18/08/2025
Nella cucina di mia nonna non c’era frigorifero, né bottiglioni blu, né bottiglie d’acqua allineate come soldati su uno scaffale.
C’era una brocca di terracotta, grande, silenziosa, con la bocca coperta da un semplice panno pulito.
Da bambino rimanevo a guardarla. Mi affascinava quel mistero: com’era possibile che l’acqua fosse così fresca, così delicata, senza ghiaccio e senza elettricità?
Un giorno, mentre lei riempiva il mio bicchiere, le chiesi:
— Nonna, perché l’acqua di qui ha un sapore diverso?
Lei sorrise, e con la calma di chi ha vissuto a lungo, mi mostrò il segreto.
Mise la mano nella brocca e tirò fuori una pietra rotonda, grande quanto il palmo della sua mano.
— Questa pietra ha viaggiato più di te e di me messi insieme. È venuta dal fiume, l’ho lavata, bollita e messa qui dentro. L’acqua la riconosce… e si calma.
Mi spiegò che la terracotta respirava, che lasciava passare l’aria e manteneva l’acqua viva, come se scorresse ancora nella corrente.
Che le pietre non davano soltanto minerali, ma anche memoria.
— L’acqua che passa per la pietra e la terracotta non marcisce, non diventa amara. Diventa medicina — disse.
In quel momento non capii del tutto.
Ma con gli anni, quando sostituimmo la brocca con la plastica e la pietra con il nulla, lo compresi.
L’acqua aveva perso la sua anima.
Oggi, ogni volta che bevo acqua col sapore di cloro, chiudo gli occhi e ricordo il tocco delicato del bicchiere di terracotta sulle labbra, quella freschezza che sembrava provenire da una sorgente segreta.
E capisco che mia nonna non mi ha soltanto dissetato… mi ha insegnato che la terra e la pietra custodiscono vita.
Forse è tempo di tornare.
Non per nostalgia.
Ma perché ci sono cose che la modernità non sa imitare.