
01/10/2025
La sacralità del pane
Nonostante in passato, per tutte le civiltà, il Pane abbia rivestito un’importanza fondamentale nella vita dei popoli, oggigiorno, il suo consumo è andato via via calando, soprattutto a causa di un cambiamento piuttosto radicale delle abitudini alimentari e di una fobia ingiustificata per i cereali e i carboidrati.
Nella cultura contadina, il pane assumeva grande importanza, in quanto costituiva l’unica forma di sostentamento, il solo cibo quotidiano; era addirittura “sacro” perché bene necessario che non andava in nessun modo sprecato o buttato.
Durante il lavoro nei campi, il massaro che sorvegliava l’andamento del lavoro, rientrando in città quasi ogni giorno, si impegnava a portare il pane ai salariati, che risiedevano stabilmente nelle masserie.
Gli stessi padroni dei feudi avevano l’abitudine di ingaggiare dei panificatori che preparavano sul posto il pane occorrente ai tutti i dipendenti.
Ma anche in ambito familiare, era segno di potere. Era infatti il capofamiglia, col ruolo di padre-padrone, che dispensava tale cibo tra i suoi commensali.
Il Pane nelle famiglie contadine, che erano dedite a lavorare i campi dei “signori” non mancava mai. Veniva spesso usata come forma di retribuzione, una sorta di pagamento in natura, che variava per quantità secondo il grado gerarchico.
Proprio per questo assunse anche un ruolo come simbolo della fertilità e capacità fecondatrice della terra, oltre ad essere rispettato, data la scarsità di cibo e la sua funzione essenzialmente nutritiva, più di ogni altra cosa.
Il Pane era simbolo di sicurezza e speranza e se talvolta cadeva a terra si raccoglieva e si baciava. Mai sprecarlo!
Pensate che se veniva posto a rovescio sulla tavola, veniva subito girato e considerato un segno che portava “male”, carestia all’interno della famiglia oppure preludio di una malattia del capofamiglia.
Su di esso veniva posta una croce prima della cottura, sia per motivi tecnologici, sia per ringraziare il “cielo”. Qualora girato a dorso all’ingiù, i cristiani invocavano Santa Brigida per farsi perdonare di aver messo la croce segnata sul pane in modo capovolto.
Quando si tagliava, lo si doveva fare a tavola, dove tutti dovevano stare composti e tutto doveva essere perfetto, quindi niente andava messo "al contrario". Il pane capovolto a tavola è oggi considerato, soprattutto dai più anziani, un atto di maleducazione, un gesto che può “portare male”.
Secondo quanto raccontatomi diverse volte dai miei nonni e da altri anziani con cui converso piacevolmente sulla storia del cibo, la parte rigonfia rappresentava il volto di Cristo; per questo stesso motivo era ritenuto peccaminoso infilare la punta del coltello nella ‘parte tonda’ o lasciare la lama conficcata nel pane.
Ho avuto la fortuna di crescere in famiglie contadine da parte di entrambi i genitori, per questo il mio legame con la cucina e l’alimentazione, ha avuto inizio precoce, imparando tutta la filiera, dalla terra alla tavola.
Avevamo un forno a legna dove veniva cotto il Pane, come molte persone del paese in cui sono cresciuto, Pacentro, un borgo medioevale a poca distanza da Sulmona nella Regione Abruzzo, dove sono tornato a vivere e lavorare. Prima si andava di buon ora al forno pubblico, uno dei tanti disseminati in tutti i paesi del sud Italia, numerosi fini al primo dopoguerra, prima che arrivasse il “benessere”.
Si faceva il Pane in casa, tutte le settimane, come in tutte le famiglie. Mia madre impastava (“ammassava”) sempre il venerdì, in modo da avere il pane fresco per il sabato e la domenica. E prima del Pane si cuocevano pizza e biscotti.
Il giovedì sera, con acqua e farina, si preparava il lievito (“criscito”) che si lasciava riposare in una ciotola di terracotta o in acciaio.
Alcune persone mi raccontano che, alzandosi di buon ora con il lievito segnavano la fronte e il cuore, come fosse di buon auspicio e benedizione al pane della famiglia.
Ne veniva preparato abbastanza per tutta la famiglia. Venivano impastati diversi chili di farina che andavamo a prendere al mulino della zona.
Terminato l’impasto si segnava nuovamente la fronte, non più col lievito, ma con la pasta.
Una volta impastato copriva il tutto con delle tovaglie pulite e asciutte e si attendeva che lievitasse al caldo, per circa due ore.
I forni, sia pubblico che casalinghi erano spazi di socializzazione, luoghi d’incontro e d’intrattenimento dove si alimentavano pettegolezzi, fantasticherie e leggende, dato che non c’erano tutte le comodità moderne.
Una volta tirato fuori dal forno, il pane, veniva fatto raffreddare e riposto in una profonda cassapanca, detta anche “cassa del pane”, da cui di volta in volta ogni forma veniva presa e tagliata a grandi fette ogni volta che occorreva.
Ricordo ancora oggi, una poesia che imparai da piccolo, intitolata appunto “Il Pane” che diceva: Amate il pane, cuore della casa, profumo della mensa, gioia dei focolari.
Rispettate il pane, sudore della fronte, orgoglio del lavoro, poema di sacrificio.
Onorate il pane, gloria dei campi, fragranza della terra, festa della vita.
Non sciupate il pane, ricchezza della patria, il più soave dono di Dio, il più santo premio alla fatica umana.
Con questo post voglio ringraziare tutti gli artigiani panificatori, che nonostante tutte le difficoltà, resistono ancora e portano ogni giorno sulle nostre tavole un cibo che accompagna l’uomo da sempre, e che ha accompagnato tutti gli eventi importanti della storia dell’umanità.
Dott. Antonio Pacella
Medico Specialista in Scienza dell’alimentazione