04/09/2022
Se sai come soffrire, soffri molto meno
Thich Nhat Hanh
Trasformare la sofferenza
di Mauro Colombo
Ricoverare una persona in RSA, dopo averla assistita, non è affatto una iniziativa semplice. Lo testimoniano il frequente aumento di ansia e depressione in chi ha preso tale decisione, con riscontro nel ricorso alla psicofarmaco terapia: alcuni studi riportano stabilità nella assunzione di antidepressivi [da 21,1 % a 17,9 % (differenza non statisticamente significativa)], ed incremento significativo degli ansiolitici [da 14,6 % a 19 %], dopo il ricovero. D’altra parte, se consideriamo che 3/5 delle persone istituzionalizzate hanno 85 anni e più, ne consegue che i familiari che se ne prendono cura sono spesso a loro volta persone adulte mature, magari gravate dai propri problemi di salute, e sovente impegnate nel doppio fronte – e doppio duolo – di figli e genitori contemporaneamente: la cosiddetta “generazione a sandwich”. L’istituzionalizzazione di una persona cara rischia di sottrarre uno scopo nella vita di chi se ne era preso cura, esponendo quest’ultima figura al rischio di una depressione clinicamente rilevante quasi nella metà dei casi. Le persone più esposte al rischio di ansia e depressione risultano essere i coniugi – specie le mogli – o le figlie, ed i parenti che sono meno soddisfatti delle cure prestate al congiunto, o coloro che si recano con maggiore frequenza a visitarlo – sentendosene costretti dalla sfiducia verso la struttura di destinazione. Esperienze negative precedenti alla transizione giocano un ruolo critico nei confronti della salute mentale di chi ha assistito: in particolare, sentirsi abbandonati nel momento di prendere una decisione, sentirsi istigati a ricoverare da parte dei professionisti, o non sentirsi apprezzati nella propria attività di cura. Molti neo-residenti e loro familiari condividono l’impressione che la decisione sul ricovero sia stata presa in modo affrettato e tumultuoso, in carenza di informazioni preliminari. Eppure il modo in cui i parenti vivono il momento della istituzionalizzazione di una persona cara è suscettibile di ve**re modificato positivamente, come indicato da una rassegna [ #] che ha preso in considerazione 17 studi qualitativi e 6 quantitativi; tali 23 studi hanno coinvolto parecchie nazioni. Sono emersi importanti fattori protettivi che la struttura di accoglienza può giocare nei confronti del carico assistenziale oggettivo e soggettivo dei familiari, e della loro qualità di vita:
mettere a disposizione – prima del ricovero informazioni sulla struttura e sulla sua reputazione – e fornire attivamente – a ricovero avvenuto – notizie sull’ambientamento del congiunto: tale flusso di informazioni viene percepito come “una testimonianza di fiducia e rispetto” [traduzione letterale]
sostenere i parenti regolarmente durante le loro visite: tale investimento in tempo ed energie si riflette in minore sensazione di isolamento da parte del residente, ed in apprezzamento da parte dei parenti verso una simile onesta trasparenza
aiutare i parenti – altrimenti portati a percepirsi come “traditori” del parente “abbandonato” ad assumere un nuovo ruolo: diventare parte della squadra di cura, nella parte del soggetto informato su caratteristiche, esigenze e preferenze del residente, al fine di offrirgli la migliore assistenza possibile, all’interno di una auspicata continuità della cura fra fase domiciliare e fase istituzionale