Ci sono giorni in cui è facile essere felici. Insomma sì, questa è la vita. Ogni tanto siamo felici.
Ma ci sono altri giorni in cui la mente spesso assomiglia a un mare in tempesta: troppi pensieri, troppe ansie, troppa rabbia, troppe paure, troppe cose da fare con poche energie a disposizione.
Nell’atto di volgere l’attenzione a qualcosa che ci è successo, di riconsiderare le cose alla luce brillante del sole o a quella debole e misteriosa delle altre stelle della notte, raramente siamo pacati e interiormente stabili.
La bellezza che è in noi scompare, la visione è interrotta, spezzata dalle correnti forti delle nostre preoccupazioni, che confondono tutto.
Rimuginare allora diventa l’unica alternativa, pensare e ripensare mille volte la stessa cosa senza arrivare a nulla.
Catturati dall’onda dei pensieri ripetitivi e angoscianti, non riusciamo a prendere nessuna decisione.
La felicità non abita più qui, non nelle nostre case piene di rancori, non nelle nostre strade che sono sporche e fanno paura, non nei nostri corpi che si ammalano continuamente e soffrono, non dentro di noi che siamo stanchi, a volte, così stanchi di lottare…
Eppure la felicità è invocata, sperata, sognata.
Ma come possiamo essere felici?
Se siamo stati così stupidi da commettere un errore del genere? Se siamo stati così sfortunati da incappare in una tale disgrazia? Se siamo così ingrassati, o invecchiati, o limitati? Così impauriti o così aggressivi?
Queste domande hanno un loro senso, e forse sono anche la legittima conseguenza di aver voluto legare per anni la felicità al concetto di autostima.
Anzi, siamo stati quasi ossessionati dall’autostima, che, più o meno, è basata sui giudizi di merito che ci diamo, su quanto ci consideriamo bravi, performanti, realizzati, in determinati ambiti di vita.
Questi giudizi dipendono in genere dai nostri recenti successi o fallimenti.
Ma anche le persone che si stimano molto non sempre sono le più felici. Intanto perché devono faticare parecchio per evitare il dolore, la malattia e il fallimento, senza riuscirci mai del tutto. E poi perché quando diventano così abili ai loro stessi occhi, prendono le distanze, si allontanano dai comuni mortali.
E non c’è felicità quando siamo disconnessi dagli altri, quando ci sentiamo soli, sia pure perché i migliori.
Tuttavia c’è un amuleto che alcuni posseggono, nascosto nelle pieghe della natura, anche in noi, che può essere di grande aiuto, perché un senso di benessere si radichi profondamente nei nostri territori interiori e non ci lasci solo perché le circostanze sono avverse.
Questo talismano ci viene in forma di domanda (appuntatela su un foglietto e portatela sempre con voi):
“Come tratti te stesso quando le cose vanno male?”
Potremmo aggiungere:
“Sei gentile, dolce, rassicurante e ottimista come lo saresti nei confronti di una persona a cui vuoi bene e che sta attraversando un brutto momento?”
“Sei pronto ad incoraggiarti, a sostenerti?”
“Sai perdonare il tuo errore e accordarti il tempo ragionevole per rimediarvi?”
A cura della Dr Michela Rosati, Psicologa, Psicoterapeuta, insegnante di Mindfulness a Terni, autrice de "La gabbia di carta. 7 comuni paure che bloccano la felicità delle donne" (Intermedia Ed.) e firma di Oggi.it con il suo blog "Psiche".
Per saperne di più: www.michelarosati.it