fumo. Ma davvero vedete il nonno accovacciato?” sentenzia Michele.

Emanuele risponde al tema con un pizzico di ironia: “Se insegnassero queste posizioni da piccoli, sarebbero naturali. Certo, se nonno lo "squotti" a 80 anni, quello ti rimane a terra!” Danilo aggiunge: “Prova a rileggere con più attenzione Michele.. lo sgabello è proprio pensato per evitare lo squatting puro.”

Cosa dice la scienza? 🤔

Gli studi che hanno confrontato l’evacuazione seduta vs. accovacciata non mancano. Risultato? Evacuazioni più rapide, meno sforzo, meno residuo rettale, maggiore soddisfazione soggettiva.

E una revisione sistematica pubblicata nel International Journal of Colorectal Disease ha mostrato che, nel 70% dei casi analizzati, lo squatting migliora i parametri evacuativi. Tuttavia, servono ancora studi più ampi e diversificati per consolidare queste evidenze.

Non parliamo di magia, ma di fisiologia applicata. E i dati parlano chiaro.

Box di trasparenza

Alcuni siti parlano di prevenzione di cancro del colon o appendicite.
Queste affermazioni non sono supportate da evidenze cliniche solide.

Una buona evacuazione è positiva, ma non sostituisce screening, dieta equilibrata e follow-up medico. Lo stesso vale per ipotesi su valvola ileocecale, prostata o utero: interessanti, ma ancora speculative.

E per le donne incinte?

Soprattutto nel terzo trimestre, la pressione uterina sul retto può rendere difficile l’evacuazione. La posizione accovacciata o semi-accovacciata col poggiapiedi riduce la pressione sul perineo anteriore, facilita il rilassamento pelvico, protegge il pavimento da stress evitabili.

Laura, ostetrica, integra un dettaglio importante. “Anche per il parto è la posizione più idonea.” E Giusy, collega, approfondisce: “È anche la posizione più anatomicamente corretta per partorire, sfrutta la gravità, invece della posizione orizzontale, completamente innaturale.”

Ovviamente, ogni gravidanza è diversa. Meglio parlarne con la propria ostetrica o ginecologo in caso di dubbi o situazioni particolari (es. placenta previa, prolassi).

Sei curioso? Vuoi provarlo anche tu? 😋
Ecco come fare:

1. Prendi uno sgabellino alto circa 20-25 cm
2. Siediti normalmente sul WC
3. Porta i piedi sullo sgabello e inclina leggermente il busto in avanti
4. Respira, rilassa il ventre. Lascia fare alla gravità

L’angolo ideale tra cosce e busto? Circa 135°. È lì che l’architettura ano-rettale si allinea al meglio.

In conclusione, il bagno non è solo una parentesi. È un atto fisiologico fondamentale, che può diventare più efficiente, più naturale.. e anche più rispettoso della nostra anatomia.

A volte basta cambiare angolo. O posizione. Per cambiare le cose. 😜

Disclaimer

Questo contenuto ha scopo informativo. Non sostituisce il consulto con un medico o specialista. Ogni modifica alle abitudini evacuative va personalizzata in base alla propria condizione clinica.

Indirizzo

Piazza Via Cuoco, 1
San Miniato Basso
56028

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Mercoledì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00
Giovedì 15:00 - 20:00
Venerdì 09:00 - 13:00
15:00 - 20:00

Telefono

+393387110913

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chi sono

mi piace studiare il corpo umano e sono curiosa di capire e approfondire cosa succede quando ci muoviamo, perchè compare il dolore e come posso fare er far star bene le persone.

perciò dopo il master in Terapia Manuale non ha mai smesso di aggiornarmi, attraverso corsi e convegni.

mi occupo principalmente della riabilitazione delle problematiche della salute della donna:

donna operata al seno