
09/03/2022
Accogliamo le riflessioni di Winnicott purtroppo sempre attuali.....
Per casa intendo quell’una o due stanze che nella mente del bambino si sono associate con la madre e il padre, con gli altri bambini e con il gatto...
Quando è a casa egli sa in realtà com’è la sua casa e per questa ragione è libero di far finta che ci sai qualcosa che desideri ai fini del suo gioco. E giocare non è soltanto un piacere: è essenziale al suo benessere.
Un conto è, per un bambino che è a casa, combattere battaglie attorno ai muri della stessa e poi all’una rientrare per il pranzo, un altro conto è essere sfollato e privo di contatti e trovarsi a fantasticare un assassino in cucina. Una cosa è starsene a testa in giù sulla strada per il piacere di vedere la propria abitazione capovolta prima di rimettersi in piedi, e tutt’altra è trovarsi a duecento miglia e essere convinti che la propria casa stia bruciando o crollando.
IL BAMBINO DEPRIVATO – Le origini della tendenza antisociale, Ed. Raffaello Cortina, 1986, pagg. 58-60
DONALD W. WINNICOTT
Ci sono strane persone – degli ottimisti, suppongo – che hanno magnificato lo sfollamento come un’occasione di una nuova vita offerta ai poveri bambini delle città. Questi tali non erano in grado di riconoscere nello sfollamento una grande tragedia, perciò lo considerarono come una delle benedizioni nascoste della guerra. Ma non può mai costituire un bene il togliere i bambini dalle loro case che sono di solito soddisfacenti. E per “casa”, lo sapete, non intendo una graziosa abitazione con tutte le comodità moderne. Per casa intendo quell’una o due stanze che nella mente del bambino si sono associate con la madre e il padre, con gli altri bambini e con il gatto. E dove c’è uno scaffale o un armadio in cui si ripongono i giocattoli …
Ribadisco che, quando un bambino è a casa, ciò gli permette di sperimentare tutta la gamma dei suoi sentimenti e ciò costituisce sempre e solo un bene. Invece mi preoccupano le idee che vengono in mente al bambino a proposito della sua casa quando ne sta lontano per molto tempo. Quando è a casa egli sa in realtà com’è la sua casa e per questa ragione è libero di far finta che ci sia qualcosa che desideri ai fini del suo gioco. E giocare non è soltanto un piacere: è essenziale al suo benessere. Quando è lontano, d’altra parte, non ha la possibilità di sapere di momento in momento com’è effettivamente la sua casa, quindi i suoi pensieri perdono il contatto con la realtà e ciò può spaventarlo.
Un conto è, per un bambino che è a casa, combattere battaglie attorno ai muri della stessa e poi all’una rientrare per il pranzo, un altro conto è essere sfollato e privo di contatti e trovarsi a fantasticare un assassino in cucina. Una cosa è starsene a testa in giù sulla strada per il piacere di vedere la propria abitazione capovolta prima di rimettersi in piedi, e tutt’altra è trovarsi a duecento miglia e essere convinti che la propria casa stia bruciando o crollando.
IL BAMBINO DEPRIVATO – Le origini della tendenza antisociale, Ed. Raffaello Cortina, 1986, pagg. 58-60