Cosa sono e a cosa servono le cure palliative

Cosa sono e a cosa servono le cure palliative Avvicinarsi a questa disciplina può essere utile e gratificante.Si condividono minilezioni sulle cure cure palliative ma non solo....!

LA CUCINAIl medico palliativista arrivò al letto dell’anziano, patriarca di una famiglia numerosa. La stanza era colma d...
19/10/2025

LA CUCINA

Il medico palliativista arrivò al letto dell’anziano, patriarca di una famiglia numerosa. La stanza era colma di silenzi rotti solo da respiri trattenuti: i figli, con gli occhi lucidi, gli stringevano la mano, consapevoli che l’ultimo tratto era ormai iniziato. Poco dopo, lo chiamarono in cucina.
Era una cucina moderna, ordinata, perfetta al punto da sembrare pronta per una rivista di arredamento. Lì, con voce ferma ma compassionevole, spiegò che il padre stava concludendo il suo viaggio, a casa, nel suo letto, circondato dagli affetti. Non mangiava da giorni, non parlava più: restava solo quella smorfia di dolore, quasi disumana.Il medico disse che, al termine della vita, il dovere è alleviare ogni sofferenza, fisica e interiore, perché non resti che la dignità. Ma, come un fulmine, una figlia – con la voce spezzata – domandò: *«Se fosse suo padre… cosa farebbe?»
In quell’istante, si aprì dentro di lui una porta. Vide i propri lutti, le proprie notti, le stanze dei suoi ricordi. Una vita intera raccolta in un lampo, mentre fissava la giuntura delle piastrelle e quella teiera color panna, immobile sul ripiano.Solo trenta secondi di silenzio, ma per lui furono un tempo infinito. Poi tornò al presente. Con lucidità, riportò tutti al qui e ora, alla cura, alla compassione. Il farmaco agì: il volto dell’anziano si distese, come se concedesse l’ultimo respiro alla pace.Dopo i saluti, il medico uscì da quell’angolo di mondo, lasciando dietro sé una tragedia unica e irripetibile.Salì in auto. Il crepuscolo velava il parabrezza. Girò la chiave: il motore tossì, come riluttante a tornare alla normalità. Un altro capitolo lo attendeva, un altro nome, un’altra cucina, un’altra stanza.Perché anche il medico è un uomo. E più che alzare uno scudo, deve imparare a incassare, come un pugile: incassare e respirare, incassare e ripartire.La strada era vuota. La macchina scivolò avanti, verso il prossimo campanello. Verso un’altra storia.

04/09/2025

La sedazione in cure palliative:la declinazione dei vari tipi(da linee guida SICP)

Non ci arrivo per l'aperitivo con gli amici...ma che importa Gavino sta meglio e il borsone pesa molto menoIl medico ent...
19/08/2025

Non ci arrivo per l'aperitivo con gli amici...ma che importa Gavino sta meglio e il borsone pesa molto meno

Il medico entra in un appartamento popolare. L’aria è pesante, lo spazio ingombro. Gavino respira male: in pochi secondi il medico allestisce una terapia, gesto che gli viene naturale dopo anni di esperienza come intensivista. La saturazione migliora, il respiro si fa più regolare. Solo allora può guardarsi intorno: l’uomo è solo, senza nessuno accanto.

Potrebbe andare via: il turno è finito. Ma resta. Improvvisa un supporto per la flebo con una gruccia, sposta con cura le camicie su un’altra, porge acqua e un asciugamano fresco.

Poi si siede, in silenzio, su una sedia carica di oggetti e ascolta. Gavino racconta di gru manovrate per ore sotto il sole, della fatica e della responsabilità. La narrazione si apre alla sua terra: la Sardegna, i Mamuthones, la tosatura delle pecore. Il respiro si calma. «Ora sto meglio, dottore. Grazie.»

Quando il medico esce, il sole del pomeriggio pesa sui palazzi. Sa che tornerà a casa stanco, che non ci sarà tempo per un aperitivo con gli amici. Ma il borsone sembra più leggero.

Seduto in auto, si rivolge a lei come a una compagna fedele: «Anche oggi abbiamo fatto il nostro dovere.»
In quel dialogo con l’oggetto tecnico si riflette l’essenza del suo lavoro. Il palliativista è, in fondo, un bigliettaio: stacca titoli di viaggio di cui non conosce la durata, ma garantisce che il percorso sia privo di dolore, angoscia e sintomi disturbanti. Non importa se il viaggio sarà lungo o breve; ciò che conta è che sia di qualità, degno della persona che lo intraprende.

Faccio parte pure io dell equipe ma non vengo mai nominata!Sono una piccola utilitaria bianca, semplice e silenziosa, ch...
15/08/2025

Faccio parte pure io dell equipe ma non vengo mai nominata!

Sono una piccola utilitaria bianca, semplice e silenziosa, che ha trovato il suo scopo nella vita accompagnando chi si dedica alle cure palliative. Funziono a metano perché l'ambiente è importante, anche quando si parla di ultimi viaggi. Non ho bisogno di colori sgargianti o sirene lampeggianti: porto solo un piccolo adesivo sulla fiancata che riporta il nome della azienda o dell'associazione di volontariato che mi ha acquistata e donata al servizio.Me ne vado tranquilla per la mia strada, guidata da un operatore sanitario. Quando viaggiamo da soli, l'abitacolo si riempie di un silenzio rispettoso - niente musica, solo il pensiero che accompagna chi sa quanto importante sia la visita che stiamo per fare. Quando invece siamo in tre, la mia cabina diventa una vera e propria "camera operativa": i colleghi discutono del caso che andremo a visitare, preparando diversi scenari. "Se troviamo il paziente con questi sintomi, dobbiamo immediatamente prendere questa strada" oppure "Speriamo che non sia nulla di grave". A volte sento anche lo sconforto per il maltempo o il traffico che potrebbero rallentare il nostro arrivo.Il mio bagagliaio posteriore è organizzato come un vero e proprio magazzino mobile, sempre diverso perché spesso trasporto anche un tirocinante che sta imparando questo mestiere così delicato. Ogni attrezzatura ha il suo posto: farmaci per il controllo del dolore, presidi medici, tutto quello che serve per portare sollievo direttamente nelle case.Vengo sempre parcheggiata con molta attenzione perché devo rispettare il codice della strada come tutte le altre auto. A volte mi fermano per osservarmi, altre volte vengo anche fotografata - la gente è curiosa di capire cosa rappresento.Sono un'auto normale, è vero, anche se spesso riverniciata di fresco. Ma dentro di me c'è qualcosa di speciale: sono un piccolo ponte che porta benefici e cure per migliorare la qualità della vita di chi ha sulle spalle pesi pesanti come macigni. Ogni chilometro che percorro, ogni casa che raggiungo, ogni famiglia che incontro: tutto questo dà senso alla mia esistenza su quattro ruote. Perché le cure palliative non sono solo medicina - sono presenza, vicinanza, dignità che arriva direttamente a casa, trasportata da una piccola utilitaria bianca che ha imparato il valore del silenzio e della discrezione.

«Come vorrei fare una doccia… è il momento più bello di tutta la giornata.»  Con questa semplice frase, Luigi aprì la co...
10/08/2025

«Come vorrei fare una doccia… è il momento più bello di tutta la giornata.»
Con questa semplice frase, Luigi aprì la conversazione. Era una riflessione a voce alta, non una vera richiesta: parole che sembravano fluttuare nella stanza, mentre lui affrontava gli ultimi giorni segnati da una malattia dell’esofago tanto implacabile quanto rapida.

Fuori, il sole di luglio arroventava la periferia ordinata. Dentro, il tempo libero era sempre stato per lui modellismo, letture, serate tra amici: così gli piaceva vivere, con le mani pronte a costruire mondi in miniatura. Ma ora, tra caldi insopportabili e una dieta ormai ridotta a ghiaccio tritato e qualche goccia di pomodoro, le energie per tutto si erano fatte scarse. Il vero peso, più della fatica quotidiana, era proprio quella sensazione appiccicosa e paralizzante che solo d’estate sembra impossibile da ignorare.

Luigi sapeva che gli restava poco. Il medico lasciò spazio all’infermiera, che con pazienza gli spiegò tutti gli accorgimenti necessari per poter esaudire quel piccolo, grande desiderio di una doccia rinfrescante.

Il giorno seguente, finalmente, Luigi poté sentire l’acqua scorrere sulla pelle. Quelle gocce, delicate e fresche, lo fecero sentire rinato. Nessuno poteva saperlo, ma quella fu la sua ultima doccia, e l’ultimo vero conforto che la vita gli concesse.

Dopo le esequie, quando ogni stanza era tornata al silenzio formale del ritiro di cartelle e farmaci, il medico si rivolse all’infermiera:
«Euridice, credo che siamo riusciti a dare qualcosa di buono a Luigi, anche nelle sue ultime ore.»
Lei, quasi prossima alla pensione dopo anni di esperienza, annuì con un sorriso malinconico: «Sì, se siamo riusciti a fargli fare quella doccia, lo abbiamo consolato. O, come recitano i libri, abbiamo trattato un sintomo.»

Intanto il calendario era pieno di appunti, annotazioni di personale in ferie segnate a margine. Era iniziato agosto e Luigi era “partito” anche lui, in una sorta di ferie definitiva, verso un luogo che immaginiamo pieno di docce fresche e consolatorie sempre pronte ad accoglierlo.

C’era una stanza silenziosa, attraversata dai respiri lievi e dall’odore persistente di disinfettante. Il medico palliat...
24/07/2025

C’era una stanza silenziosa, attraversata dai respiri lievi e dall’odore persistente di disinfettante. Il medico palliativista, con le mani raccolte sulle ginocchia, osservava il figlio dell’uomo morente: lo vedeva aggirarsi inquieto, pescare nel taschino il telefono, accampare scuse di lavoro mentre il padre, sdraiato, sembrava attendere una carezza, una parola non detta.

Accanto al letto, una giovane infermiera restava immobile. I suoi occhi, aperti e colmi di stupore, correvano tra il padre e il figlio, incapaci di contenere tutta la sorpresa e il dolore che sembravano straripare dal suo silenzio. In quello sguardo c’era qualcosa che gridava senza suono, una domanda sospesa nell’aria pesante della stanza.

Il medico, spettatore di quell’assenza mascherata d’urgenza, sentiva crescere un senso di smarrimento. Si chiese quanto la nostra epoca abbia imparato a dare peso al lavoro, agli impegni, ignorando ciò che resta davvero: il tempo condiviso, uno sguardo, una presenza. E in quell’attesa silenziosa, tra un letto e una sedia vuota, nasceva la riflessione che spesso, oggi, la carriera e la produttività valgono più dell’amore e del commiato.

FINALMENTE!La villetta a un piano si adagia sulle colline, ai margini di una grande città. Dalla finestra aperta, l’aria...
13/07/2025

FINALMENTE!
La villetta a un piano si adagia sulle colline, ai margini di una grande città. Dalla finestra aperta, l’aria tiepida porta dentro il suono allegro degli schiamazzi, il rumore dell’acqua che si muove nella piscina vicina: voci di bambini, spruzzi, risate che si rincorrono come rondini d’estate.
Dentro, la luce filtra morbida nella stanza dove, tra lenzuola pulite e cuscini, giace Ezio. Il letto è il suo piccolo mondo, e accanto a lui, il medico si muove con gesti misurati, quasi rituali. Nell’aria aleggia quell’odore inconfondibile, un misto di creme, disinfettanti e feci: una presenza costante, ormai familiare, che oggi però racconta una storia diversa. Oggi, quell’odore, pur sempre pungente, è un segno di sollievo.
Il medico si avvicina, un sorriso appena accennato sulle labbra, e con voce calma annuncia:
“È andato di corpo finalmente, signor Ezio. Oggi pomeriggio non avrà più quel fastidioso mal di pancia, potrà riposare.”
Ezio sospira, gli occhi si fanno lucidi di un sollievo che è quasi gratitudine.
“Dottore, erano tre giorni che non scaricavo la pancia. Cominciava a farmi male… So che è solo uno dei tanti sintomi che, come stelle, vanno a comporre la costellazione della mia malattia. Ma è umiliante, mortificante dover ricorrere a quelle perette.”
Il medico si siede accanto, lo sguardo attento, partecipe:
“Sì, ma assumendo regolarmente alcuni preparati magari riusciamo anche ad evitare questa stipsi, più dolorosa che noiosa. Dopotutto ne abbiamo parlato l’altra settimana: la sua malattia riguarda i bronchi, non l’intestino. La stipsi è una noia che possiamo, potenzialmente, annullare.”
Ezio annuisce, la voce si fa più bassa, quasi confidenziale:
“Me l’ha già spiegato, dottore. Ma sa, con gli sciroppi mi veniva un po’ di nausea, e non pensavo che il mio intestino diventasse così pigro. Però lei mi aveva avvertito. Da ora in poi assumerò regolarmente lo sciroppo. E comunque, un po’ di mal di pancia dovuto ai movimenti intestinali non è niente rispetto a questi ultimi giorni, con l’addome teso che non mi lasciava respirare bene, che mi dava una sensazione di malessere che non sapevo spiegare neanche a mia moglie.”
Il medico sorride, quasi complice:
“Abbiamo raggiunto una bella alleanza terapeutica, signor Ezio. Ma non dimentichi di mantenere un’adeguata idratazione. Non la posso obbligare a bere, ma provi con ghiaccioli, gelati, magari anche un po’ di frutta e verdura. Lo so, sembrano consigli scontati, quelli che si sentono ogni estate alla fine dei telegiornali. Ma, vede, a volte vincono proprio i rimedi semplici e tradizionali: se sono arrivati fino a noi, è perché funzionano.”
Per un attimo, il medico si accorge che quell’odore sgradevole non lo infastidisce più. Si sente leggero, quasi come se avesse sognato, immerso in una partita infinita di tennis contro la malattia. Oggi, le cure palliative hanno vinto: hanno ridotto, se non annullato, un sintomo che nasce da una patologia non rimovibile.
Fuori, il mondo continua: schiamazzi, sciabordii d’acqua, il sole che si rifrange sulla piscina. Il medico, con la mente, torna bambino: sente il sapore fresco del ghiacciolo alla menta, la sicurezza dei braccioli, i piedi a penzoloni sul bordo piscina. Per un istante, quella stanza si apre su un passato senza preoccupazioni, dove il futuro era solo una promessa di giochi e libertà.
In quella villetta sulle colline, tra odori, parole e ricordi, la cura si fa concreta, umana, quotidiana. E la vita continua, anche nei dettagli più semplici.

LETTO ARTICOLATO:breve dialogo tra Alfredo (il paziente)e Paolo (l'infermiere)Alfredo: «Mi scusi, Paolo… ma cosa è esatt...
03/07/2025

LETTO ARTICOLATO:breve dialogo tra Alfredo (il paziente)e Paolo (l'infermiere)

Alfredo:
«Mi scusi, Paolo… ma cosa è esattamente un materasso antidecubito? E un letto articolato? Non li ho mai visti prima.»

Paolo (sorridendo): «Bella domanda! Il letto articolato è un letto speciale che si può muovere in più punti. Per esempio, ti permette di stare semiseduto, così puoi mangiare più comodamente senza dover usare quella montagnola di cuscini dietro la schiena.»

Alfredo:
«Ah, sì… quei cuscini alla fine mi fanno solo curvare la schiena, e non è per niente comodo.»

Paolo:
«Esatto. Stare semiseduti aiuta anche a respirare meglio, perché la posizione è più naturale per i polmoni. Quindi niente più fatica a respirare o a tenere la posizione.»

Alfredo:
«Interessante… e il materasso antidecubito?»

Paolo:
«Quello è un piccolo miracolo della tecnologia! È un materassino che si gonfia e si sgonfia lentamente, in modo da cambiare continuamente la pressione sulla pelle e sui tessuti sotto di te. Questo movimento evita che la pelle, già fragile e immobile per la malattia, si danneggi e formi quelle brutte piaghe da decubito.»

Alfredo (tirando un sospiro di sollievo):
«Allora è come una medicina!»

Paolo (con un sorriso caldo):
«Sì, in cure palliative non ci sono solo medicine in pillole o gocce. Ci sono anche strumenti come questo materasso e il letto articolato che, alla fine, migliorano il comfort e la qualità della vita.»

Paolo (guardando fuori, poi tornando a Alfredo):
«Adesso devo compilare un modulo, è il primo passo di una catena che porterà questo letto proprio a te. Così potrai stare più comodo e sereno.»

[Paolo si alza, si dirige verso la porta mentre il cagnolino lo segue, la luce del tramonto li avvolge in un’atmosfera di calma e speranza.]

30/06/2025
21/06/2025

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