
22/09/2025
In questi ultimi tempi mi torna spesso in mente il mio breve periodo in Cambogia. Non i templi antichi, non Angkor Wat, non i fiumi o i mercati, e neppure i luoghi di interesse turistico. Mi torna in mente la visita alla S-21, a Phnom Penh: una scuola superiore trasformata in prigione e centro di tortura (e di omicidio) da Pol Pot e dai suoi seguaci, alla fine degli anni ’70.
Ricordo bene la sensazione provata durante quelle ore di visita in uno dei tanti luoghi dove fu sterminato un quarto della popolazione cambogiana. Nessuno del nostro gruppo riuscì a proferire parola nelle ore successive: ammutoliti, ricorderò per sempre il peso di quel silenzio. Orrore, incredulità, sgomento, impotenza, indignazione, rabbia.
Fino a poco tempo fa continuavo a non capacitarmi di come nessuno, pur avendone il potere, abbia fatto qualcosa per fermare quello scempio, quel genocidio.
Purtroppo ora mi rendo conto di come sia possibile che una simile tragedia avvenga, davanti agli occhi di tutti, impunita.
Non sarà un post a cambiare questa terribile situazione, ma oggi scelgo di non distogliere lo sguardo e di unirmi, con tutta la mia sensibilità, alla nostra umanità ferita.
La vera risposta non potrà mai essere altra guerra, ma soltanto la pace.