27/06/2025
In tanti avete scritto, commentato, condiviso il post di ieri mattina. Segno che questo tema ci tocca tutti da vicino, sia come professionisti, che come persone.
Chi non ha mai vissuto, anche solo per un periodo, un dolore che non passa, un malessere che non trova voce nei referti, una stanchezza che non si spiega?
E allora continuiamo da qui.
Cosa succede quando il corpo è in “allarme”? E soprattutto: cosa possiamo fare, concretamente, per aiutarlo a spegnere quella sirena invisibile?
Tutti parlano di “dolore” e di come eliminarlo. Trattamenti, manipolazioni, esercizi, laser, onde d’urto.. Eppure, molte persone tornano a casa con un sollievo che dura poco.
Un miglioramento parziale.
Una tregua apparente.
La verità è che, in molti casi, il dolore cronico non vive nei tessuti, ma nel sistema di allarme. E se quel sistema resta attivo, ogni intervento sarà un palliativo.
Perché sì: molto spesso, il sistema nervoso autonomo è il grande assente nelle valutazioni.
Quando vedo un paziente, una delle prime cose che osservo non è la spalla o la lombare dolente. È l’attivazione del suo sistema nervoso autonomo.
Perché un sistema simpatico iperattivo, sempre in modalità “combatti o fuggi”, non solo altera la percezione del dolore, ma frena il sonno, la digestione, il recupero. Tiene il corpo bloccato in un loop. In trincea, anche quando non c’è più nessun nemico davanti.
Questo può spiegare perché alcune persone assistite hanno: affaticamento persistente, anche senza infiammazioni evidenti, intestino pigro o iperattivo, mani e piedi sempre freddi, raffreddori frequenti o “sistema immunitario lento”, sensazione costante di “mente annebbiata”, o di non riuscire a reagire alle botte della vita.
Non sono “sintomi vaghi”.
Sono tracce di un corpo che non si sente al sicuro.
Se non spegni l’allarme, il dolore resta. In altre parole. Se il sistema resta in allarme, il dolore troverà sempre una strada.
Possiamo chiamarlo come vogliamo:
pain relief, scarico, trattamento del dolore..
Ma se non recuperiamo il tono vagale, se non riattiviamo la corteccia prefrontale, quella parte di noi che ci aiuta a scegliere, a regolare, a imparare, il dolore resta uno stato. Non un sintomo.
Questo potrebbe spiegare perché alcuni trattamenti “funzionano”, ma solo finché il paziente è lì. Perché il corpo apprende solo in condizioni di sicurezza. E un corpo in allarme, non impara.
Il dolore non si “cura”.
Si rieduca il sistema che lo genera.
Pain relief non è un obiettivo da raggiungere a forza di terapie. È la conseguenza di un sistema che torna a fidarsi di se stesso.
E questo può significare tante cose.
Non serve essere fisioterapisti veterani.
Tutti noi dal più giovane al più esperto possiamo lavorare su un’espirazione lenta e profonda, con espirazione attiva, su una terapia manuale che ascolta e non impone, su esercizi graduali, costruiti sulla fiducia e non sulla forzatura. Ma ancora di più, su educazione, contatto, presenza.
È il momento in cui il corpo smette di difendersi.. e inizia a ricostruirsi.
Solo così possiamo passare da un corpo che subisce il dolore a un corpo che riconfigura la sua risposta ad esso.
La strada verso il sollievo non parte dal sintomo. Parte dal sistema.
In altre parole.
Stai parlando al punto che fa male.. o al sistema che ha deciso che quel punto doveva farti male?