
04/07/2025
🧠✨ Ieri, durante una giornata di formazione in Psico-Oncologia al Policlinico, ho incontrato un concetto che mi ha profondamente colpita: la speranza.
Per molto tempo ho pensato alla speranza come a qualcosa di “spirituale”, quasi mistico. Un atto di fede che va oltre di noi, oltre le nostre possibilità. Un movimento passivo, che semplicemente accade.
Ma ieri ho avuto uno scarto di prospettiva.
➡️ Ho scoperto una visione diversa: la speranza come costrutto attivo, qualcosa che non accade e basta, ma che si attiva attraverso noi stessi.
Con strategie.
Con obiettivi.
Con motivazione.
E allora mi è venuto spontaneo pensare ai pazienti in terapia:
molti iniziano il loro percorso proprio grazie alla speranza.
Non solo quella cieca, ma quella che si costruisce passo dopo passo.
Quella che si allena.
Che si nutre di senso.
Che ha direzione.
💬 Credo davvero che la speranza non sia solo qualcosa in cui si crede, ma qualcosa che si sceglie.
È una forma di responsabilità emotiva, una decisione consapevole di guardare avanti anche quando il presente sembra immobile.
Non si tratta di “pensare positivo” a tutti i costi, né di negare la sofferenza.
Si tratta, piuttosto, di dare un senso alla direzione che scegliamo di prendere, anche nei momenti di grande vulnerabilità.
🎯 Quando un paziente entra in terapia, spesso non ha ancora parole per dire cosa spera. Ma la speranza è lì, magari fragile, silenziosa… eppure è proprio quella che dà il primo passo.
Ed è lì che il lavoro psicologico inizia: nel riconoscere, sostenere e rafforzare quella spinta.
La speranza, quindi, non è un lusso.
È una risorsa interna.
È una bussola.
Ed è, soprattutto, un processo che possiamo aiutare a costruire insieme.
🧩 Questo mi ha ricordato che il nostro lavoro come psicologi non è solo ascoltare o contenere: è anche aiutare le persone a immaginare alternative, a trovare percorsi dove sembrano esserci solo vicoli ciechi.
🌱 E in questo senso, la speranza è forse una delle forze più terapeutiche che esistano.