20/07/2025
PAZIENTI, PSICOSI… E IL TERAPEUTA SI IMPAURISCE
Lo so che siete curiosi! Lo so che, pazienti o terapeuti o terapeute, siete qui a sbirciare per capire cosa fare con la psicosi, oppure per vedere se avete fatto la cosa giusta, oppure, ancora, vedere se siete Psicotici…
Non mancherò di nutrire la vostra curiosità, ma sempre col piglio clinico e sensato che mi obbliga a non banalizzare a ad ammonire chi vuole qui trovare soluzioni clinicamente strutturate.
Che tu sia paziente o terapeuta qui troverai la possibilità di contemplare ma non di completare… qui stai parlando con lo scrittore che di lavoro fa il clinico e non con il clinico che si diletta a scrivere… Insomma, se stai male, chiedi aiuto fuori dai social cavolo!
Fatto sta, che la psicosi è una delle paure più grandi per i terapeuti, una delle quattro più grandi secondo Hillman. Lei, la crisi psicotica, fa squadra insieme alla paura di essere aggrediti, alla paura della seduzione in terapia e a quella del suicidio.
Ho scritto su tutte, quindi, se volete, fate una ricerca nel blog per parole chiave.
Invece qui, eccomi a scrivere sulla psicosi, e lo faccio perché, novello Cervantes, l’ho incontrata a Toledo negli occhi di Don Chichotte.
Si, perché sono ancora in viaggio! La scorsa settimana ero sulla nave per Barcellona per poi divorare chilometri fino a Saragozza, Madrid, Lisbona, Nazarè poi Toledo e oggi di ritorno a Barcellona per riprendere una nave.
Si, perché la psicosi è un viaggio! E somiglia proprio agli ultimi due posti che ho visitato. Mi riferisco a Nazarè dove ci sono le Big WAve (per i surfers e per gli addetti ai lavori), le onde più alte del mondo (per tutti noi altri), e a Toledo, o meglio a Consuegra, lì dove ci sono i mulini che Don Chichotte scambiò per giganti.
Ma andiamo per gradi… la psicosi è sempre una “OSI”, un di troppo di qualcosa. Ogni volta che trovate la desinenza “OSI” c’è un’inflazione, di Trombociti se si ha una trombocitosi, di calcoli con la calcolosi, di fibre con la fibrosi, di sonno con ipnosi.
E se, invece di sostantivi, andiamo agli aggettivi, possiamo usare quelli usati verso me e i miei scritti che risultano ampollosi, pieni di ampolle e bolle che aleggiano nell’aire, oppure potremmo pensare a oggetti graziosi che, avendo troppa grazia, perdono di fascino.
Quindi? Vuoi arrivare al punto o no? Starete pensando… ma ho detto che sono ampolloso e serve ad attivare i vostri pensieri prima che io confessi i miei.
Psicosi, banalmente, significa, troppa psiche e se la psiche è fatta di emozioni, bisogni e condotte, e se queste si manifestano come immagini, specie nei sogni… insomma, se la psiche è fatta di immagini, la psicosi è un eccesso di immagini e di immaginazione.
Vi risuona? Se sì, è perché siamo tutti, nessuno escluso, psicotici. Ma non tutti lo siamo in modo clinicamente rilevante. Quello che voglio dire è che la psicosi non è un interruttore di “ON-Off”, ma è come il volume del televisore.
Noi immaginiamo in continuazione e l’immaginazione è utile a creare, ad amare, ad apprendere e compagnia cantando, ma quando il volume è troppo alto allora rischia di non permetterci di sentire ciò che ci circonda.
Semplifico un altro po? Va bene.
Abbiamo tre livelli, il primo è quello comune e quotidiano, quel nostro pensare a cosa stia pensando mia madre, il mio amico, il professore, se lei o lui mi ama o, lo confesso, pensare cosa pensate voi che mi leggete. Che poi questa “robba” Freud l’ha chiamata anche transfert lo vedremo un’altra volta.
Il secondo è più prepotente e ha a che fare, ad esempio, con le volte in cui immagino di avere una malattia o che mio figlio possa avere un incidente.
Allora scrivo mentalmente una sceneggiatura che mi impaurisce e devo fare azioni per fugare le paure; esami medici per eliminare il rischio di un tumore alla testa che, si sa, è compatibile con qualsiasi sintomo aspecifico, oppure telefonate che si fanno isteriche se non ricevo risposta da quel maledetto di mio figlio che sta sempre col telefono in mano e poi…
L’immaginazione invade il reale e si fanno azioni per smorzarne gli effetti, ma resta la consapevolezza che siamo un po’ fuori di senno, ossia c’è una sorta di supervisore dentro di noi che ci dice che siamo degli imbecilli.
Il terzo livello è uguale al secondo, ma con sceneggiature più apocalittiche e un pelino più persecutorie. La vera differenza, però, non sta nel contenuto ma nel fatto che il supervisore è andato in vacanza.
E io? Il terapeuta che deve fare allora? Lo confesso, io ho paura, ma non tanto delle psicosi degli altri o dei pazienti ma delle mie. Si, lo riconfesso, ho avuto periodi nella mia vita in cui il volume era troppo alto e la manopola per regolarlo era unta, anzi untuosa e anguillosa, e le mie dita tremanti, le stesse che ora tamburellano felici sui tasti, non riuscivano a fare il loro lavoro.
L’opponibile pollice scivolava sulla oppositiva manopola insieme all’indice e al medio, senza riuscire a regolare il volume che, altissimo, mi impediva di distinguere i suoni che venivano da dentro di me da quelli che giungevano da fuori.
E il mio supervisore? Vi starete chiedendo… ma non il mentore e professore che mi ha formato, ma la parte di me… Mbè, ecco lui aveva la febbre e supervisionava a corrente alternata. Comunque, ora siamo qui, io, lui e tutti gli altri e le altre dentro me.
Eppure, non sempre si riesce a riabilitarlo da soli, ci vuole pazienza e se il supervisore dorme o è malato, indovinate un po’… allora quel ruolo tocca alla terapia e ai terapeuti e alle terapeute.
Ma attenzione! Non per riabilitarlo del tutto, anche perché se quel supervisore diventa troppo, allora provoca una penia di psiche, una carenza che uccide l’Immaginazione e irrigidisce l’anima che, come pianta senza nutrimento, avvizzisce.
Allora mi sembra di essere chiaro, ma non solo il viaggio è metafora della psicosi, lo sono anche i luoghi che ho visitato. Sì, perché le onde alte di Nazarè sono l’immagine più efficace per descrivere la psicosi che, nient’altro è che una ‘invasione dell’inconscio, ossia del mare.
Sognare onde grandi come quelle di Nazarè che ci travolgono è frequente proprio in coloro che tendono a sentire l’anima a volume troppo altro. Hillman racconta suoi sogni con tsunami, altrettanto Jung e, lo confesso, anche io ne ho viste di onde anomale di notte.
Il fatto che abbia imparato a cavalcarle, il fatto che abbia imparato a surfarle, è il motivo per cui oggi aiuto i pazienti a non impaurirsi e a mettersi in piedi sulla loro tavola. Si, ho paura, si, anche loro, si, se il volume è alto e ci invita a lavorare con il collega psichiatra lo facciamo, ma alla fine siamo proprio come Chichotte.
Si. Questa l’ultima tappa del mio viaggio, nella Mancha, la regione in cui Don Chichotte, per dar senso “ala su esistenzia”, ha usato l’immaginazione, forse troppa. Quella con cui i mulini sono diventati giganti e le capre dei guerrieri.
E se, lo confesso, il romanzo di Cervantes l’ho mollato dopo poco più di cento pagine lette, e mi scuso, questo non significa che io non mi faccia scudiero e, novello Sancho Panza, cerco di stare a fianco del mio cavaliere Paziente cercando di evitare che prenda lucciole per lanterne, ma soprattutto perché impari a distinguere le une dalle altre.
Ma attenzione! Non per sacrificare le lucciole oppure le lanterne, ma per apprezzarle entrambe perché, questa la sintesi sulla psicosi, lo scudiero segue e mai conduce, e senza rinunciare alle lucciole, senza illudersi, senza precipitare nella Osi dell’immaginazione ma nutrendosene avidamente.
E se io Sancho seguo, è perché quei giganti e quelle “Lanterne” mi rendono un servizio fondamentale, mi danno il senso così come ne danno ai pazienti… resta solo coniugare quel senso con gli altri e col resto del mondo.
Insomma non aver paura e abbi paura serenamente ma non fuggire, perché solo avvicinandoti, quei giganti torneranno a farsi semplici mulini che trasformano te e anche me che faccio Sancho, ma che soprattutto, alla soglia dei 50, faccio Panza.
Buona Terapia.
Luca urbano Blasetti