10/05/2025
Con profonda indignazione apprendiamo dell’arresto di un primario dell’Azienda Usl di Piacenza, accusato di violenza sessuale aggravata e atti persecutori nei confronti di più colleghe. I dati sono allarmanti: in 45 giorni di intercettazioni ambientali, gli inquirenti hanno documentato 32 episodi di violenza sessuale, comprese aggressioni, rapporti sessuali completi e rapporti orali imposti. Un vero e proprio sistema di abuso strutturato e reiterato, all’interno di un reparto ospedaliero, diretto da chi aveva potere gerarchico e controllo organizzativo.
Di fronte a un simile scenario, è inaccettabile che le indagini si siano protratte così a lungo, consentendo il ripetersi delle violenze prima dell’arresto. Le modalità investigative — basate su intercettazioni ambientali audio e video, senza intervento immediato — devono essere oggetto di seria riflessione. Quando la Polizia e la Magistratura assistono a reati in corso, il principio costituzionale di tutela dei diritti fondamentali IMPONE un bilanciamento tra esigenze probatorie e doveri di protezione immediata.
Non impedire un reato equivale a cagionarlo.
Tollerare la reiterazione della violenza per rafforzare un impianto accusatorio espone a responsabilità istituzionali gravi. Non si documenta solo la violenza: la si ferma.
È necessario anche accertare eventuali omissioni da parte della direzione aziendale, che potrebbe aver ignorato segnali, segnalazioni informali o un clima lavorativo segnato da terrore e sudditanza.
Chiediamo che venga garantita piena tutela alle coinvolte, che sia attivato un sostegno psicologico e legale indipendente, e che si avvii una valutazione urgente dei protocolli interni alla sanità pubblica contro e abusi.
Ribadiamo con forza: il luogo di lavoro non può essere un luogo di violenza.
Il silenzio, l'attesa, l'indifferenza istituzionale sono forme di complicità.
(foto da Corriere della Sera on line)