07/08/2025
“Il neonato, quando è turbato da un disagio, proietta quel contenuto mentale grezzo – un’emozione intollerabile, una paura primitiva, una confusione – dentro la madre. Se la madre è in grado di ricevere questa proiezione con uno stato mentale che possiamo chiamare reverie, essa lo accoglie, lo contiene, lo elabora, e lo restituisce al bambino in una forma modificata e tollerabile.
La reverie materna è dunque quella funzione mentale che permette alla madre di entrare in contatto con l’esperienza emotiva del bambino senza esserne travolta. Essa consente la trasformazione degli elementi β – grezzi, non pensabili – in elementi α, pensabili, comunicabili.
Quando questa funzione è presente, il bambino comincia a interiorizzare questa capacità di pensare e sentire. Se invece la madre è rifiutante, anaffettiva, o disturbata al punto da non poter accogliere quelle proiezioni, allora il bambino resta invaso da quegli elementi β, che non diventano mai pensieri.
Allo stesso modo, nell’analisi, l’analista deve essere capace di reverie: ricevere ciò che il paziente proietta, contenerlo senza reagire in modo impulsivo o difensivo, e restituirlo sotto forma di interpretazione pensabile. Questo è un processo psichico tanto sottile quanto essenziale.
La reverie non è un sogno ad occhi aperti né una semplice fantasia. È un modo speciale di ascoltare, con la mente e col corpo, una forma di rêverie emozionale, in cui l’analista si lascia attraversare dalla comunicazione inconscia dell’altro, per poi restituirla trasformata, come una madre capace di “sognare” ciò che il suo bambino sente, prima ancora che egli possa esprimerlo.”
Wilfred Bion