Samadhi Yoga Studio APS -Tortona - Marchio Registrato

Samadhi Yoga Studio APS -Tortona - Marchio Registrato Associazione Culturale per la ricerca, la pratica, l'apprendimento e la diffusione dello Yoga e dell

24/12/2025
Questi tre sūtra spiegano come il karma si forma, matura e viene sperimentato, e perché la pratica dello yoga è essenzia...
20/12/2025

Questi tre sūtra spiegano come il karma si forma, matura e viene sperimentato, e perché la pratica dello yoga è essenziale per interrompere il meccanismo della sofferenza futura.

Taimni sottolinea che non si tratta di fatalismo, ma di leggi psicologiche e spirituali precise, che possono essere comprese e trasformate.

Sūtra II.12

kleśa-mūlaḥ karma-āśayo dṛṣṭa-adṛṣṭa-janma-vedanīyaḥ

> Il deposito karmico ha come radice le afflizioni (kleśa) e produce esperienze sia nella vita presente sia in quelle prevedenti

Il karma non nasce dalle azioni esteriori, ma dallo stato interiore di coscienza con cui agiamo.

Le afflizioni (avidyā, asmitā, rāga, dveṣa, abhiniveśa) sono il seme del karma.

Il karma-āśaya è come un magazzino inconscio che conserva le impressioni (saṃskāra).
Finché i kleśa sono attivi, il karma continua a produrre effetti, anche se esteriormente sembriamo “fare cose giuste”.

Una persona aiuta gli altri:
se lo fa per amore → poco o nessun legame karmico

se lo fa per bisogno di riconoscimento → si crea karma, perché c’è asmitā (ego)

Non è l’azione, ma la motivazione profonda che lega.

Sūtra II.13

sati mūle tad-vipāko jāty-āyur-bhogāḥ

> Finché la radice (dei kleśa) è presente, il karma matura producendo nascita, durata della vita ed esperienze.

Taimni chiarisce che il karma determina tre aspetti fondamentali dell’esistenza:

1. Jāti – il tipo di nascita (contesto, famiglia, corpo, cultura)

2. Āyus – la durata della vita

3. Bhoga – le esperienze che viviamo (piacevoli o dolorose)

Ma attenzione:
Non è un destino rigido
È una tendenza, che può essere modificata riducendo i kleśa attraverso la pratica

Quando la radice è estirpata, il karma non germoglia più.

Due persone vivono la stessa situazione difficile:

una reagisce con rabbia → rafforza il karma

l’altra con consapevolezza → scioglie il karma

La libertà cresce con la consapevolezza.

Sūtra II.14

te hlāda-paritāpa-phalāḥ puṇya-apuṇya-hetutvāt

> Le esperienze karmiche producono piacere o dolore a seconda che la loro causa sia virtuosa o non virtuosa.

Taimni sottolinea un punto cruciale:

Anche il karma “buono” lega, se è accompagnato da attaccamento al piacere.

Il piacere rafforza il desiderio

Il dolore rafforza l’avversione

Entrambi mantengono il ciclo di sofferenza (saṃsāra).

Lo yoga non cerca:

né il piacere

né la fuga dal dolore
ma la trascendenza di entrambi.

Se cerco sempre esperienze “positive” → divento dipendente

Se rifiuto il dolore → creo paura

Lo yogi osserva:

> “Questa è un’esperienza, non la mia identità.”

Secondo Taimni, questi sūtra ci insegnano che:

Il karma nasce dai kleśa

I kleśa possono essere indeboliti

Quando la radice è distrutta, il karma perde potere

Lo yoga è una scienza della liberazione, non una morale.
🙏 Anna Maria Bello 🙏

Yoga Sutra 2.10ते प्रतिप्रसवहेयाः सूक्ष्माःte pratiprasava-heyāḥ sūkṣmāḥ “Questi, quando sottili, devono essere dissolti...
20/12/2025

Yoga Sutra 2.10

ते प्रतिप्रसवहेयाः सूक्ष्माः
te pratiprasava-heyāḥ sūkṣmāḥ
“Questi, quando sottili, devono essere dissolti ritornando alla loro origine.”

In questo sutra Patañjali parla dei klesha (le cause della sofferenza: ignoranza, egoismo, attaccamento, avversione, paura della morte). Qui afferma che nella loro forma più sottile questi afflizioni non sono evidenti ma ancora latenti; queste forme sottili devono essere eliminate andando a ritroso verso la loro causa originaria.

Taimni interpreta questo sutra spiegando che i klesha esistono in vari stati:
attivo, evidente nelle reazioni esteriori,
latente o dormiente, ancora potenziale.
Quelli sottili si manifestano raramente, ma possono riattivarsi se non eliminati alla radice. Taimni osserva che il verbo pratiprasava indica un movimento all’indietro, un’involuzione: per eliminare i klesha bisogna risalire alla causa primaria, che in filosofia yoga è l’avidyā (ignoranza), da cui derivano poi ego, attaccamenti e avversioni.
Questo processo di “ritorno alla causa” è considerato una parte essenziale della dissoluzione completa dei klesha e porta verso la liberazione (kaivalya).
Taimni sottolinea non solo il semplice sopire o attenuare i klesha, ma capire e sradicare la causa più profonda di questi stati dolorosi, fino all’ignoranza stessa, in modo che non possano più ripresentarsi.

Yoga Sutra 2.11

ध्यान हेयाः तद्वृत्तयः
dhyāna-heyāḥ tat-vṛttayaḥ
“Le modificazioni [della mente] dovute a queste [afflizioni] devono essere eliminate mediante meditazione.”

Patañjali qui introduce dhyana (meditazione profonda) come il mezzo per far cessare le modificazioni del pensiero (vṛttis) causate dai klesha. Vṛttis sono le “oscillazioni” o movimenti mentali che turbano la mente; eliminarle significa rendere la mente sempre più calma e pura.

Taimni interpreta questo sutra come un’ulteriore tappa nel processo di dissoluzione dei klesha:

1. Prima, cercare di ridurre l’energia attiva dei klesha (kriya yoga e pratiche preliminari).

2. Poi, con la meditazione profonda, si eliminano le modificazioni (vṛttis) prodotte dai klesha, cioè le reazioni mentali automatiche che essi causano.

3. Solo quando questi schemi mentali si dissolvono, la mente diventa così calma che i klesha non possono più riattivarsi facilmente.

Dhyana non è solo una pratica di concentrazione esteriore, ma un profondo stato di attenzione meditativa in cui la mente diventa così silenziosa da non reagire più ai trigger mentali che prima la turbarono. In questo stato, le fluttuazioni provocate da attaccamento, avversione, paura, ecc. vengono progressivamente eliminate.

Secondo Taimni, quindi, la meditazione è lo strumento attraverso cui la coscienza diventa auto-riflessiva e stabile, così che i klesha residuali, ormai attenuati, non si manifestino più come perturbazioni nella mente.

Fase yogica:cosa succede

Riduzione grossolana dei klesha praticando tapas, svādhyāya, īśvarapraṇidhāna (kriya yoga)
Eliminazione delle modificazioni mentali mediante meditazione (dhyana → riduce vṛttis prodotti dai klesha)
Eliminazione delle cause sottili tornando alla causa originaria (pratiprasava), fino a dissolvere avidyā stessa

Per Taimni, nei sutra 2.10 e 2.11 Patañjali indica un percorso in due fasi verso la liberazione dalla sofferenza mentale:

1. Ridurre e dissolvere progressivamente i klesha, iniziando dal più sottile, risalendo alla loro radice ultima (pratiprasava).

2. Stabilizzare la mente con la meditazione, facendo in modo che le loro manifestazioni (le fluttuazioni mentali) cessino e non disturbino più la coscienza.
Anna Maria Bello

II.7 – सुखानुशयी रागःSukhānuśayī rāgaḥTraduzione:L’attaccamento nasce dall’esperienza del piacere.Per Taimni il rāga non...
17/12/2025

II.7 – सुखानुशयी रागः

Sukhānuśayī rāgaḥ
Traduzione:
L’attaccamento nasce dall’esperienza del piacere.

Per Taimni il rāga non è semplicemente “desiderare qualcosa”, ma una spinta radicata nel subconscio che si forma quando la mente sperimenta piacere e vuole ripeterlo.
L’esperienza gradevole lascia un’“impronta” (saṁskāra) che continua a operare anche quando non ne siamo consapevoli.

si crea dipendenza da un certo stato meditativo,
si cercano continuamente conferme, affetto, risultati,
ci si attacca a ruoli, identità, sensazioni.

Yoga insegna che il problema non è il piacere, ma l’automatismo che esso genera. La pratica serve a vedere l’impulso sorgere e a restare liberi nelle scelte.

II.8 – दुःखानुशयी द्वेषः

Duḥkhānuśayī dveṣaḥ
Traduzione:
L’avversione nasce dall’esperienza del dolore.

Come il piacere genera attaccamento, il dolore genera dveṣa, cioè repulsione profonda.
Taimni ricorda che corpo e mente reagiscono automaticamente al dolore, fisico o emotivo, creando un’abitudine a evitare ciò che è sgradevole. Anche qui è un processo inconscio.

evitare una posizione perché associata a frustrazione,
rifiutare pratiche che mettono in luce le proprie rigidità,
chiudersi davanti a critiche o fallimenti.

Lo yoga non cerca il dolore, ma insegna a non esserne dominati: osservare la reazione e non lasciarsi condizionare.

II.9 – स्वरसवाही विदुषोऽपि तथा रूढोऽभिनिवेशः

Svarasavāhī viduṣo’pi tathā rūḍho’bhiniveśaḥ
Traduzione:
L’attaccamento alla vita è radicato naturalmente e persiste perfino nel saggio.

Secondo Taimni, abhiniveśa è l’istinto più profondo: la paura della dissoluzione del sé, che si esprime come attaccamento alla vita o timore della morte.
È così radicato che opera anche nelle menti più sviluppate, perché non nasce da esperienze recenti, ma da un impulso ancestrale che si è accumulato attraverso innumerevoli esistenze.

paura del cambiamento,

bisogno di controllare tutto,

tensione nel lasciare andare abitudini, relazioni o identità.

Lo yoga non mira a eliminare brutalmente questo impulso, ma a trasformarlo attraverso la comprensione della natura del sé: quando si intuisce che il Sé profondo non nasce né muore, la paura diminuisce spontaneamente.

Questi tre sūtra descrivono le forme principali di attaccamento che condizionano la mente:

1. Rāga – correre verso il piacere.

2. Dveṣa – fuggire dal dolore.

3. Abhiniveśa – aggrapparsi alla propria esistenza separata.

Per Taimni, riconoscere questi automatismi è fondamentale perché costruiscono l’ego e i suoi movimenti. La pratica yogica diventa allora un processo di consapevolezza sempre più fine che permette di vivere con libertà anziché reagire meccanicamente.
Buona riflessione Anna Maria Bello

Sūtra II.4अविद्या क्षेत्रम् उत्तरेषां प्रसुप्त तनु विच्छिन्नोदाराणाम् ॥४॥Avidyā kṣetram uttareṣāṁ prasupta-tanu-vicchinn...
11/12/2025

Sūtra II.4

अविद्या क्षेत्रम् उत्तरेषां प्रसुप्त तनु विच्छिन्नोदाराणाम् ॥४॥

Avidyā kṣetram uttareṣāṁ prasupta-tanu-vicchinna-udārāṇām.

Traduzione

L’ignoranza (avidyā) è il campo fertile in cui germogliano le altre afflizioni (klesha), che possono essere in uno dei quattro stati: latente, assottigliato, interrotto o pienamente attivo.

Sūtra II.5

अनित्याशुचिदुःखानात्मसु नित्यशुचिसुखात्मख्यातिरविद्या ॥५॥

Anitya-aśuci-duḥkha-anātmasu nitya-śuci-sukha-ātma-khyātir avidyā.

Traduzione

Avidyā è prendere l’impermanente per permanente, l’impuro per puro, il doloroso per piacevole e il non-Sé per il Sé.

Sūtra II.6

दृग्दर्शनशक्त्योरेकात्मतेवास्मिता ॥६॥

Dṛg-darśana-śaktyor eka-ātmatā iva asmitā.

Traduzione

L’ego (asmitā) è la falsa identificazione tra la facoltà del vedere (la coscienza) e ciò che viene visto (la mente/sensi), come se fossero un’unica realtà.

1. Avidyā come radice (II.4)

Taimni spiega che tutte le nostre difficoltà interiori attaccamento, avversione, paura, ego nascono da una percezione distorta della realtà.
Avidyā è come la “terra” in cui crescono gli altri klesha: finché è fertile, essi continuano a manifestarsi.

Per capire il lavoro dello Yoga, non bisogna combattere ogni emozione una per una, ma purificare la radice che le genera.

Le 4 fasi di Avidyā (II.4)

Patanjali usa quattro termini fondamentali, molto sottolineati da Taimni:

Prasuptā — latente (addormentata)
L’ignoranza non si manifesta, ma è presente come seme.
Esempio: una persona tranquilla, ma che reagisce bruscamente quando toccata in un punto sensibile.

Tanu — assottigliata
L’avidyā è indebolita dalla pratica: le reazioni sorgono solo debolmente.
Esempio: sorge irritazione, ma la riconosci e non ti cattura.

Vicchinnā — interrotta (temporaneamente sospesa)
La calma o la meditazione la coprono, ma non è dissolta.
Esempio: durante una meditazione profonda tutto è sereno, ma poi le emozioni ritornano.

Udārā — attiva (espansa)
L’ignoranza è pienamente attiva: forte ego, reattività, attaccamenti.
Esempio: gelosia, paura, rabbia, bisogno di controllo.

Taimni invita ad osservarle senza giudizio, perché tutti noi attraversiamo continuamente questi stati.

2. Le forme dell’ignoranza (II.5)

Taimni chiarisce che avidyā non è “mancanza di informazioni”, ma un errore di prospettiva.
È la “radice” perché ci fa confondere:

il temporaneo → per permanente

ciò che genera sofferenza → per fonte di felicità

ciò che non è il Sé → per il Sé

ciò che è limitato → per reale e assoluto

L’intera pratica yogica consiste nello sciogliere questo errore.

3. La nascita dell’ego (II.6)

Taimni sottolinea che l’ego (asmitā) nasce dall’identificazione tra:

la coscienza pura (il “testimone”)

la mente e gli strumenti psicologici

È come pensare che la luce appartenga alla lampadina, quando in realtà è solo un mezzo.

L’ego non è un nemico: è un malinteso, un’identificazione temporanea.

Lo Yoga mira a separare il Sé dagli strumenti, portando chiarezza e libertà interiore.

Osservatevi e chiedetevi:
1. In quale fase dell’avidyā mi trovavo?
(latente, assottigliata, interrotta, attiva)

2. Stavo confondendo qualcosa di impermanente con ciò che è stabile?

3. Mi stavo identificando con un pensiero/emozione come se fosse “io”?
Buona lettura
Anna Maria Bello

Sādhanā Pāda, Sūtra 1, 2, 3II.1 – Tapas, Svādhyāya, Īśvara-praṇidhāna kriyā-yogaḥ“Il Kriyā Yoga è composto da disciplina...
05/12/2025

Sādhanā Pāda, Sūtra 1, 2, 3

II.1 – Tapas, Svādhyāya, Īśvara-praṇidhāna kriyā-yogaḥ

“Il Kriyā Yoga è composto da disciplina (tapas), studio di sé e dei testi (svādhyāya), e devozione/offerta delle proprie azioni a un principio superiore (īśvara-praṇidhāna).”

Patañjali ci ricorda che lo yoga non è solo una pratica fisica, ma una via di trasformazione interiore.
Tre ingredienti aprono questo cammino:

Tapas: la capacità di mantenere il fuoco della disciplina, dell’impegno costante, della volontà che purifica abitudini e rigidità. Non è sforzo forzato: è calore che trasforma.

Svādhyāya: l’osservazione di sé e lo studio dei testi yogici. Guardarsi dentro senza giudizio e nutrire la mente con conoscenza che illumina.

Īśvara-praṇidhāna: il gesto di offrire, di lasciare andare l’attaccamento ai risultati. Agire con purezza, senza aspettarsi ricompense.

Questi tre aspetti insieme creano un percorso che rende la pratica quotidiana più significativa e stabile.

II.2 – Samādhi-bhāvanārthaḥ kleśa-tanū-karaṇārthaś ca

“Questa pratica ha lo scopo di favorire il samādhi e di attenuare le cause della sofferenza.”

Il lavoro su di noi non serve soltanto a diventare più “bravi” nella pratica: serve a liberarci dalle radici della sofferenza interiore.
Quando pratichiamo con consapevolezza, presenza e dedizione:
la mente si stabilizza
i pensieri diventano più chiari
emergono calma e centratura

Il fine ultimo è samādhi, cioè uno stato di unità, chiarezza e silenzio profondo.
Il percorso è graduale: ogni respiro consapevole attenua un piccolo strato di confusione.

II.3 – Avidyā asmitā rāga dveṣa abhiniveśāḥ kleśāḥ

“Ignoranza, senso distorto dell’io, attaccamento, avversione e paura della perdita sono i fattori di sofferenza (kleśa).”

Patañjali elenca le cinque radici della sofferenza che tutti incontriamo:

1. Avidyā – l’ignoranza fondamentale: non vedere la realtà così com’è.

2. Asmitā – l’identificazione eccessiva con l’ego: “io sono solo questo corpo, questo ruolo, questa storia”.

3. Rāga – l’attaccamento: il bisogno di trattenere ciò che ci piace.

4. Dveṣa – l’avversione: il rifiuto impulsivo di ciò che non ci piace.

5. Abhiniveśa – la paura del cambiamento, la paura della perdita, la paura di lasciar andare.

Questi kleśa condizionano pensieri, emozioni e scelte.
La pratica yogica non li elimina con la forza: li illumina, li rende visibili e meno potenti.
Quando li riconosciamo, cominciamo a essere più liberi.

I Sūtra 1, 2 e 3 del Sādhanā Pāda ci mostrano la struttura del cammino interiore:
una disciplina che purifica, uno studio che chiarisce, una dedizione che libera.
Con queste basi, la mente si alleggerisce, le radici della sofferenza si indeboliscono, e lo yoga diventa un processo di trasformazione profonda e stabile.
Buona giornata Anna Maria Bello

I.48 – Ṛtaṁbharā tatra prajñāSanscrito (IAST)ṛtaṁbharā tatra prajñāTraduzione letterale“La conoscenza lì (in quel samādh...
02/12/2025

I.48 – Ṛtaṁbharā tatra prajñā

Sanscrito (IAST)

ṛtaṁbharā tatra prajñā

Traduzione letterale

“La conoscenza lì (in quel samādhi) è ‘colma di verità’.”

Taimni chiarisce che, nel samādhi più alto ottenuto attraverso la concentrazione pura, sorge una conoscenza che non è più soggettiva, non distorta da memoria, emozioni, concetti o condizionamenti.
È una conoscenza diretta, immediata, che riflette la Realtà così com’è.

Qui Patanjali dice che la mente, diventata perfettamente trasparente, non “interpreta”: riflette la verità in modo puro.

I.49 – Śrutānumāna-prajñābhyām anya-viṣayā viśeṣārthatvāt

Sanscrito (IAST)

śrutānumāna-prajñābhyām anya-viṣayā viśeṣārthatvāt

Traduzione letterale

“Questa conoscenza è diversa da quella derivante dallo studio (śruta) o dall’inferenza (anumāna), perché ha un oggetto specifico e distinto.”

Secondo Taimni, la conoscenza ordinaria si basa su:

śruta = ciò che abbiamo ascoltato, studiato, letto

anumāna = ciò che deduciamo, interpretiamo, ragioniamo

Ma entrambe queste vie sono indirette e quindi fallibili.
La conoscenza del samādhi, invece, è:
✔ diretta (non mediata)
✔ assoluta
✔ inequivocabile

Non è “credere” né “ipotizzare”: è vedere la realtà direttamente.

I.50 – Taj-jah saṃskāro ’nya-saṃskāra-prati-bandhī

Sanscrito (IAST)

taj-jaḥ saṃskāro ’nya-saṃskāra-prati-bandhī

Traduzione letterale

“Il saṁskāra nato da quella conoscenza ostacola gli altri saṁskāra.”

Il samādhi produce un impressione mentale potentissima (saṁskāra) che “sovrascrive” le impressioni ordinarie (paure, condizionamenti, desideri, abitudini).

Questo saṁskāra superiore purifica gli altri,
stabilizza la mente nella verità, indebolisce le vecchie tendenze mentali che creano illusione (avidyā).

È come creare un seme così puro da sciogliere gradualmente tutti i semi mentali “impuri”.

I.51 – Tadā sarva-viveka-khyāter nirbījaḥ samādhiḥ

Sanscrito (IAST)

tadā sarva-viveka-khyāter nirbījaḥ samādhiḥ

Traduzione letterale

“Allora, a causa della completa discriminazione (viveka), il samādhi diventa senza seme (nirbīja).”

Questo è l’apice del percorso.
Quando la conoscenza discriminativa (viveka) è perfetta, anche l’ultimo saṁskāra positivo si dissolve.
La mente non ha più semi che possano germogliare.
Non rimane alcuna impressione, alcun contenuto, alcuna forma.

Secondo Taimni, questo è: ✔ Nirbīja Samādhi
✔ il samādhi assoluto
✔ lo stato oltre la mente
✔ liberazione dai condizionamenti
✔ lo stato in cui il Puruṣa brilla da sé

È il momento in cui la coscienza non riflette più nulla: rimane solo la pura consapevolezza.
....................

48: si ottiene una conoscenza pura e veritiera.

49: questa conoscenza è diversa da studio e ragionamento: è diretta.

50: questa esperienza lascia un’impronta che cancella le altre impressioni mentali.

51: quando tutte le impressioni si dissolvono, rimane il samādhi senza seme, la liberazione .

Buona lettura Anna Maria Bello

Sūtra I.44 — Sūkṣma–viṣayatvam ca aliṅga–paryavasānamTema: L’oggetto della meditazione può diventare sempre più sottile,...
27/11/2025

Sūtra I.44 — Sūkṣma–viṣayatvam ca aliṅga–paryavasānam

Tema: L’oggetto della meditazione può diventare sempre più sottile, fino a ciò che non ha forma.

Secondo Taimni, la coscienza può essere guidata a investigare piani sempre più sottili della realtà. Dopo aver stabilizzato l’attenzione su oggetti grossolani o concetti mentali chiari, il praticante è in grado di rivolgersi a livelli più profondi, dove gli oggetti non sono più percepibili attraverso la forma, ma solo come principi o essenze.

A questo livello, la meditazione non ha più come oggetto “qualcosa” di definito. La mente impara a restare stabile anche quando l’oggetto è un principio astratto, per esempio una qualità (pace, luce, ordine), un processo, o persino l’idea fondamentale che sta alla base di tutte le forme.

– Lo yogin non cerca più un’immagine.
– Entra nella struttura sottile della realtà.
– La mente diventa più trasparente e meno dipendente dalla forma.

Sūtra I.45 — Sthūla–svarūpa–sūkṣma–aliṅga—paryavasānam

Tema: Le differenti tappe del samāpatti, dal grossolano all’indifferenziato.

Taimni vede in questo sūtra la descrizione di un percorso progressivo:

1. sthūla – oggetti grossolani, fisici, concreti

2. svarūpa – l’essenza psicologica o archetipica dell’oggetto

3. sūkṣma – l’essenza sottile, priva di caratteristiche manifeste

4. aliṅga – ciò che ancora precede la forma: la radice stessa del manifestarsi

Patanjali non parla solo di livelli di oggetto, ma di livelli di coscienza. A ogni tappa la mente abbandona un velo, una sovrastruttura, un’interpretazione. Il meditante impara a percepire “ciò che è”, senza proiezioni.

– La meditazione è un processo di raffinamento.
– Più l’oggetto è sottile, più sottile deve diventare la mente.
– La coscienza comincia a funzionare oltre il pensiero concettuale.

Sūtra I.46 — Tā eva sabījaḥ samādhiḥ

Tema: Tutti questi stati sono ancora “con seme”.

Taimni sottolinea che finché c’è un oggetto, un “seme” di attenzione, lo stato non è ancora il samādhi finale. È una meditazione elevata, purissima, ma non totale.

Il seme è la direzione della mente. Non è più un pensiero ordinario, ma comunque esiste un punto di riferimento. Anche quando il meditante contempla un principio profondissimo, rimane una traccia di dualità: “io medito su qualcosa”.

– Questi stati sono alti, ma non ultimativi.
– Esiste ancora una dualità sottile.
– Comunque costituiscono il percorso indispensabile verso il senza-seme.

Sūtra I.47 — Nirvicāra–vaiśāradye adhyātma–prasādaḥ

Tema: Quando la meditazione senza riflessione diventa stabile, nasce la chiarezza interiore.

Per Taimni, qui Patanjali descrive uno stato in cui la mente, libera da ogni sovrastruttura discorsiva, diventa limpida come un cristallo. Non c’è più lotta, né interferenza del pensiero. L’intuizione spirituale può fluire nella coscienza.

La “chiarezza interiore” non è un’emozione, ma una condizione di trasparenza mentale. La mente non impone più interpretazioni: riflette direttamente la realtà sottile. È lo stato che permette all’intuizione autentica, non immaginata, di emergere.

– La mente è stabile e silenziosa.
– L’intuizione superiore comincia a manifestarsi.
– L’esperienza diventa “auto-luminosa”: la comprensione sorge da dentro.

Questi quattro sūtra descrivono il movimento che porta la mente:

1. dal concreto al sottile,

2. dal sottile al senza-forma,

3. dal senza-forma alla trasparenza interiore.

Seguire questo percorso significa apprendere a lasciare andare, strato dopo strato, ogni identificazione mentale, fino a permettere alla coscienza di rivelare la sua natura più chiara e profonda.
🙏🙏🙏🙏
Anna Maria Bello

Sūtra I.42 – Savitarka SamādhiTema centrale: la mente è concentrata su un oggetto materiale, ma è ancora mescolata a con...
24/11/2025

Sūtra I.42 – Savitarka Samādhi

Tema centrale: la mente è concentrata su un oggetto materiale, ma è ancora mescolata a concetti, parole e interpretazioni.

In questa fase della meditazione la mente riesce a mantenere l’attenzione su un oggetto concreto (come un simbolo, un suono, un’immagine mentale), ma non è ancora “pura”.
Secondo Taimni, l’attenzione è stabile, ma il processo mentale non è libero dalle sue sovrapposizioni abituali:

il nome dell’oggetto (“questo è un fiore”, “questo è un mantra”),

il concetto associato (“i fiori sono belli”, “i mantra servono per…”),

le esperienze passate collegate ad esso.

È come osservare qualcosa attraverso un vetro con leggere increspature: si vede, ma non perfettamente.

Per Taimni, il meditante è ancora coinvolto in un dialogo sottile tra l’oggetto e la propria mente.
È una concentrazione corretta, stabile, ma non ancora “trasparente”.
È il primo livello di un processo di raffinamento: qui la mente è focalizzata, ma non è ancora silenziosa.

Sūtra I.43 – Nirvitarka Samādhi

Tema centrale: stessa concentrazione sul medesimo oggetto, ma senza parole, concetti.

In questo stadio la mente diventa limpida, come un lago senza onde.
L’oggetto rimane, ma tutto ciò che la mente normalmente aggiunge scompare.
Non c’è più:

nome,

interpretazione,

associazione mentale,

giudizio,

memoria del passato collegata all’oggetto.

Secondo Taimni, ciò che rimane è l’oggetto “nudo”, colto nella sua essenza.
La coscienza non aggiunge più nulla: riflette solamente.

È come guardare la luna su un’acqua perfettamente immobile: l’immagine è pura, senza distorsioni.

Taimni sottolinea che in Nirvitarka la mente non è più un agente attivo, ma un mezzo trasparente.
Il meditante non “pensa all’oggetto”: lo contempla senza interventi.
Questo permette alla coscienza di cogliere aspetti più profondi della realtà, che non possono emergere finché il pensiero crea rumore.
🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟

Savitarka → meditazione con “disturbi sottili”:
l’attenzione è buona, ma la mente continua a commentare.

Nirvitarka → meditazione “pulita”:
l’attenzione è pura e priva di pensieri aggiunti.

Un’analogia utile:

Savitarka Guardare un oggetto attraverso vetro leggermente opaco c’è un filtro mentale
Nirvitarka Guardare attraverso vetro perfettamente trasparente la mente non interferisce

Questi sūtra non descrivono stati mistici irraggiungibili, ma tappe progressive della concentrazione.
Ogni volta che la mente diventa un po’ più silenziosa, ci si muove dal primo al secondo livello.
La pratica costante porta, naturalmente e senza forzare, a una percezione più chiara e diretta della realtà.
Anna Maria Bello

Sūtra I.40 – Para­ma-aṇu-parama-mahattvānto ’sya vaśīkāraḥTesto:“Il controllo (della mente) si estende dall’infinitament...
23/11/2025

Sūtra I.40 – Para­ma-aṇu-parama-mahattvānto ’sya vaśīkāraḥ

Testo:
“Il controllo (della mente) si estende dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande.”

Questo sūtra descrive la potenza della mente stabilizzata. Quando attraverso la pratica (soprattutto dhāraṇā, dhyāna, samādhi) la mente diventa davvero concentrata e calma, essa può focalizzarsi su qualsiasi oggetto, senza limiti:
dall’atomo (parama-aṇu): cioè ciò che è estremamente sottile, interno, quasi invisibile ai sensi;
al cosmico (parama-mahattva): ciò che è vasto, universale, oltre il singolo individuo.

Secondo Taimni questo non significa che lo yogin diventa “onnipotente”, ma che la mente, quando non è più agitata, acquista la sua capacità naturale di percezione sottile.
È come se una lente, una volta pulita e ferma, potesse mettere a fuoco un granello di polvere o l’intero cielo.

Questo sūtra ci ricorda che la mente ha potenzialità immense, ma che nella vita quotidiana ne sperimentiamo solo una parte a causa della distrazione e della dispersione.
Ogni volta che pratichiamo la concentrazione, anche solo per alcuni secondi, stiamo coltivando quella stessa capacità di focalizzare che, nello yoga avanzato, diventa uno strumento di conoscenza profonda.
Non importa l’oggetto: ciò che conta è la qualità della mente che osserva.

Sūtra I.41 – Kṣīṇa-vṛtter abhijātasyeva maṇer grahītṛ-grahaṇa-grāhyeṣu tatstha-tadañjālatā samāpattiḥ

Testo:
“Quando le modificazioni mentali si sono assottigliate, la mente diventa limpida come un cristallo e riflette allo stesso tempo il soggetto, l’atto di percepire e l’oggetto: questo stato è chiamato samāpatti.”

Qui Patañjali descrive il primo stadio del samādhi, chiamato samāpatti.
Taimni lo paragona a un cristallo purissimo: se lo appoggi su un panno rosso, sembra rosso; se lo metti su un fiore bianco, appare bianco. Il cristallo non aggiunge nulla di suo, riflette solo.

Così la mente, quando le vṛtti (fluttuazioni, pensieri) si calmano:
non distorce l’oggetto;
non sovrappone memorie o giudizi;
non separa più soggetto, percezione, oggetto.

C’è un’unità temporanea, un “rispecchiamento perfetto”.
Lo yogin vede ciò che osserva così com’è.

Taimni sottolinea che questo non è ancora il samādhi finale, ma un livello in cui la mente è talmente trasparente da diventare un canale fedele della realtà. È una condizione di conoscenza diretta, più che di ragionamento.

Questo sūtra ci vuole insegnare che la vera comprensione nasce quando la mente è silenziosa e lucidissima, non quando è piena di sforzo o agitazione.
Anche nella vita quotidiana, quando riusciamo a “metterci da parte” e osservare con semplicità, ci avviciniamo a quello stato di chiarezza cristallina di cui parla Patañjali.

È un invito a:
praticare l’ascolto profondo,
sospendere il giudizio,
lasciare che l’esperienza si riveli da sé.

Sūtra 1.40: la mente concentrata può dirigersi verso qualsiasi cosa, dal microscopico al cosmico. La vera forza non è dominare gli oggetti, ma avere una mente stabile.

Sūtra 1.41: quando le fluttuazioni cessano, la mente diventa come un cristallo trasparente e riflette la realtà senza distorsioni. Questo è l’inizio della visione chiara, o samāpatti.

Buona domenica Anna Maria Bello

Yoga Sūtra di Patañjali – Sezione I (Samādhi Pāda)I.33मैत्रीकरुणामुदितोपेक्षाणां सुखदुःखपुण्यापुण्यविषयाणां भावनातश्चित्...
15/11/2025

Yoga Sūtra di Patañjali – Sezione I (Samādhi Pāda)

I.33

मैत्रीकरुणामुदितोपेक्षाणां सुखदुःखपुण्यापुण्यविषयाणां भावनातश्चित्तप्रसादनम् ॥३३॥
maitrī–karuṇā–mudita–upekṣāṇāṃ sukha–duḥkha–puṇya–apuṇya–viṣayāṇāṃ bhāvanātaś cittaprasādanam

Traduzione:
La mente diventa calma e pura (citta-prasādanam) meditando su sentimenti di amicizia (maitrī) verso i felici, compassione (karuṇā) verso i sofferenti, gioia (muditā) verso i virtuosi e equanimità (upekṣā) verso i malvagi.

Taimni spiega che questo sūtra presenta un metodo psicologico per mantenere la mente calma nel contatto con gli altri.
Le quattro qualità, maitrī, karuṇā, muditā, upekṣā, sono “atteggiamenti mentali correttivi” che neutralizzano le emozioni disturbanti.
Quando reagiamo alle persone in questo modo, impediamo alla mente di agitarsi per attrazione o repulsione, e si ottiene così il prasādanam, cioè la serenità mentale.
È un esercizio quotidiano di purificazione emozionale, parte essenziale della disciplina yogica.

I.34

प्रच्छर्दनविधारणाभ्यां वा प्राणस्य ॥३४॥
pracchardana-vidhāraṇābhyāṃ vā prāṇasya

Traduzione:
Oppure (la mente diventa calma) tramite l’espirazione e la ritenzione del respiro.

Qui Patañjali indica il controllo del prāṇa come un altro mezzo per la quiete mentale.
Taimni spiega che il respiro e la mente sono strettamente collegati: quando uno si calma, anche l’altro segue.
La pratica della prāṇāyāma, specialmente l’espirazione lunga e la sospensione naturale del respiro, riduce il movimento del citta e prepara allo stato meditativo.
Non si tratta ancora del prāṇāyāma tecnico dell’ottuplice sentiero (che verrà descritto in II.49), ma di un uso preliminare e semplice del respiro per favorire la concentrazione.

I.35

विषयवती वा प्रवृत्तिरुत्पन्ना मनसः स्थितिनिबन्धिनी ॥३५॥
viṣayavatī vā pravṛttir utpannā manasaḥ sthiti-nibandhinī

Traduzione:
Oppure la stabilità della mente può essere ottenuta concentrandosi su una percezione sensoriale elevata o su un oggetto interiore che produce chiarezza mentale.

Taimni interpreta questo sūtra come riferimento a esperienze interiori o percezioni sottili (sensazioni di luce, suono, o energia) che possono sorgere spontaneamente durante la concentrazione.
Quando tali percezioni si manifestano, la mente può utilizzarle come punto d’appoggio (ālambana) per mantenersi stabile.
Non sono fini in sé, ma strumenti temporanei per fissare la coscienza e approfondire la meditazione.
Il pericolo, dice Taimni, è di attaccarsi all’esperienza sensoriale invece di andare oltre verso la pura consapevolezza.

Sintesi

Sūtra 33 → Coltiva atteggiamenti mentali positivi nelle relazioni: amore, compassione, gioia, equanimità.

Sūtra 34 → Usa il respiro consapevole come chiave immediata per calmare la mente.

Sūtra 35 → Riconosci e utilizza le percezioni interiori come strumenti per approfondire la concentrazione, senza attaccamento.

Insieme, questi tre sūtra mostrano tre vie complementari alla quiete mentale:

1. Etica e psicologia del cuore,
2. Controllo del prāṇa,
3. Concentrazione e interiorizzazione della percezione.

Anna Maria Bello

Indirizzo

Via Cavalieri Di Vittorio Veneto 4/a
Tortona
15057

Orario di apertura

Lunedì 16:00 - 18:30
Martedì 16:00 - 19:00
Mercoledì 16:00 - 19:00
Giovedì 16:00 - 18:30

Telefono

+393389357661

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Samadhi Yoga Studio APS -Tortona - Marchio Registrato pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Condividi

Share on Facebook Share on Twitter Share on LinkedIn
Share on Pinterest Share on Reddit Share via Email
Share on WhatsApp Share on Instagram Share on Telegram