14/11/2024
Caro Massimo Gramellini,
ho letto con attenzione il suo Caffè sul caso di Margaret Spada e sul ruolo dei social nella scelta del chirurgo. Come medico psichiatra che fa psicoeducazione online, sento il bisogno di condividere qualche riflessione. È un tema complesso, che tocca non solo la mia professione, ma anche il rapporto tra tecnologia e fiducia nelle competenze.
Lei ha descritto bene il contrasto generazionale: per i più giovani, i social sono una fonte primaria di informazioni, spesso percepiti come moderni e accessibili rispetto ai canali tradizionali. È vero, queste piattaforme offrono comodità e rapidità, ma proprio per questo possono portare a scelte frettolose, guidate più dagli algoritmi che da una reale consapevolezza. Tuttavia, associare chi usa i social per promuovere la propria professionalità a un "venditore di tappeti digitali" rischia di oscurare un aspetto importante: ci sono tanti professionisti che sui social fanno un lavoro serio e prezioso.
Io stesso, e molti colleghi, utilizziamo i social per combattere la disinformazione e offrire contenuti educativi. Non lo facciamo per sostituire il rapporto diretto con i pazienti, ma per ampliare il nostro raggio d’azione, raggiungendo chi altrimenti resterebbe escluso da informazioni affidabili. Questo non è un modo per aggirare le competenze, ma un’estensione del nostro impegno professionale.
È significativo, a tal proposito, che anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia deciso di utilizzare TikTok per contrastare le fake news durante la pandemia di COVID-19. L’OMS, riconoscendo l’impatto che questa piattaforma ha sui giovani, ha scelto di presidiare il social per diffondere informazioni corrette e autorevoli, dimostrando che i social non sono intrinsecamente negativi, ma strumenti potenti, da usare con intelligenza.
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