Elisa Palumbo Psicologa

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Aimee è una liceale come tante che in "S*x Education" subisce una violenza.  Quell'aggressione sessuale subita non viene...
19/05/2025

Aimee è una liceale come tante che in "S*x Education" subisce una violenza.
Quell'aggressione sessuale subita non viene immediatamente vista e sentita come tale, viene negata e nascosta nella mente di Aimee.
La vicenda traumatica però inizia ad un certo punto a farsi spazio, nel corpo di Aimee. Inizia, infatti, ad avere dei sintomi che ne modificano il comportamento.
Il suo corpo sente che qualcosa si è spezzato, che un confine è stato violato, e inizia a rivivere il trauma prima della mente.
Aimee però, ad un certo punto, inizierà a condividere la sua esperienza ed a iniziare a vederla e viverla come violenza, aprendo un varco.
Inizia così un processo lento, faticoso, ma profondo: quello della presa di coscienza, della verbalizzazione del trauma, dell'integrazione tra mente e corpo.
Aimee comincia a mettere parole dove c’erano solo vuoti. Immagini dove c’era solo confusione. Emozioni dove c’era solo gelo. Inizia a integrare ciò che è accaduto nella propria storia, non più come ferita che spezza, ma come parte di sé che può essere curata.

Il percorso non sarà lineare, ma arriverà una trasformazione: mente e corpo potranno sentirsi all'unisono che cosa è accaduto e Aimee riuscirà così ad andare avanti.

La scena culminante è quella di Aimee che brucia i jeans (simbolo della violenza).Quel gesto, apparentemente piccolo, è in realtà un atto simbolico dirompente: rappresenta una rottura definitiva con l’oggetto che trattiene il ricordo traumatico. È un atto concreto che permette di liberarsi da un contenitore del dolore. Inoltre, è Aimee che adesso prende il controllo sul proprio corpo e sulla propria narrazione. Bruciare i jeans è un atto deliberato, compiuto da Aimee, per se stessa. È una scelta autonoma, non è vendetta, ma trasformazione.

Con la sua storia, S*x Education ci regala una rappresentazione profonda, delicata e potente dell’elaborazione di un trauma, in particolare quello di una violenza sessuale.

29/04/2025
✨ Dove non mi hai portata- Maria Grazia Calandrone Questo libro racconta la ricerca delle proprie origini della giornali...
22/01/2025

✨ Dove non mi hai portata- Maria Grazia Calandrone

Questo libro racconta la ricerca delle proprie origini della giornalista Maria Grazia per poi riuscire a lasciar andare e rinascere una seconda volta come figlia, madre e persona.
È una ricerca che diventa attiva, pratica, reale e concreta, ma che forse c'era già sempre stata, fin da principio, dentro il corpo e la mente dell'autrice che ne porta i segni fin dalla nascita dentro di sé. Una ricerca fatta di testimonianze tramite parole dette, non dette e parole scritte.

I suoi genitori biologici, Lucia e Giuseppe, l'avevano abbandonata a pochi mesi di vita, suicidandosi poco dopo. Era stato un caso di cronaca nella Roma degli anni 60.
Nella psiche dell'autrice qualcosa aveva già avuto inizio e origine, ora aveva bisogno di trovare una forma tramite la narrazione.
Scrive:" Scindersi dalla propria matrice diretta per poi vivere, soli come non siamo mai stati"
A volte è necessario riaprire alcune ferite, entrarci dentro per poi iniziare a sentire la possibilità di poterle curare fino a farle rimarginare.
La dedica iniziale è potentissima. Recita "Ogni cosa che ho visto di te, te la restituisco amata".
La ferita della madre è stata anche un po' la sua, quella di non sentirsi amata. Lucia, la madre, con l'abbandono ha salvato la figlia dalla morte. Maria Grazia, ha invece salvato Lucia, restituendole così la sua storia autentica.

Tutto ciò è scritto in un'atmosfera di compassione, coraggio, desiderio di sapere e sentire che assume la forma di una cura, intesa come "prendersi cura", che risuona anche come autocura.

Shameless Fiona Gallagher è una ragazza che fin da quando era piccola ha dovuto occuparsi dei suoi fratelli minori. Il p...
21/10/2024

Shameless
Fiona Gallagher è una ragazza che fin da quando era piccola ha dovuto occuparsi dei suoi fratelli minori. Il padre alcolista e la madre scomparsa e poi riapparsa, non sono state delle figure genitoriali sufficientemente buone.
All'interno di questo nucleo, Fiona è perciò quella che ha permesso agli altri minori di vivere e di stare al mondo. Lei, invece, ha potuto solo sopravvivere.
Ha lasciato la scuola per iniziare a lavorare, si è occupata della casa e della cura materiale e materna dei suoi fratelli, senza riuscire ad occuparsi però di sé stessa. Fiona avrebbe inoltre avuto diverse possibilità e vie d'uscita, ma non è mai riuscita ad imboccarne una. Rimaneva in quelle dinamiche perchè era bloccata anche dentro di sé. Non sapeva che cosa volesse e chi fosse. Era troppo piena e intrusa di cose altrui (aspettative, proiezioni, responsabilità ecc...).
Non aveva una funzione desiderante attiva perché troppo impegnata a sopperire ai bisogni di tutti.
Riesce infine a separarsi e darsi la possibilità di diventare soggetto, solamente dopo un periodo di crollo in cui aveva iniziato a fare abuso di alcol.

Fiona può personificare l'avvio del processo di soggettivazione. Questo interessa soprattutto i ragazzi nella fase adolescenziale, ma anche adulti che non sono riusciti a farlo prima. È un processo di progressiva acquisizione della capacità di riconoscersi come soggetto che sperimenta stati somatopsichici personali ed è portatore di desideri, impulsi, emozioni e pensieri (Ruggero, 2014). Rimanda alla capacità di rappresentarsi e riconoscersi, e di essere riconosciuto dagli altri, come individuo differenziato.

Fiona si differenzia e soggettivizza rispetto alla sua famiglia prendendo un volo aereo che le permetterà di scoprire se stessa.

Anche in terapia uno degli obiettivi con gli adolescenti è quello di aprire alla possibilità di sentirsi soggetto, a desiderare, a sentire, a pensare e a sognare in modo autentico e personale.

✨ Red è un cartone che narra la storia di una ragazza, Mei, che si sta avvicinando all'adolescenza. A Mei "tocca" un com...
18/06/2024

✨ Red è un cartone che narra la storia di una ragazza, Mei, che si sta avvicinando all'adolescenza. A Mei "tocca" un compito difficile: quello di fare i conti con un "mostro" transgenerazionale. Gli aspetti più pulsionali quali aggressività, rabbia, innamoramento (ecc..), nelle donne della sua famiglia sono rappresentati dalla loro trasformazione in un panda rosso che, diciamocelo, è tutto fuorché un'immagine che rimanda all'aggressività e alle pulsioni.
Tutte le donne della sua famiglia hanno dovuto, però, rinchiudere questi loro aspetti in monili di vario tipo perché non esprimibili e tollerabili né da sé stesse, né dall'altro, né dal loro contesto sociale di appartenenza. Mei, invece, inizia a sentire questi come parti di sé, a capire come prenderli, trattarli, ad addomesticarli e integrarli, tant'è che prenderà una scelta coraggiosa: quella di non relegarli in un ciondolo, ma tenerli con se. Spingerà anche le sue zie, sua nonna e sua madre a fare lo stesso e ad affrontare quel mostro transgenerazionale che poi tanto mostro non è.

Molto spesso anche i pazienti si fanno portavoce di "mostri" transgenerazionali che vogliono inizialmente sconfiggere e poi comprendere e accettare. È un lavoro di grossa responsabilità e con un carico non indifferente, ma che a volte smuove l'intero nucleo famigliare tramite il paziente stesso, come è successo in Red.

Mei: il panda è pericoloso, fuori controllo
Pd: parli come tua madre. Cosa ti ha raccontato del suo panda?
Mei: niente, non ne vuole parlare
Pd: faceva un bel po' di danni. Era enorme, un giorno stava per distruggere il tempio.
Mei: tu l'hai visto?
Pd: solo una volta, tua madre e tua nonna litigavano furiosamente
Mei: Per cosa?
Pd: me, la nonna non voleva saperne di me. Ma avessi visto la mamma. È stata incredibile.
Mei: ma sono un mostro
Pd: le persone hanno tutte molte sfaccettature, Mei, con aspetti parecchio complicati, a volte. Il punto non è scacciare il lato negativo, è trovargli un posto e conviverci.

Mei ha avuto bisogno di uno sguardo terzo, diverso dalla sua linea materna, per capire e sentire che cosa volesse realmente. In terapia lo sguardo "altro" può essere rappresentato dal terapeuta.

12/05/2024

All'interno del progetto Daimon, l'associazione La Voce di Elisa ODV propone due formazioni tutti i volontari, gli allenatori e i professionisti del settore.

Per iscriversi trovate il link nei commenti

Fondazione CRC
Educativa di Strada Savigliano
Città di Savigliano
Città di Saluzzo
Consorzio Monviso Solidale
VOCI ERRANTI ONLUS
Ratatoj

Winnicott in "Lo sviluppo emozionale primario" nel 1945 non a caso, secondo me, verso la fine della seconda guerra mondi...
07/05/2024

Winnicott in "Lo sviluppo emozionale primario" nel 1945 non a caso, secondo me, verso la fine della seconda guerra mondiale, scrive:
"C'è una gran parte di salute mentale che ha la qualità di un sintomo, essendo caricata di paura o negazione della follia, paura o negazione della capacità innata di ogni essere umano di diventare non integrato, depersonalizzato o di sentire che il mondo non è reale. La mancanza di sonno, oltre un certo limite, produce questi effetti in chiunque."

Con queste parole l'autore intende dire che ognuno di noi può sperimentare, nel corso della propria vita, sentimenti o sintomi che richiamano alla mente stati non integrati e sentirci poco presenti a noi stessi, in forme diverse. È per questo che le parole "matto" o "pazzo" non andrebbero più utilizzate poiché, come dice il Gatto di Alice, alla fine lo siamo un po' tutti e si tratta solo di processi di adattamento al mondo.

Dalì, il famoso pittore surrealista, utilizzava una tecnica che gli permetteva di viaggiare tra il mondo onirico e lo stato di veglia. Durante il sonno teneva in mano un cucchiaio che, non appena il pittore si addormentava, cadeva su un piatto. Il suono lo risvegliava e lui dipingeva. Induceva così uno stato alterato in cui si trovava tra la realtà e il sogno, in cui però era libero di viaggiare nella sua mente. Anche l'autore Lewis Carroll, non a caso, utilizzava un metodo simile.

"Saremmo davvero poveri se fossimo solo sani"
Winnicott, 1945.

Insieme alla mia collega Laura Fissore Psicologa   ho partecipato alle giornate seminariali del Liceo Soleri-Bertoni di ...
22/02/2024

Insieme alla mia collega Laura Fissore Psicologa ho partecipato alle giornate seminariali del Liceo Soleri-Bertoni di Saluzzo, proponendo un intervento sulla salute mentale e la professione dello psicologo.
Non essendo riuscite a rispondere a tutte le domande, utilizziamo questo canale per dare la possibilità a tutti di avere una risposta.

Beautiful boy è la storia di una relazione tra padre e figlio in un momento di difficoltà dovuto alla tossicodipendenza....
14/02/2024

Beautiful boy è la storia di una relazione tra padre e figlio in un momento di difficoltà dovuto alla tossicodipendenza. È un film doloroso, ma estremamente potente nei significati. Ve ne propongo uno che magari qualcuno ha colto e qualcun'altro, invece, non ritroverà nemmeno. L'occhio che guarda è soggettivo, come lo sono anche il cuore e la mente.
È la storia di un papà che ha sempre considerato suo figlio come il bambino perfetto, un vero e proprio "beautiful boy". Ma è anche la storia di un figlio che ha dovuto fare i conti con un papà altrettanto ideale.
Nel corso del film i due hanno dovuto lasciare l'idealizzazione reciproca tra padre e figlio per diventare umani e, quindi, fragili.
Il padre a fine film arriva ad una conclusione brutale, ma reale.

Md: ha chiamato Nick. Morirà se non facciamo niente.
Pd: Beh, morirà anche se facciamo qualcosa. Niente ha effetto su di lui. Ho fallito.
Mde: lo so che ti vergogni. Anche io. Ma sei stato bravissimo [...]
Pd: non si può salvare la gente.

Steve Carell in questo dialogo ammette a se stesso che non è onnipotente, che non può incidere e controllare tutto. Questo è il passaggio in cui il padre riconosce la sua umanità e, quindi, anche la sua impotenza. Lascia andare la sua maschera di padre perfetto, supereroe e viene in contatto con il suo dolore e le sue fragilità, con il fatto di avere fallito.
La scena finale è potentissima: padre e figlio seduti in silenzio. In quel silenzio e in quella commozione c'è però il riconoscersi reciprocamente nelle proprie fragilità. Solamente quando il padre ha sentito le sue debolezze, anche il figlio ha potuto farlo, riesce così a lasciare l'identità di figlio perfetto pur rimanendo, per entrambi, un beautiful boy.

È un film che ci parla di immagine perfetta e del suo adattamento al reale. È un film che ci parla di resa, di resa al dolore. Solamente infatti quando questo viene sentito e ci si arrende, avviene una trasformazione. È un viaggio verso il dolore, è un lutto identitario che porta però a riconoscersi nelle fragilità e bisogni. Un riconoscersi nel silenzio.

In questo libro il protagonista costruisce un rifugio per la sua tristezza che è un posto sicuro dove può stare comoda, ...
22/01/2024

In questo libro il protagonista costruisce un rifugio per la sua tristezza che è un posto sicuro dove può stare comoda, ma allo stesso tempo anche un posto da cui può anche uscire.
La tristezza nel libro prende vita e diventa qualcosa da custodire e da proteggere. La nostra tristezza non sempre va allontanata, ma anche accolta e protetta.
A volte, infatti, tentiamo di negarla o nasconderla per allontanarla dal nostro sentire. Le sensazioni di tristezza profonda per difesa possono essere trasformate in altro per essere sentite come più tollerabili.
Ad esempio molti bambini possono agire la tristezza in modo maniacale e quindi dar vita ad una sintomatologia opposta o distante rispetto alla tonalità emotiva tipica della tristezza (ad esempio comportamenti iperattivi)
Altri, invece, possono presentare dei sintomi somatici (mal di testa, mal di pancia, ecc...). Questo può accadere da bambini, ma anche da adulti.
È importante perciò non negare o tenere relegata in un rifugio la tristezza, ma riuscire ad accoglierla e valorizzarla come tutte le emozioni e considerarla anche come qualcosa di cui abbiamo bisogno. La tristezza infatti ha un valore comunicativo.

Anche in terapia molte volte gli aspetti che riguardano il versante più depressivo possono essere inconsciamente e difensivamente nascosti, negati.
Nella stanza di terapia però è importante dare voce e spazio a questi, in modo che la tristezza possa sentirsi accolta e comoda seduta sulla poltrona della stanza reale ma anche sulla poltrona che ognuno di noi le deve creare dentro di sé, nella stanza interna.


"Posso farle visita quando ne ho bisogno. Ogni volta che mi chiama.
E, quando vuole, lei può uscire dal suo rifugio e prendermi per mano"

Bleger nel 1967, teorizza il concetto di deposito. "Nel legame affettivo possono essere depositate parti di sé estremame...
03/01/2024

Bleger nel 1967, teorizza il concetto di deposito.

"Nel legame affettivo possono essere depositate parti di sé estremamente primitive, ovvero parti carenziate, molto bisognose o sensibili. In caso di una separazione viene meno il contenitore che le aveva fatte emergere, ma anche che le conteneva al tempo stesso e possono arrivare vissuti imprevedibili. Possiamo pensare che se un bambino ha avuto una sofferenza nelle relazioni primarie, un trauma relazionale, da adulto, in una relazione, può sentire i bisogni contenuti, bonificati ma può anche fare esperienza di aspetti di sé che non sa neppure che cosa fossero. Se c’è una separazione il soggetto può non essere in grado di maneggiarli, gli mancano gli strumenti psichici e può arrivare a distruggere, uccidere chi li ha prima accolti e poi abbandonati.

La violenza ha a che fare sempre con le difficoltà di simbolizzazione, ad un certo punto manca il pensiero. Forse i problemi sono sul piano della separatezza e dell’autonomia, da cercarsi nelle fasi precoci della relazione fra il bambino e il suo ambiente di vita."

L'altro può diventare quindi depositario di parti di noi che, a volte, disconosciamo o non percepiamo come nostre perché sentite come scomode o intollerabili. Queste parti vengono contenute dall'altro, ma se quest'altro poi si allontana le nostre parti rimangono senza un contenitore e quindi libere e potenzialmente di difficile gestione. In questi casi, la separazione diventa intollerabile poiché è intollerabile ve**re a contatto con queste nostre parti ora non più contenute e disturbanti.

È quindi necessaria un' integrazione tra le parti, tra dipendenza e autonomia e tra i vari tipi di distruttività in primis nel nostro mondo interno.

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