03/02/2024
L’OFFESO
Guido Savio • 19 Aprile 2018
LA LOGICA DELL’OFFESO
La posizione dell’”offeso”, di colui che dall’altro ha o pensa di avere ricevuto una offesa, è sempre una posizione di privilegio che consente (senza il pagamento di alcun senso di colpa) l’attacco verso l’altro e la obiezione alla relazione.
La posizione dell’offeso altro non è che una “teoria patologica” per cui io penso di “avere diritto” al risarcimento per una presunta offesa o serie di offese ricevute. Diritto non dimostrato né dimostrabile. La posizione dell’”offeso” diviene allora una posizione “ansiolitica” in quanto libera il pensiero della ingiustizia subita e consente l’attacco alla stessa giustizia di cui non si è stati fruitori.
Attaccare è sempre un modo per mettersi al riparo dalla angoscia. Nasce di qui quel sentimento melanconico “controllato” (i cui effetti benefici sono ben conosciuti) in cui narcisismo ed amor proprio la fanno da padrone.
Noi sappiamo che non possiamo essere o dire quello che vogliamo (ammesso che esista una conoscenza sufficientemente esaustiva del nostro volere): la posizione dell’offeso ci mette nella liceità di volere (dall’altro) ciò che vogliamo, contravvenendo alla regola fondamentale della relazione che richiama al rispetto della differenza dell’altro e soprattutto del suo desiderio.
Vogliamo sempre il nostro vantaggio, anche se questo richiede di porre delle intercapedini, dei diaframmi (se non muri) nella relazione con l’altro.
Questa azione di “isolamento” diviene una difesa e nello stesso tempo un attacco che ci permette di vedere nell’altro il male per cui di lui ci lamentiamo, senza voler intendere che quello è lo stesso male che è presente in noi e che noi stessi tacciamo alla nostra coscienza.
Esiste indubbiamente dentro di noi una volontà di “fare del male” all’altro: piccoli mali magari, che spesso stanno dentro alle parole o ai giudizi.
Non possiamo nascondere che spesso il “parlare” degli altri è un “parlarne male”, quasi che questa azione per noi fosse vitale. Questo, forse, per prevenire che l’altro lo faccia prima di noi, ma molto più probabilmente perché il “fare del male all’altro” è una affermazione della nostra stessa identità. Forse.
Questa intercapedine che noi poniamo nella relazione crea indubbiamente, alla lunga, una certa distanza. Distanza che si fa patologica nel momento in cui noi ci sentiamo appunto “offesi” dalla cattiva volontà dell’altro nei nostri confronti (“l’altro non vuole il mio bene”). Questo pensiero ci autorizza al ritiro dal rapporto con l’altro, che spesso assume la forma della infedeltà.
Noi siamo infedeli all’altro quando ci rivolgiamo da un’altra parte, delusi dalla “cattiva volontà” (secondo noi) che l’altro ha espresso nei nostri confronti (come se si trattasse di una “cattiva condotta”), dal suo “disinteresse”, dalla sua “mancanza di sensibilità” o altre amenità di questo tipo.
Ma non si tradisce mai il marito o la moglie. Si tradisce sempre l’amante.
L’altro non sarà mai “sufficiente” di fronte alla operazione di idealizzazione che noi compiamo nei suoi confronti. Idealizzazione che ci viene “naturale” come afferma Freud quando parla del “Grande Uomo”. Abbiamo bisogno di protezione e di qualcuno che lavori al posto nostro, e se questo altro non compie questo lavoro secondo il nostro desiderio (idealizzazione), siamo pronti a tradirlo.
L’ALTRO CADE
Non si spiegherebbe il motivo per cui l’altro “cade” così di frequente davanti a noi, davanti alla domanda che noi gli rivolgiamo. In sostanza noi non vogliamo “capire” (essere capienti) il limite dell’altro, non accettiamo la sua mancanza o la sua contraddittorietà, la sua “non esclusività” nei nostri confronti. E’ da questa posizione di “delusione” che noi tradiamo, proprio perché non intendiamo il limite.
Il narcisismo impera soprattutto nella azione di “idealizzazione” che noi compiamo nei confronti dell’altro, che appunto non sarà mai all’altezza della nostra richiesta (che poi in patologia è una pretesa). Siamo tutti affezionati alla domanda eccessiva di attenzione nei nostri confronti: e questo diviene malattia.
Guido Savio
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