07/09/2025
"UNA GANG DI MINORENNI SI È ORGANIZZATA PER PESTARE IL NOSTRO DON, SPUTARGLI ADDOSSO E HA MINACCIATO DI INCENDIARE TUTTA LA PARROCCHIA"
.. o meglio, questo è il risultato di un ping-pong mediatico che ha tramutato un fatto spiacevole in una vicenda drammatica e nazionale.
La premessa è questa: dopo le prime voci confuse ho chiamato personalmente Don Daniele che mi ha raccontato la sua versione dei fatti. Durante una festa dell'oratorio, una ragazza in difficoltà ha tentato di aggredirlo e lui l'ha contenuta: un fatto che merita attenzione, che forse poteva essere evitato, su cui è giusto riflettere perchè non si ripeta. Eppure... persino l'ANSA o TgCOM riportano un episodio molto differente da questa testimonianza. Come mai?
Ebbene, quando siamo coinvolti in situazioni simili il nostro cervello e la mente collettiva non funzionano in modo equilibrato. Ci sono almeno tre variabili che:
📌 Euristica della disponibilità: tendiamo a credere che ciò che ricordiamo più facilmente (perché recente, scioccante o emotivamente forte) sia la versione più attendibile. Così, tra un racconto meno d'impatto e veritiero e uno più allarmante, ma inventato, tendiamo a crede che il secondo sia quello più fondato e rappresentativo della realtà;
➡️ Nel caso specifico ieri si parlava di un'aggressione da parte di qualche ragazzo, poi di una banda, poi di una gang organizzata. Si è poi arrivati a ipotizzare sputi, calci, pugni e minacce personali. Alcuni adulti e genitori hanno espresso la preoccupazione per l'oratorio: così il racconto è diventato che questa gang voleva incendiare l'oratorio. Infine l'intera parrocchia.
📌 Bias di conferma: selezioniamo inconsciamente i racconti che rinforzano le idee che già abbiamo (“i giovani sono tutti senza rispetto”, “una volta non succedeva”). Questo rende difficile vedere la complessità dei dati.
➡️ Un esempio? In più contesti tra ieri ed oggi ho provato a riportare la versione di Don Daniele. Tuttavia, se un altro post veniva condiviso con la notizia del nostro prete aggredito da una banda di minori delinquenti, questa versione riceveva più credito e attenzione persino della versione che lo stesso Don Daniele mi aveva autorizzato a condividere. Inoltre, sul web fioccano i ricordi nostalgici di paesi senza vicende drammatiche o di cronaca nera: questo non perchè non siano accadute, solo tendiamo a rimuoverle.
📌 Effetto del passaparola: ogni volta che una storia viene ripetuta, tende a semplificarsi e a caricarsi emotivamente. Così da un’aggressione circoscritta si passa, nel giro di pochi giorni, alla percezione che “non si può più uscire di casa senza rischiare”.
➡️ Sia sui gruppi locali che quelli nazionali la tensione è fortissima. Il processo di analisi delle fonti è davvero scarso e, permettetemi una riflessione: per me è davvero allarmante come delle testate nazionali preferiscano il clickbaiting ad un giornalismo attento, scrupoloso e verificato.
A Stradella un episodio simile era già capitato: una decina di anni fa qualcuno per scherzo aveva condiviso la notizia di un coccodrillo 🐊 che sguazzava nel torrente Versa. La burla si era tramutata in un uragano di avvistamenti dopo che una signora denunciò la scomparsa del suo cagnolino.
📚 Se tra chi legge, fosse interessato a questi argomenti, può approfondire con "Pensieri lenti e veloci" di Daniel Kahneman.
Facciamo però finta che tutto questo sia accaduto. Come comportarsi? Tanti commenti su facebook propongono di rispondere alla violenza con altrettanta violenza, di punire uno o un gruppo per dare l'esempio al rimanente, di utilizzare la legge del taglione o organizzare ronde di cittadini per bene che veglino sulla quiete pubblica.
Due considerazioni.
📌 La prima; ammettiamo davvero che esista una gang di ragazzi minorenni che utilizzi l'aggressione come metodo di confronto. Crediamo davvero che tutta questa visibilità mediatica possa giovare a un qualsiasi metodo rieducativo (aggressivo o meno)? Proviamo ad uscire dallo schema autoreferenziale del "Se parlassero di me in tutta Italia in questo modo, beh, io mi scaverei la fossa dalla vergogna" e proviamo ad empatizzare: un ragazzo fragile, che vive un mondo di solitudini, come potrà giudicare tutta questa attenzione? Un invisibile, come tradurrà questo "essere (forse finalmente) visto"? Non stiamo rischiando di rinforzare questi loro atteggiamenti, come la soluzione più rapida per essere finalmente, nel bene o purtroppo nel male, qualcuno?
📌 I metodi sopra-citati sono tutti comprensibili: quando le persone si sentono insicure, è naturale che qualcuno invochi “più durezza”, o addirittura il ritorno a punizioni fisiche. Ma la ricerca psicologica è chiara:
- La violenza punitiva non riduce i comportamenti aggressivi
(Gershoff, E. T., & Grogan-Kaylor, A., 2016, Journal of Family Psychology: meta-analisi su 50 anni di studi sulle punizioni corporali);
- Genera rancore, desiderio di vendetta e spesso recidiva
(Donnelly, M., & Straus, M. A., 2005, Corporal Punishment of Children in Theoretical Perspective: correlazione tra punizioni fisiche, ostilità e ripetizione della violenza).
- Trasmette ai più giovani un messaggio implicito: “alla violenza si risponde con violenza”
(Bandura, A., Ross, D., & Ross, S. A., 1961, Journal of Abnormal and Social Psychology: celebre esperimento della “Bobo doll” sul modeling dell’aggressività).
La vera sicurezza nasce non dal colpo più forte, ma da istituzioni che intervengono con rigore ed equità, da una comunità che educa e da reti di sostegno che prevengono i comportamenti a rischio
(Mikton, C., & Butchart, A., 2009, World Health Organization: studi di prevenzione della violenza familiare e comunitaria). Questo disordine è chiaramente il risultato dell'incapacità di noi adulti di trasmettere quei valori che speriamo possano migliorare le generazioni future. Penso che sia necessario capire quali siano quelle azioni, singole e di comunità, che possano agevolare un processo di crescita positivo. Dobbiamo impengarci in schemi costruttivi e soluzioni alternative alla violenza per non lasciare ai ragazzi un mondo fatto di solitudini e risposte aggressive. Abbiamo bisogno di spazi di confronto e luoghi di aggregazione per destrutturare il concetto per cui chi ci è differente allora è "altro" e speriamo che si integri da sè o a bastonate.
Abbiamo vite sempre meno aperte alla comunità o la dividiamo in fazioni che si scontrano perchè il conflitto accende più che il confronto: così non ci apriamo ad una visione sul lungo periodo. E questo è un grande peccato; perchè non concentrandoci sulla prevenzione cadiamo nella trappola che i problemi si risolvano quando arrivano e anche velocemente, con una toppa: che il tutto subito è meglio. E così facciamo anche con i giovani: anzichè accompagnarli, arriviamo alla fine - quando è difficile persino rattoppare. Quando diventano aggressivi o si mettono in situazioni che non gli avremmo mai augurato.
Abbiamo bisogno di altre notizie allarmanti per muoverci tutti assieme? Penso sia nostro dovere impegnarci a coltivare una responsabilità adulta e sociale, così da evitare il dibattito su quali possano essere invece le punizioni esemplari. Se occorre una punizione significa che siamo arrivati tardi. Il mondo non si dovrebbe dividere in ciò che puoi o non puoi fare perchè altrimenti le buschi, ma in ciò che è giusto o sbagliato fare per far parte di una comunità bella, ricca, che ha le sue regole e in cui vale la pena vivere e contribuire a migliorare. La domanda è: noi la siamo?
E' necessario rinnovare il concetto di "assieme" che abbiamo vissuto e che tendiamo a dimenticare (quante volte sento la frase "eh ma mio figlio non è così..."): dobbiamo proporre alternative sane e cittadine piuttosto che rintanarci o rinunciare, vivendo nei ricordi, per non fare i conti con un presente e un futuro che in modo sempre più evidente ci sta dicendo che forse dobbiamo impegnarci a dire "noi".