Abbazia di Santa Croce Triponzio dei Conti Atti in Sassoferrato AN

Abbazia di Santa Croce Triponzio dei Conti Atti in Sassoferrato AN Rinaldo Guarinoni, Real Estate Agent

09/12/2023

In vendita 🌟

19/10/2023

La Abbazia si erge in luogo magico 🌟

09/03/2022
Foto esterne ed interne
23/07/2018

Foto esterne ed interne

23/07/2018

Come reinterpretare oggi questo complesso
Le consistenze del complesso dell’Abbazia di Santa Croce sono estese e significative.
I terreni di pertinenza ricoprono un’area di ben 36.800 mq.
Le aree del corpo di fabbrica del Monastero sono suddivise in più piani per un totale di 2.400 mq:
-piano sotto strada esterno -piano strada esterno -piano terra
-piano primo
mq 300 mq 300 mq 700
mq 750 mq 300
-piano secondo
Il Monastero è predisposto per 34 camere.
Le aree della Casa Canonica, orientata a Nord-Est, sono così suddivise per un totale di 610 mq:
-piano sottostrada -piano terra -piano primo -piano secondo
mq 162 mq 168 mq 196 mq 84
in 2 vani in 3 vani un vano
un vano.
Un complesso di questa estensione ed importanza così condizionato da un passato pressoché millenario, immerso nella natura e oggetto di restauri massivi, si presta ottimamente ad essere reinterpretato anche in chiave moderna, pur nel rispetto di ciò che per molti secoli ha rappresentato. Così come in questi ultimi decenni, a causa dello stress imposto da uno stile di vita edonista e consumistico, il “turismo spirituale” di orientamento cattolico ha goduto di notevole e rinnovato successo manifestato da una particolare predilezione per gli eremi, altrettanto interesse hanno suscitato le realtà oggi collocate sul territorio italiano riguadanti ashram o monasteri (sia di costruzione recente che remota) appartenenti a tradizioni religiose o spirituali differenti da quella cristiano-cattolica.
Per fornire un esempio di questo fenomeno, potremmo riferirci al centro Buddhista-Lamaista di Pomaia (l’Istituto Lama Tzong Khapa, uno tra i maggiori punti di riferimento europeo per i praticanti del buddhismo tibetano) in provincia di Pisa, ricavato da una strepitosa villa padronale
toscana turrita di fine ‘800, e attrezzato con ampie aree sia esterne che interne adibite ad attività di studio e ricerca, eventi, meditazione, yoga, ospitalità e alloggi per i monaci residenti.
Ma non mancano anche espressioni più recenti, piccole e anonime come ad esempio il Centro Vipassana Dhamma Atala di Marradi in provincia di Firenze dove, sprofondando nella natura, è possibile immergersi nella pratica di meditazione definita “il cuore del Buddha”; oppure costruzioni moderne di monasteri Hindu, come ad esempio il Matha Gitananda Ashram in Liguria in provincia di Savona, principale sede dell’unione Induista italiana fondata nel 1984.
Senza contare, ovviamente, casi eclatanti di comunità spirituali alternative del tutto autonome assurte improvvisamente agli onori delle cronache come quello della Federazione di Damanhur in Piemonte presso Baldissero Canavese (TO), la cui fondazione è risalente al 1975. Ad oggi, una realtà come quella di Damanhur, conta più di 600 cittadini residenti.
Il richiamo della spiritualità e la necessità di ritiro e contemplazione sono connaturati nell’essere umano, divenendo particolarmente intensi nei periodi storici caratterizzati da grosse transizioni e crisi sociali ed economiche, fattori che conducono inevitabilmente gli individui ad una introspezione maggiore rispetto a quella che avrebbero trovandosi a condurre la propria esistenza in un’epoca più leggera, ottimista e di maggiore sviluppo economico.
Se nella sua datazione si tiene conto anche del Mitreo sul quale venne costruita a suo tempo la Chiesa, il Monastero di Santa Croce dei Conti Atti di Sassoferrato, vanta il privilegio di incarnare appieno da ben 2 millenni questa tensione innata dell’uomo verso il Divino. Il manifesto e potentissimo dominio del suo Genius Loci Invitto, ha garantito nei secoli un dialogo di complice e silenziosa alleanza con l’uomo che, pur tra apogei e cadute, non è mai venuto meno nella sua essenza.
Capillari e costanti interventi di restauro attento e dovizioso hanno garantito la qualità del suo stato di conservazione; la sua collocazione, le ampie ed eterogenee aree di cui è dotato, la sua identità netta e radicale di Monastero e di luogo chiaramente deputato dal Divino a stabilire una perpetua comunione con l’uomo, trovano ancora oggi modo di poter essere approcciate e rivissute in una contemporanea ed eterogenea formula di rilettura della spiritualità:
-come centro studi, come sede di eventi, seminari e convegni;
-come casa madre indipendente per comunità spirituali di qualsivoglia tradizione mediterranea, asiatica e non;
-come tappa di pellegrinaggio per cercatori di verità, assetati di spirito e studiosi di storia, esoterismo e ordini iniziatici;
-come luogo di appoggio e ristoro per escursionisti della natura ed osservatori della fauna;

-come centro benessere olistico per le esigenze di coloro che avessero necessità di ricongiungere il corpo con lo spirito in maniera dolce ed armonica, appoggiandosi a discipline come lo Yoga, il Tai Chi Chuan e altre ancora.

23/07/2018

Storia del Monastero di Santa Croce dei Conti Atti
Affrontare la storia di un monastero così vetusto come quello dell’Abbazia di Santa Croce dei Conti Atti in Sassoferrato significa giocoforza prendere in esame un lasso di storia dell’ampiezza di un millennio, con lunghi e alternati periodi di fioritura, decadenza, trasformazioni e abbandoni. Nell’assenza totale di documenti scritti riguardo ad una prima fondazione, non è semplicissimo ricostruire la sequenza delle ipotesi: con una certa approssimazione se ne possono formulare di sensate che trovino una coerenza appoggiandosi su prove storiche successive, ma, nell’attesa del ritrovamento di fonti inequivocabili, se mai venisse a verificarsi una simile condizione (che potrebbe invero anche non verificarsi mai) si rimane, allo stato attuale degli studi, nell’ambito delle mere congetture.
D’altro canto, la storia non si ricava e deduce solo dalle presenza di fonti scritte: spesso, si dipana e si tesse in maniera silente anche attraverso l’assenza di ciò che potrebbe smentirle o confutarle. Smarrimenti, distruzioni, saccheggi, incidenti, calamità naturali o usura delle fonti documentali anche solo per cattiva conservazione o traslochi, incombono inesorabili ovunque e in ogni epoca: per non parlare di eventuali o ricorrenti censure politiche.
E’ molto importante perciò, per l’uomo moderno e “tecnologico”, che vive totalmente schiacciato in una condizione di un presente accelerato e sfuggente nonché congelato nella concezione temporale della propria contemporaneità che non gli consente nemmeno di memorizzare nel lungo termine praticamente alcunché, provare a cogliere l’eco di un passato remoto per evitare di proiettare su di esso aspettative o pregiudizi intellettuali tipici di un mondo presente totalmente dissimile.
Per iniziare a narrare la storia di questo monastero dobbiamo collocarci, con grande probabilità, tra il XI e il XII secolo, in quello che viene definito come il periodo di passaggio dall’Alto Medioevo al Basso Medioevo, in un’Italia del nord e del centro posta sotto il dominio del Sacro Romano Impero Germanico e dello Stato della Chiesa e nelle infinite e complicate relazioni ed ingerenze intessute tra le due entità, ben testimoniate ad esempio dalle celebri “lotte per le investiture”: potere spirituale e temporale che si scavalcano e rincorrono sulle relative sfere di controllo.
Non esiste documentazione scritta che attesti la fondazione di questo monastero: ma, all’incirca verso la metà del secolo XII, nei pressi dell’antica città (prima gallica e poi romana) di Sentinum, viene eretto dai Conti Atti un primo castello, che, unitamente al monastero probabilmente di poco seguente, va ad attirare piccoli nobili e genti delle zone limitrofe, in quantità tali da riuscire a costituire, nei primi anni successivi all’edificazione, un vero e proprio borgo. E’ all’incirca a questo periodo che dovrebbe risalire la costruzione della parte più antica del monastero, costituita dai
corpi di fabbrica EST e OVEST del complesso, così come anche della chiesa, anche se, recenti teorie non ancora suffragate da fonti, la collocherebbero come preesistente all’anno mille, e solo in seguito rilevata e arricchita dagli stessi signori del luogo. Il Monastero viene costruito per i monaci Camaldolesi, la cui congregazione neonata deriva e fa riferimento alla regola Benedettina.
Per costruire il complesso, si fa un grande uso dei materiali ricavati dalle rovine della città romana di Sentinum: la Chiesa di Santa Croce ne è una evidente testimonianza, ma ciò risulta essere vero anche per altri edifici di Sassoferrato. Sentinum (dal 1994 istituita “parco archeologico” e risalente, pare, addirittura al 600 a.C.) poggia su di un terrazzo fluviale creato dal fiume Sentino e dal torrente Marena e sorge in una posizione ultrastrategica, per quei tempi: in prossimità del passaggio delle principali vie di comunicazione antiche attraverso l’Appennino.
Nell’anno 1200 Sassoferrato si costituisce Comune. E’ in quest’epoca proto-comunale che i Conti Atti prendono il dominio del luogo, conservandolo fino al 1460. Nel 1232 troviamo traccia della presenza del monastero in un documento che testimonia l’esistenza di un contenzioso tra l’abbazia di Santa Croce e quella di San Vittore per la chiesa di San Biagio di Fabriano: si tratta delle prime fonti documentali che ci raccontano dell’esistenza di questo complesso. Altre tracce documentarie emergono dalla Bolla di Papa Innocenzo IV del 1252, che sottolinea il ruolo di spicco dell’Abbazia di Santa Croce che proprio in questo periodo viene allargata. E’ l’epoca in cui l’Abbazia estende ormai il suo controllo su decine di altre chiese, e, il monastero, completamente strutturato ed indipendente, attrezzato di chiesa, biblioteca, refettorio, chiostro, dormitorio, foresteria, magazzino, è divenuto a sua volta un tangibile punto di riferimento per pellegrini e viandanti.
Il campanile, situato sul versante Nord, viene costruito tra il 1400 e il 1412 secondo alcuni, ma non mancano ipotesi della sua presenza già da prima, con intenzioni difensive.
Segni di decadenza e cattive condizioni di manutenzione riguardanti monastero e chiesa sono segnalate in un documento datato 1589. Nel 1607 vi è poi traccia di un restauro del campanile. Negli anni successivi inizia il periodo del commendariato che porta ad una diminuzione del numero dei monaci e all’insediamento di alcuni preti secolari, come regolato dall’istituto della Commenda: semplificando grossolanamente, si tratta di un contratto di usufrutto per l’utilizzo di un bene ecclesiastico concesso a membri del clero non appartenenti ad alcun ordine religioso, ma che si muovono nel mondo civile. I Camaldolesi potranno accedere di nuovo nel 1613, senza però assumere il controllo sui beni.
Danni da terremoto sono registrati nel 1781, e infine, nel 1810, un evento particolarmente “forte”: con decreto imperiale del 25 aprile 1810 emesso da Napoleone Bonaparte, Re d’Italia e anomalo imperatore-illuminista figlio della rivoluzione Francese (non già per diritto divino, bensì “Imperatore dei Francesi per volontà del popolo”), le congregazioni ecclesiastiche e gli ordini di

qualsiasi tipo vengono soppressi e i relativi edifici e luoghi di culto chiusi: in alcuni casi, anche per mezzo di modalità non esenti da un certo spirito di distruzione. Tale legge, emanata in tutte le regioni d’Italia, colpisce ovviamente anche l’Abbazia di Santa Croce.
In seguito alla caduta Napoleonica e negli anni seguenti, tra il 1821 e il 1843, il monastero ritorna operativo sotto il controllo dell’analogo “fratello” Camaldolese di Fonte Avellana, situato ad una ventina di km di distanza. Negli anni successivi seguono fasi di restauro, ma nel 1861, anno della proclamazione del Regno d’Italia, subisce l’occupazione del governo Sabaudo.
Nel 1882 viene nuovamente restaurato, si ripopola di monaci e vi riprendono alcune attività. Nel 1935 viene di nuovo soppresso.
Il monastero rimane in seguito sotto la gestione Camaldolese di Fonte Avellana fino al 2000; il più recente restauro risale agli interventi effettuati a seguito dei danni derivanti dal terremoto del 1997 sui tetti e nella sua porzione anteriore. Ad oggi sono ancora in corso di esecuzione alcuni lavori di consolidamento della struttura.

23/07/2018

Suggestioni Mitraiche
La Chiesa di Santa Croce degli Atti è un magnete di attrazione che convoglia ogni anno visite di appassionati di storia, archeologia, simbolismo e religioni. Questa Chiesa non è un luogo di culto consueto, ma presenta un sincretismo simbolico complesso ed ermetico che si muove tra il sacro e il profano e che, nei secoli, l’ha resa oggetto di interesse e di visite anche da parte di molti potenti della Terra: imperatori longobardi, Napoleone Bonaparte, Benito Mussolini e altri ancora.
Benché si tratti di una porzione esclusa dalla trattativa di vendita di questo edificio, che ricordiamo essere disponibile nei corpi di fabbrica del monastero e della casa canonica, è opportuno rapportarsi a questo complesso facendo riferimento anche alla chiesa benedettina costruita in stile romanico dai Conti Atti forse nel secolo XII (in realtà non esistono atti scritti della fondazione di questa chiesa, non è nemmeno sicuro che non ne fosse esistita una versione precedente all’anno mille: ma all’interno di essa, come anche del monastero, è esposto il blasone di famiglia).
Si teorizzano date intorno al 1100-1150, ma le difficoltà di datazione sono notevoli per l’assenza di documenti storici; spesso perciò nella ricostruzione della storia di questo luogo di culto si incorre per forza di cose in approssimazioni. Di certo la Chiesa è stata costruita utilizzando sistematicamente i materiali della vicina cittadina romana di Sentinum, per una consuetudine tipica dell’epoca; le rovine archeologiche, non essendo presidiate, venivano utilizzati per raccolta e riconversione di materiali per l’architettura religiosa e non: statue, capitelli, tegole, mattoni e tutto quanto potesse risultare funzionale ad una nuova edificazione, venivano asportati e impiegati altrove.
Questa chiesa, costruita a pianta di croce greca inscritta di ispirazione bizantina, presenta diverse altre peculiarità che la rendono unica: la sua non visibilità esterna (è praticamente inscatolata dentro il corpo di fabbrica del complesso costruito attorno nelle varie fasi che la contiene ed occulta, quasi a proteggerla, non si sa se per necessità architettoniche o per un intento preciso), la coesistenza all’interno di simboli della cristianità d’oriente e d’occidente ma anche precedenti il cristianesimo che la riconducono al Mitraismo, la presenza di una diffusa simbologia Templare che induce a pensare che si trattasse di un vero e proprio presidio per i cavalieri, dati anche i numerosi pellegrinaggi dell’epoca verso la Terrasanta e la prossimità ai raccordi della via consolare Flaminia. Ricordiamo infatti che uno dei principali compiti di questo ordine cavalleresco era quello di proteggere i luoghi santi e i pellegrini che avessero intrapreso il viaggio verso Gerusalemme.
La Chiesa fu costruita ed eretta sopra un Mitreo sottostante probabilmente costruito all’incirca nel III secolo d.C. dagli abitanti dell’antica cittadina romana precedentemente gallica, dove peraltro ne doveva già esistere uno. Una diffusa presenza dei Mitrei, piccoli templi sotterranei caratterizzati da
una scarsa capacità di possibilità di accoglienza riservati alle poche persone iniziate al culto, si osserva nelle varie estensioni dell’impero Romano durante il II° secolo d.C., anche se il Mitraismo approda in Roma già dal I sec a.C.. E’ un culto misterico ristretto riservato a soli uomini iniziati, particolarmente diffuso tra i militari ma anche tra amministratori e burocrati, che si struttura su sette gradi di iniziazione.
Mitra è una divinità di derivazione persiana e zoroastriana, anche se il Mitraismo romano è a tutti gli effetti un culto misterico ellenistico. Veniva invocato dai persiani in occasione dei giuramenti, poiché, nell’antica lingua persiana, il termine Mithra significa etimologicamente il contratto verbale. Di conseguenza Mitra diviene, nelle sue varie accezioni, il “dio del patto”, e sotto questo aspetto, in una Roma caratterizzata da un alto grado di militarizzazione, riscuote un grande consenso tra i soldati. Mitra è anche un dio associato alla guerra ed è vittorioso. Ma Mihr significa anche Sole, e perciò il dio rappresenta anche il sole. Così in una doppia veste, come Mitra e come Sole, viene spesso raffigurato all’interno dei Mitrei, con queste due forme gemelle che si stringono la mano in un patto: da qui l’associazione al culto del Sol Invictus, a cui Mitra viene assimilato.
Il culto del Sole Invitto ha origini orientali e si diffonde nell’impero romano nel Duecento, a partire dall’iniziativa dell’imperatore siriano Eliogabalo che per diritto genealogico riceve anche il titolo di sacerdote del dio sole della sua città nativa, Emesa. Il Sol Invictus viene festeggiato il 25 dicembre, a ridosso del solstizio d’inverno, giorni in cui appunto il sole, reso debole dalle tenebre, ricomincia ad acquisire lentamente la sua luce ritornando vittorioso.
Dopo Eliogabalo, tale culto verrà più tardi ripreso dall’imperatore Aureliano. Anche Costantino, così come i precedenti imperatori citati, ne è seguace e utilizza il sole per la monetazione ufficiale; ma dopo la sua conversione al Cristianesimo, con un editto del 330, stabilisce la data di nascita di Gesù Cristo utilizzando una data pagana, il 25 dicembre, “Dies Natalis Solis Invicti”, che diviene il Natale cristiano. Da qui, l’identificazione del Cristo con il Logos solare, e la conseguente “cristianizzazione” del Mitraismo.

23/07/2018

Monastero di Santa Croce dei Conti Atti:
“nullus locus sine genio” (cit. Servio, commento all’Eneide)
E’ l’Appennino centrale, la zona preferenzialmente interessata dall’espansione del maggior numero di siti Camaldolesi, che cominciano a fiorire tra l’XI° e il XII° secolo nella fascia compresa tra Toscana, Umbria e Marche, a partire da quella che è la prima casa madre, l’Eremo di Camaldoli, creazione del finire della vita di un san Romualdo ormai stanco e malato, ispiratore-fondatore della congregazione monastica benedettina Camaldolese, ricongiunto a Dio nel 1024 ad un’età di all’incirca 74 anni.
Nel cuore e nella visione di questo grandissimo santo eremita errante, già monaco benedettino tormentato dalla condizione per lui caotica e corrotta del mondo, nonché dall’imperfetta aderenza all’osservazione della Regola di san Benedetto cui lui stesso appartiene e che professa, il maltrattamento della quale gli genera ricorrenti crisi e sofferenze, vi è forte la necessità e l’aspirazione a coltivare una forma di coesistenza tra il ritiro eremitico celebrato in seno alla natura e al silenzio proprio del monachesimo orientale dei Padri del Deserto, e la vita cenobitica tipica e centrale del monastero benedettino, microcosmo attivo e pulsante attrezzato di biblioteca, refettorio, dormitori, chiostro e foresterie. E’ a questa sintesi salvifica che egli aspira, ed è questa fusione che otterrà negli anni con il suo slancio, motivato forse più da una reale necessità di sopravvivenza e da una testimonianza della veridicità della sua fede, che da un progetto di idee, come spesso accade nella vita di molti santi che si trovano -proprio malgrado- a finire travolti da esigenze strutturali e terrene sulla via del proprio perfezionamento spirituale (vedi San Francesco d’Assisi un secolo più avanti). Solitudine e vita di comunità sono ben rappresentate anche in quello che diventerà il simbolo duale della congregazione Camaldolese: 2 colombe bianche s’abbeverano ad uno stesso calice, a suggellare la doppia natura della loro interpretazione e relazione col divino.
E quando di eremitismo e ritiro si parla, non si può non sviluppare il tema dei “luoghi dello spirito”: perché immersione silenziosa e sposalizio con la natura che è Madre, rivestono condizioni ideali per la collocazione del monaco che si è votato a Dio Padre, che gli ha concesso in cambio il dono più grande, la contemplazione ed esplorazione del Creato e della Terra, e, di conseguenza la loro cura. Il monaco perciò si ritira nel suo silenzio per ascoltare e contemplare il divino, protetto dal respiro della Creazione di Dio stesso.
La spiritualità dei Camaldolesi (e di conseguenza anche l’architettura dei loro monasteri) è fortemente influenzata dal rapporto con l’ambiente e la natura. Il legame con le foreste è fortissimo, in quanto esse rappresentano le entità garanti delle condizioni necessarie a preservare tranquillità e autonomia dei monaci: ritiro, silenzio, non ultime forme di autosufficienza, così come anche i
pascoli e i terreni vicini. I monaci Camaldolesi diventano curatori e preservatori delle foreste, fino a giungere ad un’identificazione spirituale strettissima con gli alberi, chiaramente espressa nel capitolo “De significatione septorum arborum” del “Liber eremiticae Regules” del XII secolo, nel quale si suggerisce al monaco di percorrere la via delle perfezione tramite l’imitazione-ispirazione diretta degli alberi. Facendo riferimento ai 7 alberi già citati nella Bibbia nel libro del profeta Isaia, si invita il monaco a:
-assimilare sé stesso al cedro del Libano per la fecondità delle opere e per fiorire nella letizia, essere sempre sincero e dignitoso;
-riparare e ripararsi per correggere adeguatamente la propria pratica e conversione così come il biancospino assicura la Vigna del Signore dalle incursioni degli intrusi per messo di siepi spinose; -ispirarsi alle proprietà sedative del mirto per la moderazione, mantenendo una certa sobrietà; -come l’olivo divenire messaggero di gioia, pace, consolazione e pietà;
-come l’abete svettare nell’altezza della propria contemplazione raggiungendo la Verità più elevata; -come l’olmo fungere da sostegno nel sorreggere il peso delle opere del Signore, trattandosi di una pianta spesso adoperata come tutore delle viti stracolme di grappoli;
-come il bosso rimanere basso e di un verde perenne, tale da conservare duratura la propria umiltà.
Il Monastero di Santa Croce, costruito per i monaci Calmadolesi provenienti dalla vicina Abbazia di San Vittore delle Chiuse già nel XII° secolo dai Conti Atti, signori del luogo e nobile famiglia di origine longobarda, è situato appena sopra il centro del comune di Sassoferrato (AN), alle pendici di un colle che si raggiunge tramite una stradina sterrata che si genera ed inerpica dopo aver abbandonato una strada senza nome che costeggia il torrente Sentino. La vallata su cui poggia Sassoferrato si estende tra altezze tra i 300 e i 400 m.s.m., ed è erosa da 3 torrenti di cui il maggiore è appunto il Sentino, ricco di trote, nel quale confluiscono gli altri 2, il Sanguerone e la Marena. Il fluire delle acque genera spontaneamente sulle sponde alberi come querce, faggi e orni.
Benché nei secoli la condizione delle colline sia inevitabilmente cambiata a causa dei mutamenti climatici, dell’avvicendarsi temporale delle storiche politiche dell’ambiente e delle trasformazioni edilizie, questo monastero rappresenta appieno, nella sua collocazione e identità, l’approccio spirituale della congregazione Camaldolese cui venne destinato: lo sposalizio con Madre Natura nell’adorazione di Dio Padre, e l’esigenza di ritiro e distanza dalle trappole effimere della mondanità pur costituendo una comunità autonoma quale in effetti un monastero poteva allora rappresentare, non solo per i monaci che lo popolavano, ma anche per i pellegrini e i viandanti.

I Monasteri Camaldolesi del tempo vennero infatti edificati in quegli anni nelle vicinanze delle principali vie consolari e romee o delle loro diramazioni, come ad esempio in questo caso. Nella fattispecie, dal Monastero di Santa Croce si poteva raggiungere la via Flaminia tramite il passo della Scheggia a circa 25 km di distanza. La via consolare Flaminia, che collegava Rimini a Roma, era spesso percorsa da pellegrini bisognosi di soste e riposo presso i monasteri incontrati sulla strada. E sempre tramite una bretella della Flaminia, non era infrequente l’itinerario opposto verso il porto di Ancona, in vista di imbarcarsi per la Terra Santa.
Colpisce oggi constatare come utilizzare espressioni tipiche del parlare contemporaneo, quali identificazioni popolari di questi eremi, monasteri e chiese in qualità di “luoghi dello spirito”, oppure riferimenti peculiari dell’architettura moderna rievocante il concetto di Genius Loci per alludere all’identità in senso lato e trasversale di un preciso luogo, equivalga letteralmente a trasporre o modernizzare - se non addirittura surrogare – un principio con il quale nella religione Romana era consuetudine rapportarsi: quel sacralizzare un determinato luogo identificandone l’entità o divinità associata deputata a proteggerlo (per l’appunto il Genio del luogo), a fronte di un sacro rispetto e devozione: giacché il Genio del luogo proteggeva sì il suo habitat, ma anche coloro che in esso vivevano. Un’eredità “pagana” che, anche se sotto differenti spoglie e reinterpretazioni, certamente anche la congregazione Camaldolese stessa colse e declinò pienamente, così come appena un secolo più tardi san Francesco d’Assisi, incastonando la voce eterna del divino e la fulgida bellezza della propria vicenda terrena e spirituale nel “Cantico delle creature”.
I rapporti col Genius Loci del Monastero di Santa Croce sono quanto mai stretti ed intrecciati: non solo in virtù delle sue mura pressoché millenarie intrise dell’eco di milioni di orazioni perpetue e di canti gregoriani salmodiati per centinaia di anni trasudanti il fervore di monaci e pellegrini; ma finanche per un sodalizio ben più antico e remoto saldamente intercorso col divino e suggellato in questo luogo, risalente appunto ad una civiltà precedente di quasi un millennio e ad una divinità più arcaica. Roma antica si palesa infatti nei vicini resti dell’antica cittadina di Sentinum, già citata nell’ambito delle cronache storiche del terzo secolo a.C. per la Battaglia delle Nazioni, e nella presenza sottostante la chiesa dell’abbazia di Santa Croce di un Mitreo, tempio cavernoso dedicato al dio Mitra. I Mitrei, la cui costruzione nell’ambito del dominio dell’impero Romano è collocabile tra il I e il III secolo d.C, epoca in cui fiorirono numerosi in tutto l’impero, vennero definitivamente chiusi nel 391 d.C. col decreto dell’imperatore Teodosio che bandì i culti pagani.
Quasi ben 2.000 anni di celebrazioni sacre, prima misteriche e poi pubbliche, emanano oggi, nell’anno 2018, da un medesimo luogo: il Monastero di Santa Croce dei Conti Atti di Sassoferrato.

Indirizzo

Sassoferrato

Telefono

+393488048170

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