
18/07/2025
🌅 Stamattina, mentre stavo studiando, mi sono imbattuta in una frase che mi ha fatto partire un loop mentale nel quale ultimamente mi trovo spesso.
♾️ A dire il vero il loop è partito tutto qualche tempo fa, quando ho cominciato a raccogliere le idee per preparare la Formazione Insegnanti di Yoga Nidra, ma si è ripresentata prepotente ora, mentre sto raccogliendo le idee e il materiale per preparare il modulo di approfondimento sul Pranayama.
↔️ Il concetto è molto semplice: l’uomo moderno tende a confondere la tecnica con lo stato e a ridurre quest’ultimo in una serie di istruzioni aride e schematiche che vengono prese e applicate così come sono a tutti, indistintamente.
💡 Mi spiego meglio. Lo Yoga Nidra è uno stato, lo stato di Yoga Nidra appunto, ma nel tempo è diventata una tecnica ben definita e cristallizzata in una sequenza che “va fatta così, a questo ritmo, con questa voce, con queste parole”. Stesso destino è toccato al Pranayama, definito da Patanjali come la cessazione del movimento di inspirazione e espirazione, ma spesso diventato un conteggio che si srotola tra inspirazioni, ritenzioni e espirazioni che impegnano così tanto il praticante che, per paura di perdersi, smette di ascoltare l’effetto e si concentra solo sulla tecnica.
🤯 Ecco, mi sembra che spesso la nostra testa iper-razionale, schematica e a caccia di ancore di salvezza si perda nell’esasperazione della tecnica a discapito della sostanza: osservarsi, osservare quello che accade tra un numero e l’altro, tra un’inspirazione e un’espirazione, in quell’attimo di sospensione che si espande per diventare tempo infinito per poi tornare a essere “adesso”.
😌 Una volta raggiunto lo stato di quiete, di sattva, il lavoro è fatto. Che importanza ha se ci fermiamo a 3,5 o a 8?