17/11/2025
‘A mio avviso, questo “rischio” non esiste, perché l’odio legittimo che è stato vissuto e compreso si dissolve e lascia in noi lo spazio per altre emozioni, a meno che ci si costringa a coltivare relazioni non gradite. In tal caso si ricade in una dipendenza che riproduce l’impotenza del bambino maltrattato. E proprio questa impotenza è stata all’origine dell’odio.
(..) L’animo del bambino aveva bisogno dell’amore dei suoi genitori per sopravvivere e aveva anche necessità di illudersi di essere amato per non rendersi conto di crescere in un deserto emotivo. L’adulto però può vivere con la sua verità, e il suo corpo gliene è riconoscente. In realtà, non è solo possibile, ma in certi casi è assolutamente necessario perdere quest’ “amore” o rinunciarvi deliberatamente, perché una persona che alla fine è in grado di capire il bambino che era non può amare il suo aguzzino senza mentire a se stesso. L’idea di essere legati mani e piedi a quell’amore corrisponde a una visione infantile. L’adulto è libero di investire il suo amore là dove egli possa vivere ed esprimere i suoi veri sentimenti senza doverne soffrire.
(..) La compassione del bambino non cambierà nulla nella depressione della madre, finché quest’ultima negherà la sofferenza che ha provato nella propria infanzia. (..) ma un figlio che continua a dedicarsi ai propri genitori può distruggersi la vita. La premessa per una vera compassione verso l’altro è solo provare empatia verso il proprio destino, un sentimento che il bambino maltrattato non ha mai potuto sviluppare. Egli era invece costretto a non avvertire la propria sofferenza. Se un bambino deve imparare a reprimere le proprie emozioni perde ogni capacità di provare empatia verso se stesso e di conseguenza verso gli altri.’
(pp. 88-90)