Una questione di spirito

Una questione di spirito Essere consapevoli di Sé come Persona intera, unità globale di corpo, mente, anima e spirito. Il mio modo di concepire il lavoro è come spirito di servizio.

Il tradizionale modo di concepire l'uomo come dualità corpo-mente ha mostrato i suoi limiti, non basta più a rispondere alle esigenze di salute e benessere che le potenzialità scientifiche e tecnologiche promettono (illusoriamente) di soddisfare. La separazione della dimensione fisica da quella psichica condanna le persone all'impossibilità di dare senso al disagio e alla malattia, sia che si mani

festi a livello somatico che mentale. I problemi dell'uomo non stanno o nel corpo o nella mente (aut-aut), ma in entrambi i livelli (et-et), ossia nell'unitarietà della persona intera. Questo passaggio, che pur solo teoricamente è oggi acquisito (nella pratica clinica, le persone devono ancora rincorrere le risposte ai loro disagi portando il loro corpo - o meglio, "parti" o organi separati - da uno specialista all'altro; e lo stesso vale sul versante della psiche), da solo tuttavia non basta. In ogni sofferenza, sia essa fisica o psicologica, si coglie nella narrazione della persona un senso profondo di incompletezza. Il corpo e la mente, finalmente uniti, anelano ad una superiore sintesi, a dare un "significato compiuto" alla sofferenza, a ritrovare finalmente il proprio "scopo di vita". Questa aspirazione, questo impulso vitale, che da sempre ha caratterizzato la ricerca dell'uomo per avere risposte di senso al vivere quotidiano, rimanda inevitabilmente alla dimensione "spirituale". Questa ricerca, ancora una volta con un'ennesima separazione, è stata da sempre appannaggio della filosofia e delle religioni. La dimensione dello "spirito" (o dell'anima, a seconda delle accezioni che si ritrovano nelle letterature di sempre, in ogni angolo del nostro mondo) si pone gerarchicamente come generatrice di senso, fornendo una prospettiva anche alla sofferenza e alla sua possibile “guarigione”. Nessun equivoco "religioso" dunque: questo approccio spirituale alla?sofferenza non si confonde con alcuna religione, considera l'uomo nella sua interezza "fenomenologica" (bio-psichico-sociale e spirituale), attingendo agli sviluppi di diverse discipline, sia umanistiche che naturali. L'allineamento del Sé ontologico allo scopo di vita personale, attraverso una integrazione fra dimensione fisica (corpo), psichica (mente) e spirituale (anima), è indifferente dalle visioni personali dei singoli; è dunque un approccio rispettoso degli orientamenti "ideali", culturali e religiosi di tutti. Il riferimento è ai valori universali come "competenze emotivo-affettive comuni a tutti gli uomini (Fornari). Un nuovo paradigma "olistico" si va dunque imponendo, da non confondere necessariamente (e superficialmente) con quel mondo "new age", che alla faccia dell'unitarietà e dell'olismo, va proclamando mille e più tecniche miracolistiche di guarigione e di salvezza! La P.N.E.I. - Psico-neuro-endocrino-immunologia è la più recente risposta integrata, della medicina e della psicologia, ai bisogni di salute dell'uomo d'oggi, in un mondo globale vicino al "punto di svolta", che più estesamente deve ritrovare la sua rotta e la sua direzione, per scongiurare un (possibile, prossimo venturo) cataclisma antropologico. La mia presenza qui sul web vuole essere una testimonianza in questa direzione. Il mio personale approccio metodologico, sintesi di diverse discipline, va nella direzione del superamento del dogmatismo e dell'ortodossia scientifica e si propone a contrasto di ogni pretesa di "potere" e di egemonia delle cosiddette scienze ufficiali. Integrazione teorica e tecnica non vuol dire affatto eclettismo o improvvisazione. Il tutto condito anche con un po' di sano "spirito", nell'accezione etimologica di humor, ironia (ed autoironia), che non solo non guasta mai, ma che anzi consente di affrontare con la necessaria serenità e leggiadria (che non è leggerezza...) anche gli argomenti più impegnativi e sensibili della nostra esistenza mondana. "Sursum corda", in alto i cuori e proseguiamo...

11/07/2025
TOLLERANZA E PAZIENZA È finito il tempo
18/06/2025

TOLLERANZA E PAZIENZA

È finito il tempo

Giunti ad una certa fase della vita credo sia opportuno liberarsi di tante zavorre, tante ipocrisie e tanti inutili mediazioni sociali.

A MIA MADRE Nel giorno della festa della Mamma“Tutte le madri senza saperlo assomigliano a Maria, la madre di Gesù. Cred...
11/05/2025

A MIA MADRE
Nel giorno della festa della Mamma

“Tutte le madri senza saperlo assomigliano a Maria, la madre di Gesù.
Credono che i figli glieli ha portati un Angelo e che la loro nascita sia un miracolo.
E che una volta cresciuti sarebbero stati buoni e giusti, si sarebbero schierati dalla parte dei deboli e avrebbero consolato il dolore degli altri.”
(G.M. Garzo)

Al di la della ricorrenza mondana,
ennesimo pretesto consumistico, possiamo senz’altro convenire che l’annuale richiamo alla mamma potrebbe essere la sola festa laica ad avere, al tempo stesso, anche una profonda valenza “spirituale”.
È stata mia madre che mi ha insegnato l’alfabeto delle emozioni e dei sentimenti.
Non solo l’amore, ma anche l’abbandono e la disperazione.
Nel suo abbraccio, ogni paura si è dissolta.
L’angoscia è svanita ed è diventata gioia.
La mamma è l’affanno e la cura insieme.
Nelle sue braccia, nell’incontro reciproco dei nostri sguardi, ho imparato l’empatia, ad entrare ed uscire con delicatezza “dentro” l’anima degli altri.
È così che sono diventato psicologo; ed è per questo che non “faccio” lo psicologo, ma “sono” psicologo.
Mia madre mi ha tenuto per mano solo per un breve periodo, ma il suo cuore vibra ancora nel mio, come in un abbraccio infinito.
La sua anima mi accompagnerà per sempre.
Dopo di lei, non c’è più né nascita né morte, c’è solo l’eternità.

A MIA MADRE Nel giorno della festa della Mamma“Tutte le madri senza saperlo assomigliano a Maria, la madre di Gesù. Cred...
11/05/2025

A MIA MADRE
Nel giorno della festa della Mamma

“Tutte le madri senza saperlo assomigliano a Maria, la madre di Gesù.
Credono che i figli glieli ha portati un Angelo e che la loro nascita sia un miracolo.
E che una volta cresciuti sarebbero stati buoni e giusti, si sarebbero schierati dalla parte dei deboli e avrebbero consolato il dolore degli altri.”
(G.M. Garzo)

Al di la della ricorrenza mondana,
ennesimo pretesto consumistico, possiamo senz’altro convenire che l’annuale richiamo alla mamma potrebbe essere la sola festa laica ad avere, al tempo stesso, anche una profonda valenza “spirituale”.

È stata mia madre che mi ha insegnato l’alfabeto delle emozioni e dei sentimenti.
Non solo l'amore, ma anche l’abbandono e la disperazione.
Nel suo abbraccio, ogni paura si è dissolta.
L'angoscia è svanita ed è diventata gioia.
La mamma è l’affanno e la cura insieme.

Nelle sue braccia, nell'incontro reciproco dei nostri sguardi, ho imparato l'empatia, ad entrare ed uscire con delicatezza "dentro" l'anima degli altri.
È così che sono diventato psicologo; ed è per questo che non “faccio” lo psicologo, ma “sono” psicologo.

Mia madre mi ha tenuto per mano solo per un breve periodo, ma il suo cuore vibra ancora nel mio, come in un abbraccio infinito.
La sua anima mi accompagnerà per sempre.

Dopo di lei, non c’è più né nascita né morte, c’è solo l’eternità.

Roberto Calia

LIBERTÀ Quale liberazione? “Nessuno è libero se non è padrone di se stesso” (Epitteto). La libertà è concepita, in gener...
25/04/2025

LIBERTÀ
Quale liberazione?

“Nessuno è libero se non è padrone di se stesso” (Epitteto).

La libertà è concepita, in genere, come uno stato di assenza assoluta di vincoli o limitazioni. È chiaro che questa idea di libertà è in realtà un mito o un'illusione romantica.
Non esiste una libertà "assoluta". Siamo esseri relazionali e viviamo tutti in rapporto con altre persone e la realtà esterna. Il "vincolo sociale" implica, come minimo comune denominatore, la condivisione di norme, convenzioni, consuetudini, che in sé sono funzionali a regolare i rapporti fra le persone nel contesto sociale.
In origine, questi vincoli erano stati posti come limitazione condivisa della libertà assoluta degli individui, per il cosiddetto bene comune. Le cose si sono complicate quando sono subentrate le istituzioni sociali, che con il tempo hanno finito con il perdere la funzione di protezione per cui sono nate e sono diventate “sovrastrutture", al di sopra delle persone. Istituzioni o organizzazioni sociali limitano la libertà di movimento degli individui “a prescindere”, dettando regole che il più delle volte con l'interesse vero delle persone hanno ben poco a che fare. Diventano cioè strutture sociali perverse, nel senso che hanno invertito il loro scopo originario di essere al servizio delle persone. Anziché assicurare il benessere e la libertà relativa, finiscono col diventare limitazioni della autonomia delle persone.

Secondo Fromm, l’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura perché la libertà lo obbliga ad assumersi delle responsabilità: per mantenere la propria indipendenza deve continuamente fare scelte e prendere decisioni. E tutto ciò comporta rischiare. Per questo desideriamo la libertà e nello stesso tempo ci creiamo mille fughe per evitarla. Ci piace fantasticare sulla libertà piuttosto che costruirci le condizioni concrete di una relativa autonomia dagli inevitabili vincoli con la nostra realtà quotidiana.

Che fare allora? Io credo che la sola libertà oggi possibile sia quella interiore. Un funzionale adattamento alle norme sociali, accompagnato da una equilibrata distanza dalle pressioni "normative" del sistema sociale.
Il paradosso è che l’aspirazione massima della maggior parte della gente sembra esser diventata oggi quella di essere liberi dagli impegni che ci opprimono, per potersi poi occupare delle cose che più ci piacciono.Fino a diventarne praticamente schiavi. Per molti la libertà diviene soltanto ”la facoltà di scegliere le proprie schiavitù” (G. Le Bon). L'aspirazione ad un'illusoria libertà dai doveri, diviene così, di fatto, dipendenza di fronte ai piaceri. Una sorta di “libertà condizionata” che ci siamo imposti inconsapevolmente.

La vera libertà è una questione più mentale che materiale. Questo significa attrezzarsi di una solida struttura mentale, in grado di essere quel tanto impermeabile alla pervasività del mondo sociale.
Gli Altri esistono e vengo a patti con loro. Sono anch'io "altro” per loro, ma cerco almeno di essere “padrone in casa mia”, ossia nella mia testa. Penso e agisco in prima persona. Difendo la mia conquistata autonomia, non accetto invasioni eccessive, ma soprattutto vigilo per non essere dominato e manipolato.

"La libertà non è solo rosa e fiori: essere liberi vuol dire non avere guide, vuol dire non sapere se il tuo prossimo passo sarà giusto, sbagliato o addirittura fatale.
Essere liberi significa cadere
più degli altri, e farsi male più degli altri: ci vuole un gran coraggio a essere liberi” (M. Dalcesti).

In sintesi, conosco allora una sola libertà, e questa è la libertà della mia mente. Essere liberi non significa non credere in nulla, o non essere legati a nessuno. Vuol dire anzi riporre fiducia in moltissime cose; talmente tante da evitare di cadere nella tentazione di una cieca obbedienza anche ad una sola di esse.
Bisogna soprattutto avere fede nella relazione con l’altro, riconoscendo in ciò il fondanento dell’umano. Anche se, affinché le relazioni fra le persone possano diventare significative e gratificanti, bisogna che siano opportunamente selezionate e coltivate. E quindi essere fondate sulla reciprocità e sulla simmetria.

Roberto Calia

[Chi volesse approfondire trova qui l’articolo completo:
http://www.robertocalia.it/liberta/ ]

La libertà non consiste nel poter fare tutto ciò che ci piace, ma ciò che è bene. Dalla volontà di potenza al potere della volontà.

20/04/2025
RESURREZIONEIl significato terreno della Pasqua“Ognuno di noi ha il suo macigno. È il macigno della solitudine, della mi...
20/04/2025

RESURREZIONE
Il significato terreno della Pasqua

“Ognuno di noi ha il suo macigno. È il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione e del peccato.
Pasqua è la festa dei macigni rotolati. Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno.
E se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo.” (“Pasqua, festa dei macigni rotolati” – Don Tonino Bello)

Il tema della resurrezione riguarda tutti, credenti e non. Per gli atei, l’idea della resurrezione è solo un’illusione, un’ingenuità di persone poco inclini a piegarsi alla razionalità materiale. Per i credenti, i cristiani in particolare, la resurrezione è una certezza, la ricompensa futura dell’adesione alla fede in Dio. Da angolature opposte entrambi rischiano di perdere l’occasione di pensare alla resurrezione come evento concreto, mondano, della nostra vita attuale.

“La resurrezione non vuol dire prendere le molecole del corpo e portarle altrove. Vuol dire entrare in una modalità nuova di esistenza. Siamo chiamati a diventare spirito, cioè quell’energia che il nostro corpo deve pian piano far sorgere come strutture di una modalità nuova di esistenza, che non sappiamo cosa sia” (C. Molari).

Esiste allora la possibilità di una resurrezione terrena che è il RINNOVAMENTO della nostra vita, la capacità di portare i CAMBIAMENTI necessari a rendere la nostra esistenza una “vita buona”, piuttosto che una “vita alla buona”, una vita degna di essere vissuta. Una rinascita certamente faticosa, ma sempre possibile.
“Pasqua sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi” (T. Bello).
Bisogna dunque osare, ri-creare le condizioni affinché la vita ci mostri come fare e cosa fare per rinnovarci, tornare cioè a riassaporare le aspirazioni smarrite, i desideri sopiti, con tutta la forza necessaria per poterli (finalmente) realizzare.

Il destino può segnare la trama della nostra esistenza, ma lo sceneggiatore, il regista e l’attore principale della nostra vita siamo pur sempre noi. Meglio allora essere il protagonista della nostra storia, piuttosto che la comparsa di una vita decisa da altri.
Osa dunque: sposta ciò che ti opprime. Fa’ che la vita di mostri la tua rinascita. Il destino traccia la trama, tu puoi riscrivere il finale: non la fine, ma il capitolo finale della tua vita su questa terra!

“Risorge chi ha la forza di ribaltare una situazione negativa; chi ha il coraggio di vedere la farfalla al di là del bruco; chi decide di prendersi cura di se stesso; chi naviga nella tempesta tenendo ben salda la nave; chi con pazienza rompe il guscio per affacciarsi al mondo; chi non si arrende e ogni giorno combatte la propria battaglia come può; chi cade a terra e trova la forza di rialzarsi; chi apre le braccia al mondo e vola alto come la colomba; chi ama la vita al punto di essere contagioso; chi nel buio ha il coraggio di accendere la luce per vedere cosa c’è e farsi strada meglio; chi con umiltà si aggrappa ad una mano tesa. Risorge chi ama e porta speranza là dove manca” (M. Guerra).

Il significato ultimo della resurrezione di Cristo è la salvezza. Il senso umano della resurrezione su questa terra è il rinnovamento materiale e spirituale della nostra vita.
Tutti possiamo credere in questa Pasqua.

Roberto Calia

IL SENSO DEL DOLORE Passione e morte di Gesù "... io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e dò compimento a ...
18/04/2025

IL SENSO DEL DOLORE
Passione e morte di Gesù

"... io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e dò compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne..." (Col 1,24).

L'accettazione del dolore, della sofferenza, della malattia e della morte manca del tutto nella cultura laica, ossessionata dalla frenesia del piacere e dall'obbligo della felicità.
Il significato ultimo del dolore vacilla spesso anche in molti cristiani, così misericordiosi quando si tratta del dolore degli altri, ma pronti ad incolpare Dio quando qualche evento drammatico colpisce la loro vita. Di fronte al dolore la domanda ricorrente è: "Perché proprio a me?...". Come se la sofferenza, pur suscitando stupore e compatimento, fosse ancora concepibile se riguarda gli altri, diviene semplicemente "cronaca", evento comune della vita quotidiana.
Ma quando tocca a noi, diventa invece assurda, inconcepibile, inaccettabile, "destino avverso"! Quando il dolore ci tocca, sembriamo tutti stranamente concordi: "Se esiste Dio, se Gesù si è fatto uomo, è morto ed è risuscitato per la nostra salvezza, perché esiste il dolore, perché Dio permette tante disgrazie e nefandezze di cui è costellata la nostra esistenza?”
Rifiutiamo così di comprendere che, nella sofferenza inevitabile della nostra esperienza terrena, determinata il più delle volte da uno scriteriato uso del "libero arbitrio", noi abbiamo comunque la possibilità di portare a compimento la nostra missione terrena per noi e per gli altri; evocando in ciò metaforicamente l'opera salvifica del Figlio dell'Uomo.
Altro che masochistico compiacimento della sofferenza e dell'elevazione del sacrificio a feticcio narcisistico! Una cosa è "amare" il dolore come strumento masochistico di espiazione della colpa; altra cosa è l'accettazione consapevole della sofferenza come passaggio ineludibile della vita.
Una “porta stretta" per confermare l'adesione alla vita e per ritrovare la via della gioia, qui non altrove, su questa terra e non solo nell'eternità.

Quando la sofferenza bussa alla nostra porta abbiamo dunque l'occasione di condividere il senso di una esperienza universale.
La "chiave simbolica” di questo comune patire è rappresentato dalla croce di Cristo. Il “pathos” che singolarmente siamo costretti ad affrontare trova nell'opera redentrice di Gesù un nuovo contenuto e un nuovo significato.
Nella croce di Cristo ogni sofferenza umana ha acquistato una possibilità di senso. Con la passione di Gesù non solo si compie la redenzione mediante la sofferenza, ma la stessa sofferenza umana viene redenta.
Questo però non vuol dire che per il cristiano la sofferenza sia l'elemento centrale. In ogni parte dei Vangeli, le dimensioni dell'amore, della gioia e della condivisione sono presenti in abbondanza. Solo chi è in "mala fede" non le vede, o finge di non vederle.
Non è dunque la sofferenza il fine, ma l’Amore. In questo Amore il significato salvifico della sofferenza raggiunge il suo apice e si realizza fino in fondo. Questo è il senso più profondo del sacrificio umano del Figlio di Dio.

Nel programma messianico, la sofferenza presente nel mondo (il più delle volte frutto della cupidigia e della bramosia dell'uomo stesso) rappresenta l'opportunità per confermare quell'Amore che è centrale nel messaggio etico di Gesù. È il primo e fondamentale insegnamento di Gesù, che attende ancora di essere realizzato su questa terra: “Ama il tuo prossimo come te stesso”.
Se è vero dunque che “io mi salvo solo se attraverso me si salvano gli altri”, è anche vero il reciproco: “lavora sulla tua stessa salvezza, non dipendere dagli altri”.
Da tale presa di coscienza profonda può derivare il riconoscimento effettivo che l’amore per l’altro non è disgiungibile dall’amore di sé, non è in alternativa ma complementare: siamo tutti “prossimo” agli occhi degli altri, e anche noi stessi siamo prossimo!

L'amore per il prossimo, che può nascere solo da un sano amore per se stessi, è l'azione concreta per trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell'Amore, come anticipazione del regno di Dio.
In questo Amore il significato salvifico della croce si realizza fino in fondo e raggiunge la sua dimensione definitiva.
Ancora oggi il messaggio di Gesù, non solo per i cristiani ma per l’umanità intera, invoca senza sosta l’instaurazione di questo regno dell’Amore, non nel regno di Dio, ma qui su questa terra.
Osiamo pensare che, nonostante ogni segno inverso dei giorni nostri, questo programma sia ancora profondamente inscritto nei nostri cuori e che attenda di essere testimoniato nelle nostre opere, come dono disinteressato di ciascuno di noi in favore degli altri uomini e del mondo.

Il ripudio di Gesù, il rifiuto della Croce (intesa anche solo simbolicamente come monito dei patimenti mai evitabili di ogni comune esistenza terrena) spalanca al vuoto di senso la sofferenza umana.
Solo con la forza spirituale proveniente da una "presenza" divina (a prescindere da qualunque significato vogliamo dare al mistero dell’esistenza), noi siamo in grado di sorreggere e finalizzare il nostro scopo di vita.

Roberto Calia

UMILTÀ E GRANDEZZANella Domenica delle Palme“… chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole ess...
13/04/2025

UMILTÀ E GRANDEZZA
Nella Domenica delle Palme

“… chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.”
(Mc 10,2-16)

Come sappiamo dai Vangeli, la domenica delle Palme ha segnato un momento di tripudio per Gesù, la glorificazione della sua Persona, dopo anni di persecuzione e di profonda incomprensione.
Gesù sale su un asinello che si inerpica sulla collina, sulla strada che costeggia le imponenti mura, per entrare a Gerusalemme. Gesù entra nella città santa che uccide i profeti.
La gente lo riconosce, alcuni bambini gli corrono incontro, alcuni tagliano rami di palma e di ulivo, qualcuno grida “osanna”.
Arriva dal monte degli ulivi, perché di là sarebbe arrivata la salvezza, cavalcando un puledro d’asina, un ciuchino, non un cavallo bianco bardato. Qualcuno potrebbe dire: non si prende sul serio, il Signore: un “potente” che non si prende sul serio.
La grandezza associata all’umiltà! È l’ennesima lezione di vita di Gesù, una lezione etica per questa vita terrena, prima ancora che per la Salvezza spirituale. Una lezione evidentemente dimenticata ai giorni nostri, in un mondo profondamente zavorrato alle cose materiali e poco avvezzo allo Spirito.

Oggi l’umiltà è osteggiata, disprezzata come difetto, essere umili viene identificato con l’essere insignificante, inferiore.
Nello scenario sociale l’Essere è stato soppiantato dall’Apparire, l’essenza oscurata dall’apparenza.
La vera umiltà consiste nella capacità di liberarsi della presunzione della propria importanza. È sostanzialmente un modo di essere non di apparire.
L’umiltà è propria della Persona che ha abbandonato l’illusione di essere superiore agli altri, una persona che ha raggiunto un giusto equilibrio nella relazione con se stessa, gli altri e il mondo.
La falsa umiltà è invece la maschera che indossano quelli che non hanno saputo fare i conti col proprio narcisismo, e continuano a coltivarlo ipocritamente come convinzione profonda della propria superiorità.
Molti di quelli che osannarono il Signore seduto sull’asinello, sono gli stessi che, dopo appena cinque giorni, grideranno: “Sia crocifisso!”…

Oggi più che mai dobbiamo augurarci di ritrovare un giusto equilibrio fra umiltà e realizzazione, dentro e fuori di noi, nella relazione con noi stessi e con gli altri, ma soprattutto di saperlo mantenere più stabilmente nella nostra vita.

“Maestro, quando si è certi di aver raggiunto l’umiltà?”
“Quando si smette di fare questa domanda”.

BUONA DOMENICA DELLE PALME 🌴

Roberto Calia

Una più completa disamina sull’umiltà puoi trovarla qui: ⤵️

http://www.robertocalia.it/umilta/

Tempi di QuaresimaVIVERE O MORTIFICARE? Morte viva e vita morta: oltre la mortificazione dell’esistenza Al di là della s...
09/03/2025

Tempi di Quaresima

VIVERE O MORTIFICARE?
Morte viva e vita morta: oltre la mortificazione dell’esistenza

Al di là della sua valenza religiosa, il periodo di quaresima fino a Pasqua, che culmina con la resurrezione di Cristo, può servire simbolicamente a ricordarci da dove veniamo e dove siamo diretti e a farci riflettere sulla nostra condizione esistenziale, sul senso della vita e della morte.
Molte persone non si interrogano affatto su questo, ma vivono piuttosto un costante stato d'apprensione verso la propria salute.
Avvertono perennemente sintomi e disagi del corpo, con la paura di poter essere seriamente ammalati e, in ultima analisi, di dover morire.
Sono così morbosamente attaccati alla vita che finiscono paradossalmente per viverla da malati.
“Noi siamo paurosamente preoccupati della nostra morte, spesso tanto da dimenticare il vero scopo della nostra vita” (B. Weiss).

Per l'ansia di ammalarsi, di fatto "mortificano" e condizionano pesantemente la propria esistenza. Per paura di morire, rischiano di morire psicologicamente di paura.
Il problema non è la morte, che è data per tutti e che non è negoziabile. Il problema è la vita, ciò che realmente riusciamo a farne nel tempo che ci è dato di poterne partecipare.
La vita terrena è in ultima analisi l'intervallo fra la nascita e la morte. Perché buttare via questo intervallo? Perché non onorare fino in fondo questo passaggio, questo spazio/tempo che ci è donato?
”Il principio e la fine: nel mezzo la meraviglia della vita” (M. Trevisan).

Tutto dipende dunque da come usiamo questo intervallo.
Parlo ovviamente di “questa” vita, non del destino altro che ci attende in una “altra vita”, in ogni caso: che sia la gloria, come credono filosofi e religiosi, oppure il nulla, come dicono i nichilisti. (*)
Molti non vogliono nemmeno sentire questa semplice verità, ossia che la vita e la morte siano ineludibilmente unite; la considerano ovvia, banale, insignificante. Al punto che ... se ne dimenticano!
Ma si dimenticano anche dell'intervallo. Continuano così ad indaffararsi, barcamenandosi fra ciò che è accaduto già (passato) e ciò che si aspettano che possa succedere dopo (futuro).
Con questo assetto mentale, senza quasi rendersene conto, si “bypassa” completamente il presente.
Ogni piccola cosa è trascurata, rimandata, non è così importante rispetto alle cose "grandiose" che ci aspetterebbero in chissà quale futuro, a compensazione delle sofferenze e degli errori del passato.
Peccato che nel frattempo l'intervallo passa e non c'è più tempo. Saltando a pie' pari il presente, il futuro è già diventato passato.
Una vita scippata, invalidata, mortificata, sostanzialmente sprecata per inconsapevole scelta personale.

“Morire non è nulla; non vivere è spaventoso” (V. Hugo).

Tornando alla tradizione cristiana, suggestivo è il monito: "Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai".
Anziché essere tradotto in senso nichilistico, come fa tutta la cultura occidentale (“siamo nulla, veniamo dal nulla e nel nulla finiremo”), il rito delle ceneri può essere interpretato come un richiamo positivo a rivalutare l'umiltà a scapito della superbia e dell'orgoglio.
In senso spirituale rimanda alla "mortificazione" delle nostre parti peggiori, per la purificazione degli errori e delle colpe, che può avvenire solo con l’assunzione delle nostre responsabilità e la consapevolezza sui nostri sentimenti, pensieri ed azioni.
In realtà, il più grosso peccato che la maggior parte delle persone (e non solo dei cristiani) fa nella propria esistenza è quello di una diffusa e sistematica mortificazione della vita stessa, che diventa così una lamentazione costante, una sorta di maledizione, che viene trascinata con una cupezza diffusa, senza alcuno slancio vitale.
Per queste persone sarebbe bene prendere in considerazione la possibilità opposta, ossia quella della "vivificazione", che significa letteralmente “fare vivere”, riportare nella propria vita di ogni giorno tutti gli aspetti positivi, il sorriso, la cordialità, la gratitudine, il gusto recuperato della normale quotidianità, fatta di cose semplici, il più delle volte gratuite, e non delle cose extra-ordinarie, sfavillanti, eccezionali.

Solo con questo approccio “vivo” alla vita, la stessa “mortificazione” acquista il suo vero valore, ossia quello di "far morire" le parti peggiori di noi (non solo i peccati morali, ma le nostre bassezze, le cattiverie, i pensieri negativi, le invidie distruttive, gli inevitabili difetti caratteriali, che in ogni caso non dovremmo mai far pesare sugli altri, tanto meno alle persone amate).
In pratica, tutto ciò che è di ostacolo ad una "normale" gioia di vivere, di contro ad una illusoria felicità.

Il vero problema della nostra esistenza terrena non è dunque la morte (che è solo trasformazione e non annientamento), ma la capacità di ritrovare il senso della Vita e assaporarla fino in fondo.

Roberto Calia

(*) Una precisazione: qui io parlo della vita "terrena", del nostro essere al mondo qui e ora.
E siccome non credo affatto che siamo qui "per caso", senza alcun senso, penso che ciò che facciamo (o non facciamo...) nella nostra esistenza (nell‘intervallo, appunto) abbia una qualche connessione con il "dopo".
Realizzare fino in fondo il nostro scopo di vita, in questa vita, credo sia cruciale per il nostro destino “oltre”.

[Rimando per chi volesse approfondire il tema a questo mio contributo: ⤵️ ]

https://www.robertocalia.it/essere-nulla/

27/02/2025

PREMIO LETTERARIO A “PSICOIKEA”

Menzione d’onore nel Concorso letterario internazionale Maria Dicorato - IV edizione al mio libro “Psicoikea - Vademecum per (s)montarsi la testa e diventare persona - YouCanPrint Editore.
La motivazione della giuria è la seguente: “Libro di piacevole lettura che ci fa riflettere su come, a volte, dobbiamo porci di fronte a ciò che giornalmente ci accade oer raggiunfere uno stato di tranquillità e combattere ansie, stress e ciò che ne consegue”.
Sono particolarmente lieto del riconoscimento perché mi pare sia stato colto e premiato il mio tentativo di rendere “sociale” la Psicologia.
Il mio contributo, umano e professionale, è volto da sempre ad affermare la psicologia e le scienze umane in genere come “competenza comune” di tutte le persone.
Il libro è destinato a tutti, anche se ovviamente non è per tutti, ma specialmente per quelli che sono disposti ad interrogarsi e mettersi in gioco personalnente.
Appunto, pronti a “smontarsi” la testa (rivedendo convinzioni sbagliate e lati misconosciuti di se stessi), per poi “rimontarsela” nel modo più giusto, con la consapevolezza necessaria per fare il salto da individuo a persona, che è il fondamento per una esistenza matura, ritrovando - pur in una condizione sociale e culturale in decadenza - la gioia di essere al mondo.

Roberto Calia

Edition

Indirizzo

Sesto San Giovanni

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