Itaca - Centro di Psicoterapia, Psichiatria e Neuropsichiatria infantile

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Itaca è un luogo di cura e ascolto, nato dalla passione di uno psichiatra e due psicoterapeuti
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Orari per contattare il Centro Medico Itaca:
lun-ven 17:00-20:30, sab 10:00-12:00.

"La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare" canta Jovanotti in "Mi fido di te". Mi ritrovo spesso, in tera...
02/09/2025

"La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare" canta Jovanotti in "Mi fido di te". Mi ritrovo spesso, in terapia, a ricorrere a questa frase, quando di fronte a me siedono persone che presentano un'organizzazione fobica.
Valeria Ugazio ha descritto l'organizzazione fobica rintracciabile in conversazioni familiari intessute dai significati creati da polarità mutualmente escludentisi: "semantica della libertà". Le polarità principali sono libertà-dipendenza ed esplorazione-attaccamento e, sul piano emotivo, paura/coraggio.
A causa di eventi drammatici o per ragioni meno evidenti, queste famiglie percepiscono il mondo esterno come minaccioso, la stessa espressione delle emozioni è considerata fonte di pericolo. Proprio perché la realtà incute paura i familiari offriranno protezione, e allo stesso tempo promuoveranno l'idea che la libertà e l'indipendenza possano essere raggiunte soltanto al di fuori della relazione.
I soggetti fobici si sentono sull'orlo di un baratro pauroso. La sensazione di allarme di fronte a un futuro con accadimenti che si sentono inadeguati ad affrontare, li accompagna costantemente. Per questo è importante disporre di punti di riferimento: un matrimonio, un genitore, la routine di un lavoro. Anche l'edicolante o il cameriere del bar possono rappresentare un ancoraggio. Ma i punti di riferimento, sono vissuti come barriere.

Questa semantica produce polarizzazione delle identità: nello stesso nucleo familiare si osservano globetrotter e persone così stanziali da non muoversi dal quartiere. Chi manifesta estremo bisogno di protezione e chi appare autosufficiente.
Il soggetto fobico risulta bloccato da un dilemma irrisolvibile: il fallimento del tentativo di trovare equilibrio tra il bisogno di protezione da un mondo pericoloso e il bisogno di libertà e indipendenza. Attaccamento ed esplorazione vengono avvertiti come inconciliabili.

La funzione della paura non dovrebbe accompagnarsi all'evitamento ma al desiderio di procedere in equilibrio per avanzare con sicurezza. La relazione terapeutica può rappresentare quella base sicura dalla quale cominciare a muoversi imparando a fidarsi e affidarsi a sé stessi.

✍ Dott.ssa Noemi Santoro

𝐋𝐚 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐬𝐨𝐦𝐚𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐫𝐢𝐝𝐮𝐫𝐫𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞. 𝐄̀ 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐮𝐧 𝐭𝐮𝐭𝐭’𝐮𝐧𝐨: 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐢, 𝐞𝐦𝐨𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢, 𝐭𝐞𝐬𝐬𝐮𝐭𝐢, 𝐛𝐚𝐭...
26/08/2025

𝐋𝐚 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐬𝐨𝐦𝐚𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐫𝐢𝐝𝐮𝐫𝐫𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞. 𝐄̀ 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐮𝐧 𝐭𝐮𝐭𝐭’𝐮𝐧𝐨: 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐢, 𝐞𝐦𝐨𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢, 𝐭𝐞𝐬𝐬𝐮𝐭𝐢, 𝐛𝐚𝐭𝐭𝐢𝐭𝐢, 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐞.

C’è un linguaggio che il corpo conosce da sempre. Un linguaggio fatto di sintomi, di segnali silenziosi, di tensioni che spesso non sappiamo spiegare.
È il linguaggio della psicosomatica, che ci insegna che mente e corpo non sono separati.
Quando un’emozione non trova modo di essere riconosciuta, contenuta, espressa può trasformarsi in un sintomo fisico. E quel sintomo non è “contro di noi”, è con noi, araldo di una richiesta d’ascolto.
Mi capita spesso di incontrare persone che soffrono di emicranie persistenti, gastriti, dolori muscolari, stanchezze croniche. Disturbi per cui hanno cercato cause mediche, nel corpo, senza mai trovare una risposta definitiva.
Quando ci si ferma a volgere lo sguardo all’interno nello spazio protetto della stanza del terapeuta, emerge spesso qualcosa di più profondo:
un peso per cui le spalle sono stanche, un dolore rimasto bloccato, una paura trattenuta sotto la pelle per troppo tempo.
Il corpo diventa allora il primo portavoce di una parte di noi che chiede attenzione e presenza a noi stessi. E lo fa nel solo modo che conosce: manifestandosi.
La psicosomatica non è ridurre tutto alla mente. È riconoscere che siamo un tutt’uno: pensieri, emozioni, tessuti, battiti, storie.

✍ Dott.ssa Daniela Uglia

La 𝒅𝒊𝒔𝒓𝒆𝒈𝒐𝒍𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒆𝒎𝒐𝒕𝒊𝒗𝒂 nell’infanzia e soprattutto in adolescenza, è la difficoltà a riconoscere e a gestire e modula...
19/08/2025

La 𝒅𝒊𝒔𝒓𝒆𝒈𝒐𝒍𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒆𝒎𝒐𝒕𝒊𝒗𝒂 nell’infanzia e soprattutto in adolescenza, è la difficoltà a riconoscere e a gestire e modulare in modo appropriato le proprie emozioni, sia positive che negative, con un possibile impatto significativo sulla vita quotidiana, in particolare sulle relazioni sociali, il rendimento scolastico e il benessere generale dei ragazzi.

Gli adolescenti con disregolazione emotiva possono:
• Vivere le emozioni in modo intenso e totalizzante.
• Avere difficoltà a passare da uno stato emotivo all'altro, rimanendo bloccati in emozioni più spesso negative come rabbia, tristezza o frustrazione.
• Reagire in modo impulsivo, senza riuscire a controllare i propri impulsi.
• Avere sbalzi d'umore, passando rapidamente da uno stato emotivo all'altro.
• Avere difficoltà a gestire le relazioni, a causa di comportamenti instabili o reazioni emotive inappropriate.
• Avere difficoltà di concentrazione e di attenzione in ambito scolastico.
• Manifestare problemi relazionali con i pari e con i familiari.
• Presentare comportamenti di evitamento, come la tendenza a sottrarsi a situazioni che suscitano emozioni negative.
• Manifestare tensione muscolare e/o iperattività motoria.
• Avere un più alto rischio di sviluppare disturbi quali ansia, depressione o disturbi alimentari e/o comportamenti autolesionistici o abuso di sostanze.

Fondamentale la presa in carico psicoterapeutica del minore ma anche del nucleo familiare, quando necessario, eventualmente associata ad un supporto anche di tipo farmacologico.

✍ Dott.ssa Roberta Mazza

“𝑷𝒐𝒓𝒕𝒐 𝒂𝒅𝒅𝒐𝒔𝒔𝒐 𝒍𝒆 𝒇𝒆𝒓𝒊𝒕𝒆 𝒅𝒊 𝒕𝒖𝒕𝒕𝒆 𝒍𝒆 𝒃𝒂𝒕𝒕𝒂𝒈𝒍𝒊𝒆 𝒄𝒉𝒆 𝒉𝒐 𝒆𝒗𝒊𝒕𝒂𝒕𝒐”. 𝐹. 𝑃𝑒𝑠𝑠𝑜𝑎In sole 11 parole il poeta portoghese Fernando ...
12/08/2025

“𝑷𝒐𝒓𝒕𝒐 𝒂𝒅𝒅𝒐𝒔𝒔𝒐 𝒍𝒆 𝒇𝒆𝒓𝒊𝒕𝒆 𝒅𝒊 𝒕𝒖𝒕𝒕𝒆 𝒍𝒆 𝒃𝒂𝒕𝒕𝒂𝒈𝒍𝒊𝒆 𝒄𝒉𝒆 𝒉𝒐 𝒆𝒗𝒊𝒕𝒂𝒕𝒐”.
𝐹. 𝑃𝑒𝑠𝑠𝑜𝑎

In sole 11 parole il poeta portoghese Fernando Pessoa ha racchiuso il senso di una notevole parte del processo terapeutico. Nella ricostruzione delle storie, al fianco del paziente, il terapeuta incontra molto spesso delle ferite che riguardano il non detto, il non fatto. Nodi emotivi che si sono formati nel momento in cui la vita ha proposto delle sfide ed i pazienti riconoscono di non averle colte. 𝐒𝐟𝐢𝐝𝐞 𝐄𝐕𝐈𝐓𝐀𝐓𝐄. L’esplorazione di tali passaggi cruciali nella narrazione della propria vita offre la preziosa possibilità di ridefinire e dare un senso, un significato alle scelte. Perché ho sentito di non poter affrontare quella battaglia, quella sfida? Quale paura mi ha atterrito e soprattutto perché.
Pessoa parla di “ferite” e con la scelta di questa parola mette in risalto il dolore che ne consegue. Un dolore che mi “porto addosso”, persiste e guida le mie future scelte e le mie azioni. Mi capita spesso di citare questa frase ad alcuni pazienti che riescono a riconoscersi in questo dolore. In maniera diretta e non mediata, nella profondità che solo i poeti sanno raggiungere. Anche con sole 11 parole.

✍ Dott. Giacomo Rescio

𝐏𝐨𝐬𝐭𝐨, 𝐝𝐮𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐬𝐨𝐧𝐨?𝐿'𝑒𝑠𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑒́ 𝑛𝑒𝑖 𝑠𝑜𝑐𝑖𝑎𝑙 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎. 𝑅𝑖𝑓𝑙𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑐𝑙𝑖𝑛𝑖𝑐𝑜-𝑓𝑖𝑙𝑜𝑠𝑜𝑓𝑖𝑐ℎ𝑒Nella cultura ipermediale conte...
05/08/2025

𝐏𝐨𝐬𝐭𝐨, 𝐝𝐮𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐬𝐨𝐧𝐨?
𝐿'𝑒𝑠𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑒́ 𝑛𝑒𝑖 𝑠𝑜𝑐𝑖𝑎𝑙 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎. 𝑅𝑖𝑓𝑙𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑐𝑙𝑖𝑛𝑖𝑐𝑜-𝑓𝑖𝑙𝑜𝑠𝑜𝑓𝑖𝑐ℎ𝑒

Nella cultura ipermediale contemporanea, l'esposizione costante di sé nei social non è più solo una forma di comunicazione, ma un gesto che attraversa affetti, identità e soprattutto il 𝐝𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨.

Pubblicare frammenti della propria vita diventa un modo per confermare la propria esistenza attraverso lo sguardo dell'altro, nella speranza di potersi restituire una continuità psichica. Quando il senso di sé si costruisce a partire dal rispecchiamento, come accade nelle prime fasi dello sviluppo, anche un like, una visualizzazione possono funzionare come risposte regolative.

L'immagine di sé si forma in relazione all'immagine che si mostra. Il soggetto, così, rischia di identificarsi con ciò che appare, più che con ciò che sente. In questa dinamica, la rappresentazione può sostituirsi all'esperienza.

Tra i miei pazienti, in seduta è sovente il racconto di letture di stati o storie postate in cui emerge, in maniera evidente quanto la comunicazione con l'altro subisce, in questi processi ed attraverso questi canali, una netta distorsione. Ogni destinatario decodifica a suo modo il messaggio postato senza possibilità di stabilire con l'Altro un confronto sulla lettura. Le interpretazioni divengono così molteplici e sempre più spesso legate a significati correlati agli stati d'animo del destinatario.

Il messaggio, lo scambio relazionale vengono così privati da quello che è il vero intento dell'emittente. L'identità si frammenta nella molteplicità delle forme visibili, mentre ciò che resta invisibile - il silenzio, l'attesa, la mancanza - viene escluso dal campo dell'esistenza. A volte, la ripetizione stessa del gesto di postare è una costruzione di contorno, un modo per ritrovarsi dove altrimenti si rischia di perdersi.

Cosa resta, quando si spegne lo schermo? Ci sono esperienze che chiedono silenzio, non esposizione. Zone d'ombra in cui l'identità non è contenuto da mostrare, ma gesto vivo, in ascolto di sé. Abitare ciò che non si dice può aprire uno spazio nuovo dove l’essere non ha più bisogno di apparire per sentirsi reale.

✍ Dott. Andrea Zizzari

29/07/2025
"La tua assenza mi ha attraversato come un filo in un ago. Ogni cosa che faccio è cucita con il suo colore".W. S. Merwin...
22/07/2025

"La tua assenza mi ha attraversato come un filo in un ago. Ogni cosa che faccio è cucita con il suo colore".
W. S. Merwin

La scorsa settimana abbiamo illustrato un argomento frequentemente trattato in terapia: il lutto e la sua gestione. Aggiungiamo oggi che i clinici hanno individuato e descritto nel Manuale Diagnostico Statistico per i Disturbi Mentali (DSM-V) una nuova categoria: il Prolonged Grief Disorder (PGD), il lutto prolungato, o complicato.

Ciò significa che la teoria di Kübler-Ross sugli stadi del lutto (negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione) non rappresenta sempre ciò che accade, e che il lutto spesso non è superabile in maniera lineare, ma si può bloccare, diventando "patologico". Ciò è correlato alla presenza di fattori esterni (età della persona deceduta, condizioni in cui si è verificata la perdita, lunga malattia, possibilità di una rete di supporto) o interni (qualità del legame di attaccamento, resilienza, strategie di coping).

L'idea che il tempo guarisca ogni cosa è empiricamente smentita, perché nell'affrontare la perdita di un legame significativo, ognuno di noi è chiamato ad una sfida esistenziale cruciale che può mettere in crisi il senso profondo della nostra identità. "Chi sono io senza?", "Come posso continuare la mia vita d'ora in poi?" Sono domande che possono richiamare un'esperienza di vuoto angosciante.

Il processo del lutto trova il suo senso nel sostituire con un valore diverso il valore perduto, accettando di poter dimenticare, di lasciare andare, investendo nella rinuncia a far vivere nel presente dimensioni dell'esistenza passata. Quando queste condizioni non si verificano, il lutto si configura come un processo di crisi che impedisce una risoluzione in grado di favorire una ricostruzione della propria identità e un'apertura a nuove relazioni.

Il percorso terapeutico si fonda nella possibilità di costruire una nuova dimensione identitaria accogliendo l'idea che il disorientamento del lutto ha a che vedere con interrogativi di natura esistenziale. È a questi che prestiamo attenzione, e dalla comprensione del loro senso ricomincia la vita.

✍🏻 Dott.ssa Alessia Vilei

𝑳𝒂𝒔𝒄𝒊𝒂𝒓 𝒂𝒏𝒅𝒂𝒓𝒆: 𝒒𝒖𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒊𝒍 𝒍𝒖𝒕𝒕𝒐 𝒅𝒊𝒗𝒊𝒆𝒏𝒆 𝒖𝒏 𝒑𝒐𝒏𝒕𝒆 𝒕𝒓𝒂 𝒊𝒍 𝒎𝒆 𝒄𝒐𝒏 𝒕𝒆 𝒆 𝒊𝒍 𝒕𝒆 𝒅𝒆𝒏𝒕𝒓𝒐 𝒅𝒊 𝒎𝒆Lasciare andare non è dimenticare,...
15/07/2025

𝑳𝒂𝒔𝒄𝒊𝒂𝒓 𝒂𝒏𝒅𝒂𝒓𝒆: 𝒒𝒖𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒊𝒍 𝒍𝒖𝒕𝒕𝒐 𝒅𝒊𝒗𝒊𝒆𝒏𝒆 𝒖𝒏 𝒑𝒐𝒏𝒕𝒆 𝒕𝒓𝒂 𝒊𝒍 𝒎𝒆 𝒄𝒐𝒏 𝒕𝒆 𝒆 𝒊𝒍 𝒕𝒆 𝒅𝒆𝒏𝒕𝒓𝒐 𝒅𝒊 𝒎𝒆

Lasciare andare non è dimenticare, né rimuovere o spegnere il ricordo.
Lasciare andare, nel lutto, è un gesto lento e interiore.
È accogliere che ciò che era 𝑓𝑢𝑜𝑟𝑖 𝑑𝑖 𝑚𝑒 ora chiede spazio 𝑑𝑒𝑛𝑡𝑟𝑜.
Il lutto è la fine di una forma, ma non dell’amore.
È la frattura del quotidiano, ma anche l’inizio di una nuova geografia del sentire.
Quella in cui il “noi” non esiste più nel tempo lineare, ma resiste nella memoria incarnata, nei gesti che restano, nelle parole che affiorano quando meno ce lo aspettiamo.
Quando attraversiamo un lutto, ci muoviamo tra due rive.
Da una parte il “me con te”: le abitudini, i rituali, la presenza.
Dall’altra, il “te dentro di me”: ciò che resta, ciò che trasforma.
Il ponte è fragile, ma reale.
Si chiama elaborazione, ma spesso si costruisce con lacrime, silenzi e ricordi improvvisi.
Lasciare andare non è smettere di amare, ma imparare a farlo in un altro modo.
È disegnare una nuova relazione.

Porta con te la domanda: “𝐶𝑜𝑠𝑎 𝑣𝑜𝑟𝑟𝑒𝑠𝑡𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑒𝑠𝑡𝑎𝑠𝑠𝑒 𝑑𝑖 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑙𝑒𝑔𝑎𝑚𝑒 𝑑𝑒𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑡𝑒?”.
Nel carosello troverai la lettura clinica del lutto con le fasi che lo caratterizzano e alcune indicazioni e strumenti per attraversarlo al meglio.

✍🏻 Dott.ssa Selenia Greco

Mi ritrovo spesso in stanza di terapia a spiegare la differenza tra il lessico quotidiano e quello che scherzosamente de...
08/07/2025

Mi ritrovo spesso in stanza di terapia a spiegare la differenza tra il lessico quotidiano e quello che scherzosamente definisco "psicologese". In molte circostanze, infatti, per avviare un lavoro psicoterapico efficace, è necessario ridefinire il significato delle parole.

Oggi vorrei riflettere con voi sul tema del perdono affidandomi agli studi di Clara Mucci. Mucci descrive il perdono non come clemenza, pentimento o semplice generosità, ma come frutto di un intenso lavoro di mentalizzazione – cioè la capacità di comprendere il comportamento altrui come risultato di stati mentali simili ai nostri – promosso dal rapporto di fiducia con il terapeuta. È proprio questa relazione terapeutica che consente alla persona di abbandonare gradualmente quello che Bromberg (1995) chiama il "santuario dissociativo del dolore", superando la paura che si prova nel lasciare andare le proprie difese e iniziando a pensare, al futuro e dunque al proprio passato.

Si ritiene, infatti, che il perdono abbia effetti benefici non soltanto sulla salute mentale, ma anche sulla salute fisica, agendo attraverso il sistema immunitario, la regolazione emotiva e le risorse psicologiche generate dalle emozioni positive. Frederickson e Levenson (1998) sostengono che certe emozioni positive possano accelerare il recupero da disturbi cardiovascolari e migliorare il funzionamento immunitario.

Al contrario, studi recenti (McEwen, 2002) hanno dimostrato che sentimenti negativi, come il risentimento, agiscono sul corpo come stress cronico, generando sintomi non dissimili da quelli osservati nel disturbo da stress post-traumatico.
Questi risultati evidenziano quanto sia necessario in psicoterapia affrontare gli stati emotivi negativi utilizzando la mentalizzazione, la funzione riflessiva e coltivando empatia e comportamenti prosociali. Perché il perdono, nelle parole di Clara Mucci, "viene sperimentato come puro dono per chi lo riceve, ma soprattutto per chi lo concede". E forse la forma più importante di perdono è proprio quella rivolta verso il Sé, che permette una rinascita personale e un avanzare ottimistico verso nuovi orizzonti.

✍🏻 Dott.ssa Noemi Santoro

Stress, emozioni trattenute, dolori che faticano ad incontrare le parole, sofferenze custodite nel silenzio, sensi di co...
01/07/2025

Stress, emozioni trattenute, dolori che faticano ad incontrare le parole, sofferenze custodite nel silenzio, sensi di colpa taciuti in fondo al cuore, quando non sono riconosciuti ed elaborati sul piano psichico, imboccano quel canale che permette loro di avere voce: il corpo.
E’ il corpo a soffrire laddove la mente non può darsi il permesso di farlo: il linguaggio delle emozioni non prevede che contenuti psichici così importanti, anche se tenuti alla larga dalla consapevolezza, possano smettere di reclamare il loro spazio e così vengono esternalizzati sul corpo.
Sapere che ogni evento psichico ha una base biologica ci aiuta a superare il dualismo mente-corpo e a considerare il nostro corpo molto più di un involucro fatto di cellule e tessuti.
Per stare bene nella mente e nel corpo dobbiamo imparare ad ascoltare e decodificare i “messaggi” che arrivano dal corpo, volgendo lo sguardo dentro, a quelle parti del nostro mondo interno che, spesso, chiedono di non essere taciute con i farmaci, ma di raccontarsi e dare voce al bisogno di navigare nel grande mare della vita con uno zaino più leggero e un paio di occhiali nuovi.
E’ importante non giudicarsi o colpevolizzarsi tutte le volte che il dolore bussa alla porta del proprio mondo interno: lasciarlo entrare con gli occhi di chi conserva dentro la certezza di poter apprendere qualcosa di nuovo su di sé e sulla vita può liberare il corpo dal compito di tradurre in sintomi fisici quelle parole e quelle emozioni relegate negli scomparti della mente.

✍ Dott.ssa Daniela Uglia

Il terapeuta e la persona. Il terapeuta è la persona.Ieri, al Castello di Tutino, si è tenuto un dialogo aperto tra il D...
25/06/2025

Il terapeuta e la persona.
Il terapeuta è la persona.

Ieri, al Castello di Tutino, si è tenuto un dialogo aperto tra il Dott. Vinci e il Dott. Vito, insieme a tanti colleghi psicoterapeuti. Stare tra quelle parole è stato come sedersi accanto a chi non ha paura di raccontarsi, con lucidità e tenerezza. Mi sono sentita in buona compagnia oltre che rassicurata. Non perché condividessi ogni pensiero, ma perché ho riconosciuto un modo di stare nella cura che sento mio: onesto, vulnerabile, profondamente umano. Vito afferma: “Il nostro lavoro non si fa dall’alto. Si fa a partire da sé.” Del resto, il terapeuta non è immune dal dolore, ma è qualcuno che ogni giorno si espone, si lascia toccare e si mette in discussione.

Come ricorda il Dott. Vinci: “Il terapeuta è quella persona che deve poter rispondere, con sufficiente approssimazione, alla prima domanda: chi sono io? E alla seconda: come sto io?” Porto con me anche un’altra frase: “Quello che diciamo agli altri non può non riguardarci.”
Quando accogliamo un paziente, accogliamo anche le nostre parti che somigliano, che provocano e che ci spiazzano. Ecco che il controtransfert diviene esso stesso spazio terapeutico e non rischio da neutralizzare. È una voce viva che ci parla di noi, che apre uno specchio e che chiede autenticità. Guida insieme al desiderio che nutriamo per quel paziente, diviene torcia che illumina il percorso.

E poi quella parola, letta da un paziente all’ingresso dell’ospedale: ACCETTAZIONE, che lui interpreta come un messaggio terapeutico, non come indicazione logistica e forse ha ragione.
Accettare significa lasciare spazio a ciò che arriva, anche quando è scomodo e quando fa paura. Ci siamo chiesti insieme: Cosa rende oggi davvero terapeutica la nostra presenza? Non cosa facciamo, non perché lo facciamo… Ma come ci lasciamo attraversare dalla nostra fallibilità. Come restiamo in ascolto delle nostre crepe, come accettiamo che il controtransfert ci parli anche quando ci scompone?
Forse è proprio da lì, da quel punto cedevole e umano, che il nostro esserci comincia davvero a curare.

Favorire lo sviluppo dell’autonomia nei bambini è un processo fondamentale per la crescita e il benessere psicologico. A...
24/06/2025

Favorire lo sviluppo dell’autonomia nei bambini è un processo fondamentale per la crescita e il benessere psicologico. Aiuta il bambino a diventare progressivamente più responsabile, sicuro di sé e indipendente e pone le basi per vivere l’adolescenza e la futura età adulta con una migliore capacità di affrontare le piccole e grandi sfide della vita quotidiana. Alcune semplici regole che possono aiutare i genitori:

- creare un ambiente di vita stabile e sereno, prevedendo spazi a misura di bambino, che lo incoraggino a provare a fare da solo
- promuovere lo svolgimento in autonomia delle comuni azioni di vita quotidiana (mangiare, vestirsi, spogliarsi, lavarsi…) in base all’età del bambino e alle sue capacità
- assegnare piccoli compiti nelle routine familiari e domestiche
- imparare a non anticipare il bambino, a non intervenire troppo presto, ad accettare l’errore e lodare l’impegno, non solo il risultato
- favorire sempre la comunicazione e l’ascolto e aiutare il bambino a verbalizzare emozioni e scelte
- stabilire regole chiare e coerenti, che aiutano a delineare i confini entro cui il bambino possa muoversi e agire in autonomia
- rappresentare un modello: il bambino impara molto di più osservando e seguendo l’esempio del genitore.

✍ Dott.ssa Roberta Mazza

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