17/07/2025
IL DRAMMA DEL BAMBINO DOTATO
In questi giorni rileggevo “Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé’”, con le stesse fatiche di sempre ma con nuove consapevolezze.
Alice Miller, con una lucidità spiazzante, in questo libro mette nero su bianco qualcosa che spesso resta nascosto nelle fessure della nostra storia personale: l’adattamento precoce del bambino e della bambina ai bisogni emotivi dei genitori.
Questo è uno di quei libri che non solo leggi ma che riesce a leggerti dentro.
Il dramma del bambino dotato non parla del talento nel senso comune del termine. Parla del talento più invisibile e pericoloso: quello di percepire, adattarsi, annullarsi per diventare ciò che serve agli altri, pur di essere amati.
Quanti e quante di noi hanno imparato a farlo troppo presto?
A diventare il figlio e la figlia perfetti, il contenitore silenzioso delle emozioni familiari, i piccoli adulti che si prendono cura del mondo mentre nessuno si prende cura di loro?
Alice Miller ci mostra che questa bambina e questo bambino “dotati” spesso diventano adulti disconnessi da sé.
Diventano un adulto che sa leggere gli altri, ma non sé stesso.
Che si colpevolizza quando prova rabbia.
Che ha paura di sbagliare, di deludere, di non essere abbastanza.
Che non riesce a dire “no” senza sentirsi cattivo.
Che continua a cercare conferme fuori, perché dentro ha imparato a non fidarsi più dei propri bisogni.
E nel cuore di questo dramma si annida la pedagogia nera, quel modello educativo basato sull’umiliazione, sulla paura, sul ricatto affettivo.
Una pedagogia che si tramanda senza voler fare del male, ma che il male lo fa lo stesso.
Quando pensiamo alla violenza verso i bambini e le bambine, spesso immaginiamo solo quella fisica: urla, botte, sculaccioni.
Ma ce n’è un’altra, più subdola e difficile da riconoscere.
Una violenza silenziosa, che non lascia segni visibili sul corpo ma incide in profondità sull’identità, sull’autostima, sul senso di sé.
È la violenza delle parole.
Dei silenzi.
Delle aspettative non dette.
Dei sorrisi negati quando non si è come dovremmo essere.
Dei ricatti affettivi mascherati da educazione.
Frasi come:
“Se fai così, la mamma è triste.”
“Guarda tuo cugino, lui sì che si comporta bene.”
“Non piangere, non è niente.”
“Te lo do io un buon motivo per piangere.”
“Se ti comporti così, papà non ti vuole più bene.” “Vergognati! Che figura mi fai fare?”
“Ti ho cresciuto con tanti sacrifici, e tu mi ripaghi così?”
Sono frasi normalizzate, spesso dette per abitudine.
Ma ogni parola di questo tipo può trasformarsi in una piccola ferita invisibile.
È questa la radice di tante sofferenze adulte:
– L’ansia di non essere mai all’altezza.
– La paura di deludere.
– La tendenza a compiacere.
– La rabbia repressa.
– Il senso di colpa anche solo per dire “no”.
È questa la pedagogia nera: quando si insegna a un bambino o a una bambina a obbedire più che a capire. A vergognarsi più che a sentire. A compiacere più che a esistere.
Come dice Alice Miller:
“Il bambino si adatta per sopravvivere, ma a volte quell’adattamento costa la connessione con la propria verità.”
Per questo è importante educarci prima ancora che educare.
Riconoscere la fatica che ci portiamo dietro.
Dare spazio alle nostre ferite per non passarle a chi verrà dopo.
Smettere di minimizzare dicendo “sono solo parole” o “a me non ha fatto niente” o peggio di tutto “siamo cresciuti bene bene così!”
Perché sì, le parole fanno.
Formano o deformano.
Sostengono o schiacciano.
E ognuno di noi ha il potere e la responsabilità di scegliere quali lasciare nei cuori dei bambini e delle bambine.
È tempo di cambiare linguaggio.
Non per essere perfetti, ma per essere più umani, più presenti, più consapevoli.
È tempo di trasformare l’educazione in un atto d’amore, e non di paura.
E no, non è vero che uno sculaccione non ha mai fatto male a nessuno.
Perché la ferita non è solo fisica: è emotiva, invisibile, profonda.
È l’idea che il tuo corpo, i tuoi limiti, le tue emozioni non contino. Che il potere sia più importante dell’ascolto.
Cambiare si può. E oggi è doveroso.
Perché non si tratta solo di “non fare del male”, ma di imparare a fare del bene davvero.
Di crescere bambini che non debbano guarire tutta la vita da ciò che hanno vissuto nei primi anni.
Di liberarci dal passato che ci abita, per non renderlo eredità.
Di scegliere la consapevolezza al posto dell’automatismo.
La cura al posto del controllo.
La relazione al posto della paura.
Non c’è rivoluzione più radicale e amorevole che quella di educare con rispetto.
Non perfetti, ma presenti.
Non rigidi, ma reali.
Con la voglia di riparare, di rivedere, di riscrivere.
E forse, anche per noi adulti feriti, è tempo di tornare là, dove tutto è iniziato.
E di prenderci per mano, una volta per tutte. ♥️
“Solo quando siamo in grado di riconoscere la verità del nostro passato, possiamo essere liberi nel presente.” A. Miller