04/06/2023
Soffro di disturbi dell’attenzione.
A scuola, da bambino, quando eccellere significava conformarsi, starsene seduti zitti e composti, studiare risme di informazioni all’apparenza tutte uguali, questa parte di me era una maledizione. Mi faceva sembrare un buono a nulla. Uno senza speranza. Un fallito.
Oggi sono il CEO di una delle organizzazioni umanitarie in più rapida espansione in Italia, Still I Rise, grazie alla quale diamo lavoro a quasi 150 persone in Italia e nel mondo, contribuendo milioni di euro ad alcune delle economie più depauperate del globo. È proprio questa mia mente bizzarra a permettermi di innovare, di alterare gli equilibri, di lavorare su più fronti contemporaneamente per trovare soluzioni nuove a problemi vecchi come il mondo. È proprio ciò che più mi rendeva “strano”, “sbagliato” o “inadatto” agli occhi della gente a essere diventato la mia risorsa più grande.
“Pensatore sottosopra”, ecco come si definiscono le persone come me negli ambienti accademici oggi. Vent’anni fa? Vent’anni fa eravamo solamente dei piantagrane, delle delusioni, delle patate bollenti, delle seccature. Ma il mondo di oggi non è più quello di 20 anni fa, per fortuna, e oggi sappiamo che alcuni tipi di neurodiversità, se capite, accolte e stimolate, possono rivelarsi ancor più efficaci di molte cosiddette “neurotipicità”. Gli studi dimostrano che il disturbo dell’attenzione può nascondere in realtà uno spiccato istinto creativo e di risoluzione dei problemi, la capacità di rispondere alle crisi con maggiore controllo di sé, la propensione all’intrepidezza e all’imprenditoria e una predisposizione all’intuitività e all’attenzione al dettaglio.
Sempre più leader nel mondo ammettono di avere neurodivergenze, tra cui i disturbi dell’attenzione, senza più vergogna ma come un dato di fatto: il loro successo, in molti casi, deriva proprio da questa anomalia. E se il mondo negli ultimi 20 anni è riuscito a evolversi, perché la scuola è ancora ferma al controllo e all’uniformità?
È quindi agli insegnanti, ai presidi e agli educatori che mi rivolgo oggi, non solo in qualità di ex-studente che tanto ha sofferto sui banchi di scuola ma soprattutto come collega e insegnante a mia volta: solo quando riusciremo a immaginare una scuola in grado di costruire, anziché l’uniformità, la sovversione dello status quo, potremo davvero cambiare il mondo. Solo se sapremo riconoscere in ogni studente un patrimonio irripetibile di talento e potenziale potremo crescere un’umanità più felice. Solo quando avremo il coraggio di immaginare un futuro veramente inclusivo partendo da un presente più gentile, allora riusciremo a vivere in un mondo di pace e armonia, dove il diverso sia accolto come prezioso anziché schiacciato come non conforme. Noi di Still I Rise stiamo testando un Metodo Educativo nuovo, che punta, anziché al controllo, al rigore e all’obbligo, alla ricerca dell’universale attraverso il particolare, all’individualità culturale, emotiva e psicosociale di ogni bambino e, dunque, a un’eccellenza cercata all’interno, e non al di fuori, di ogni studente.
E se ti sembra utopia, è solo perché ti hanno abituato a guardare le sbarre anziché il giardino, bellissimo, poco più in là. Te lo dice uno dei tanti proverbiali pesci a cui avevano detto che per vincere bisognava scalare gli alberi, fin quando poi mi sono accorto dell’oceano, immenso, che mi aspettava dietro l’angolo. E così ho capito di non essere “sbagliato”, solo diverso, e ora apro Scuole in cui la diversità non è ostacolata ma premiata, così che nessun bambino debba più sentirsi un fallito o rimanere indietro.