19/10/2025
LA CUCINA
Il medico palliativista arrivò al letto dell’anziano, patriarca di una famiglia numerosa. La stanza era colma di silenzi rotti solo da respiri trattenuti: i figli, con gli occhi lucidi, gli stringevano la mano, consapevoli che l’ultimo tratto era ormai iniziato. Poco dopo, lo chiamarono in cucina.
Era una cucina moderna, ordinata, perfetta al punto da sembrare pronta per una rivista di arredamento. Lì, con voce ferma ma compassionevole, spiegò che il padre stava concludendo il suo viaggio, a casa, nel suo letto, circondato dagli affetti. Non mangiava da giorni, non parlava più: restava solo quella smorfia di dolore, quasi disumana.Il medico disse che, al termine della vita, il dovere è alleviare ogni sofferenza, fisica e interiore, perché non resti che la dignità. Ma, come un fulmine, una figlia – con la voce spezzata – domandò: *«Se fosse suo padre… cosa farebbe?»
In quell’istante, si aprì dentro di lui una porta. Vide i propri lutti, le proprie notti, le stanze dei suoi ricordi. Una vita intera raccolta in un lampo, mentre fissava la giuntura delle piastrelle e quella teiera color panna, immobile sul ripiano.Solo trenta secondi di silenzio, ma per lui furono un tempo infinito. Poi tornò al presente. Con lucidità, riportò tutti al qui e ora, alla cura, alla compassione. Il farmaco agì: il volto dell’anziano si distese, come se concedesse l’ultimo respiro alla pace.Dopo i saluti, il medico uscì da quell’angolo di mondo, lasciando dietro sé una tragedia unica e irripetibile.Salì in auto. Il crepuscolo velava il parabrezza. Girò la chiave: il motore tossì, come riluttante a tornare alla normalità. Un altro capitolo lo attendeva, un altro nome, un’altra cucina, un’altra stanza.Perché anche il medico è un uomo. E più che alzare uno scudo, deve imparare a incassare, come un pugile: incassare e respirare, incassare e ripartire.La strada era vuota. La macchina scivolò avanti, verso il prossimo campanello. Verso un’altra storia.