Studio di Psicologia e Neuropsicologia Clinica-Torino

Studio di Psicologia e Neuropsicologia Clinica-Torino Pisicologia e Neuropsicologia Clinica per l'eta' evolutiva, adulti e anziani. COS'E' LA NEUROPSICOLOGIA? IN COSA CONSISTE L'ESAME NEUROPSICOLOGICO?

SERVIZI:

-Consulenza e sostegno psicologico individuale, di coppia, familiare;

-Prevenzione, diagnosi e trattamento di disturbi cognitivi:
>in età evolutiva (DSA, ADHD, ritardo mentale, autismo);

>negli adulti (disturbi visuo-spaziali, di attenzione, memoria, apprendimento, percezione, linguaggio, programmazione e pianificazione, ragionamento e intelligenza);

>negli anziani (compromissione delle autonomie quotidiane, deterioramento cognitivo, demenze);

-difficoltà scolastiche e comportamentali in età scolare;

-sostegno alla genitorialità individuale e di gruppo; parent training;

-formazione per professionisti (insegnanti, educatori, studenti universitari). La neuropsicologia è una disciplina che studia i rapporti tra cervello e funzioni cognitive (attenzione, linguaggio, memoria, orientamento, pianificazione,...); queste ultime sarebbero correlate con il funzionamento di specifici sistemi cerebrali per cui un danno a carico di tali sistemi (ictus, traumi cranici, neoplasie, processi degenerativi o infezioni, sindromi genetiche, patologie congenite) può causare specifici deficit che si manifestano con alterazioni cognitive e del comportamento. Ed ecco che le normali attività quotidiane, come preparare il caffè, fare la spesa, mettersi alla guida, diventano difficili da svolgere, se non impossibili. Allora è bene affidarsi ad un professionista esperto che possa pianificare, dopo una valutazione approfondita, il percorso di riabilitazione più adatto per recuperare o compensare le difficoltà emerse. La valutazione neuropsicologica si sviluppa in quattro fasi principali:

1°: un primo incontro con il paziente e/o i familiari in cui vengono raccolte informazioni sul motivo per cui è stata richiesta una valutazione;

2°: attraverso l'"anamnesi cognitivo-comportamentale" si indaga sull'esordio del disturbo e la sua evoluzione; vengono raccolte informazioni mediche, eventi relativi alla vita recente e remota del paziente e si valuta lo stato psicologico generale;

3°: le prestazioni cognitive vengono indagate in maniera quantitativa attraverso la somministrazione di test neuropsicologici: si tratta di prove standardizzate, le quali prevedono che gli stimoli e le procedure di somministrazione siano definiti in modo scientifico e permettono di rilevare se la prestazione del paziente sia adeguata per la sua età e il suo livello di istruzione;

4°: l'ultima fase prevede la formulazione di una diagnosi neuropsicologica da parte del clinico che verrà comunicata al paziente e/o ai suoi familiari durante il colloquio di restituzione, attraverso una relazione che riportata il profilo cognitivo del paziente e le indicazioni per l'eventuale trattamento riabilitativo.

18/09/2025

In terapia me lo dicono sottovoce: “Prof, da quando ho il telefono non riesco più a dormire, non mi sento mai abbastanza, mi confronto sempre, mi sento vuoto.”
Non è un capriccio adolescenziale. È un dato che oggi la scienza conferma con chiarezza.

Secondo uno studio internazionale su oltre 100.000 giovani adulti (Sapien Labs, Global Mind Project, pubblicato su Journal of Human Development and Capabilities, settembre 2025), chi ha avuto lo smartphone prima dei 13 anni presenta peggiori indicatori di salute mentale: più ansia, più aggressività, più pensieri suicidi.
Le ragazze, soprattutto se hanno ricevuto il telefono già a 6 anni, riportano quasi il doppio dei pensieri suicidi gravi rispetto a chi lo ha avuto dopo i 13. Nei maschi aumentano distacco, impulsività, perdita di calma ed empatia.

Non è lo smartphone in sé: sono i social troppo precoci, il cyberbullismo, le notti senza sonno, la pressione di dover esserci sempre. Un cervello in formazione non regge un’onda che travolge così presto.

Agli adulti dico: non è proibizione, è protezione.
Rinviare l’età del primo smartphone, educare alla vita digitale, offrire alternative più semplici non è un limite, ma un atto d’amore.

Se non lo facciamo noi, lo farà il vuoto.

07/08/2025
07/06/2025

Luana Sciamanna, avvocata penalista, collabora con centri antiviolenza nel Lazio. Ha scritto un libro che riassume la sua esperienza «100 motivi per non riaprire a un narcisista»

01/05/2025
31/01/2025
29/01/2025

Un recente allarme arriva dal Regno Unito, dove un team di ricercatrici ha studiato il fenomeno dei “bambini influencer inconsapevoli” sui social. Pubblicato sulla rivista scientifica Plos One, lo studio è stato condotto da Katherine Baxter (Liverpool Hope University) e Barbara Czarnecka (London South Bank University), focalizzandosi su profili con un ampio seguito online. Si tratta di un’analisi che mette in luce i rischi derivanti dall’utilizzo dell’immagine dei minori a fini commerciali.

Le autrici hanno monitorato 10 mamme influencer con oltre 10mila follower ciascuna: nel 75% dei contenuti apparivano figli minorenni. Di questi, ben il 46,4% presentava sponsorizzazioni o pubblicità. L’elemento sorprendente è che, nonostante l’intento promozionale, la presenza dei bambini non correlava a un aumento significativo di like o interazioni.

Secondo lo studio, un’esposizione così massiccia può avere ripercussioni di lungo periodo sul benessere psico-emotivo dei piccoli: bullismo, utilizzo improprio delle foto e possibili distorsioni dell’autostima sono solo alcuni dei pericoli. L’idea di costruire una “brand identity familiare” può scontrarsi con la dignità e i diritti di chi, essendo minore, non ha la possibilità di scegliere.

Le ricercatrici evidenziano il “paradosso della privacy”: i genitori si dichiarano preoccupati per la sicurezza, ma pubblicano immagini personali in modo ricorrente. Alcune nazioni, come la Francia, hanno già introdotto normative per garantire il diritto all’oblio dei minori, ma a livello internazionale il quadro resta frammentario.

Lo studio invoca regole più chiare e un confronto con professionisti della psicologia, per valutare l’impatto a lungo termine di tali scelte digitali. L’obiettivo è difendere l’infanzia da un’eccessiva commercializzazione, preservando il benessere psicologico dei piccoli in un contesto online che, se non regolato, può trasformarsi in un rischio costante.

Per approfondire 👇🏻
https://www.repubblica.it/salute/2025/01/15/news/bambini_influencer_inconsapevoli_esposti_dai_genitori_sui_social_l_allarme_in_uno_studio-423941217/

07/01/2025

🌸 L'𝗔𝗗𝗛𝗗 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗱𝗼𝗻𝗻𝗲: un mondo ancora poco conosciuto 🌸

Lo sapevi che i sintomi dell'ADHD si manifestano diversamente nelle donne rispetto agli uomini? 💭
𝗦𝗽𝗲𝘀𝘀𝗼 𝘀𝗼𝘁𝘁𝗼𝘃𝗮𝗹𝘂𝘁𝗮𝘁𝗼 𝗼 𝗰𝗼𝗻𝗳𝘂𝘀𝗼 𝗰𝗼𝗻 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻𝗱𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶, l'ADHD femminile può influire profondamente su emozioni, relazioni e carriera.

💡 Nel nostro nuovo articolo, esploriamo:
🔹 Le differenze tra uomini e donne con ADHD
🔹 L'impatto degli ormoni, come gli estrogeni, sui sintomi
🔹 Strumenti e strategie per affrontare le sfide quotidiane

👩‍🔬 È ora di abbattere i pregiudizi e fare luce su questo tema ancora troppo ignorato. Scopri di più leggendo l'articolo completo sul nostro blog!

🔗 https://www.adhdpiemonte.it/ladhd-nelle-donne/

Questa volta, caro Collega, sono perfettamente d'accordo!
13/09/2024

Questa volta, caro Collega, sono perfettamente d'accordo!

MA DAVVERO E’ SBAGLIATO ATTENDERE I 14 ANNI PRIMA DI AVERE UNO SMARTPHONE? Rispondo a tutti coloro che hanno criticato la nostra petizione al governo
In questi giorni si è molto parlato della petizione - di cui io e Daniele Novara siamo primi firmatari -che chiede al governo di sostenere, per legge, la regolamentazione relativa all’ingresso dello smartphone nella vita dei minori e anche l’età minima necessaria per gestire un profilo social personale. Auspichiamo che lo smartphone venga posseduto non prima dei 14 anni e che non sia possibile avere un profilo social prima dei 16 anni. Le reazioni a questa proposta sono state enormi. Alcuni d’accordo, altri no. Il pensiero divergente è sempre importante, ma ciò che ho notato è che nessuno, quando dichiara la non validità di questa proposta (e spesso anche la non validità di chi l’ha fatta, ma questo è un altro argomento), parla mai di “addiction”. L’intero ambiente online è architettato per uncinare il fruitore a spendere sempre più tempo nell’online. Piattaforme social e di videogaming sono infarcite di artifici finalizzati a stimolare i circuiti dopaminergici dell’utilizzatore, ma questo non viene mai messo al centro delle riflessioni di chi continua a dire che la responsabilità è dei genitori e che bisognerebbe togliere lo smartphone o almeno farne ridurre l'uso agli adulti (cosa che condivido appieno) e non ai minori (cosa che invece non condivido per niente). Le leggi di stato sono spesso state promosse per tutelare soggetti fragili nei confronti di rischi che non sono in grado di gestire. Ci sono leggi che vietano la vendita di tabacco e alcol ai minori, che impediscono ad un minore di accedere ad una sala giochi, che non permettono ad un minore di assumere in autonomia sostanze ad azione psicotropa. Queste leggi sono fatte perché i minori sono particolarmente vulnerabili alla stimolazione dei circuiti dopaminergici e più inclini a sviluppare dipendenza. La dipendenza da smartphone non è la semplice conseguenza di una vita inadeguata e/o di una famiglia fragile. Spesso anche all’interno di vite adeguate e famiglie competenti le tecnologie ad uso personale dei minori fanno danni enormi. Moltissimi genitori competenti si rendono conto di questo. E chiederei a tutti i genitori di bambini di 9 e 10 anni che hanno dato ai loro figli il loro primo smartphone in età precoce, se la loro vita familiare e lo stile di vita dei loro bambini ha avuto beneficio da tale decisione educativa. Quanti sono oggi i genitori che se avessero saputo cosa sarebbe accaduto nella vita dei loro bambini dopo l’ingresso dello smartphone ad uso personale, rifarebbero la stessa scelta? C’è molta complessità da considerare quando si parla di questo tema. E nessuno ha mai detto che lo smartphone è la causa del malessere in età evolutiva. Ma non ho alcun problema ad affermare su base scientifica che lo smartphone rappresenta un “enorme” – e ribadisco “enorme” – fattore di rischio che contribuisce a determinare i quattro fattori che anche J. Haidt descrive in modo magistrale nel suo bellissimo libro “Generazione Ansiosa” (Rizzoli ed.) e intorno ai quali io e Barbara Tamborini avevamo già fornito ai genitori abbondanti evidenze nel nostro testo “Vietato ai minori di 14 anni” (De Agostini ed.). Quali sono questi quattro fattori? A) Deprivazione di sonno B) Deprivazione sociale C) Frammentazione dell’attenzione e riduzione delle competenze di apprendimento D) Addiction.
I vostri figli hanno manifestato almeno uno di questi quattro fenomeni dopo l’ingresso dello smartphone nelle loro vite? Secondo la narrazione corrente che si oppone alla nostra petizione il problema consisterebbe nel fatto che siete genitori fragili e iperconnessi. Secondo, invece, quanto affermato nella nostra petizione, il problema consiste nel fatto che – anche se siete genitori competenti e attenti ai bisogni educativi dei vostri figli – l’uncinamento dopaminergico prodotto dallo smartphone è così intenso da impedire a vostro figlio di farne buon uso. Perché il tema è proprio questo: non si può consegnare in mano ad un bambino qualcosa che è architettato per renderlo dipendente e dirgli che deve imparare a non esserlo. Da sempre tabacco, alcol, droghe, pornografia e gioco d’azzardo sono regolati da leggi di stato, per ciò che riguarda la fruizione da parte dei minori. Perché non dovrebbe accadere anche con lo smartphone? Ho ricevuto molti insulti, molto discredito professionale in tante affermazioni che ho sentito in questi giorni da molti colleghi. Se ho sbagliato ad avere, già da molti anni, la visione che la crescita di chi non ha compiuto 14 anni dovrebbe essere “smartphone free”, chiederò scusa al mondo. Ad oggi, però, la ricerca disponibile e le evidenze cliniche in età pediatrica, mi dicono di continuare ad avere questa visione e di condividerla con più adulti possibili. Se volete e potete condividete questo messaggio con altri genitori e lunedì partecipate all’evento online di cui trovate informazione nell’immagine abbinata a questo post.

Perché tutti abbiamo quei pazienti che non riescono proprio a rispettare i confini...
31/08/2024

Perché tutti abbiamo quei pazienti che non riescono proprio a rispettare i confini...

Qualche giorno fa, è stato approvato dal Governo australiano un provvedimento sul “diritto alla disconnessione”, una misura che ristabilisce il confine fra vita lavorativa e vita privata (chiamato anche work-life- balance) dopo che, con la diffusione dello smart working, con la pandemia e più in generale l’aumento dell’utilizzo degli smartphone, sono cresciuti i casi in cui i dipendenti vengono chiamati dopo la fine del turno di lavoro per svolgere straordinari, a volte neanche pagati.

Dopo l’approvazione di questo provvedimento, gli australiani potranno trascorrere del tempo di qualità con i loro cari senza dover rispondere continuamente a telefonate e messaggi di lavoro irragionevoli. Di diritto alla disconnessione si è iniziato a parlare negli ultimi anni, per i motivi già citati e per via del continuo contatto di un datore di lavoro con i suoi dipendenti come conseguenza dello smart working.

In questo periodo storico gli individui sono sempre raggiungibili tramite gli smartphone che ciascuno di noi ha nella tasca, attraverso le email o i tradizionali canali di comunicazione come social e watsapp, anche al mare sotto l'ombrellone.

Questo stare continuamente connessi, però, porta i dipendenti a svolgere compiti fuori orario per cui non sono pagati e ha, soprattutto, un notevole impatto sul benessere psicologico. Stare in vacanza ma non staccare mai o avere un orario di lavoro che vale solo sulla carta perché le telefonate continuano a squillare anche quando si è a casa spinge al burnout.

La legge australiana si applica a tutti i dipendenti pubblici e dall’anno prossimo anche a quelli delle piccole imprese private, coprirà di fatto la maggior parte dei dipendenti australiani. Un primo passo importante che alimenta la riflessione sul giusto equilibrio da mantenere tra la vita personale e il lavoro. Oltre all’Australia anche Germania, Canada, Belgio e Italia hanno una normativa simile. Quest’ultima, purtroppo, si limita a permettere una regolamentazione mediante contrattazione individuale tra datore di lavoro e lavoratore.

Per approfondire👇
https://lespresso.it/c/economia/2024/8/27/in-australia-il-diritto-a-disconnettersi-dopo-lorario-di-lavoro-e-legge/51896

Indirizzo

Via Borgosesia 87
Turin
10145

Orario di apertura

Lunedì 09:30 - 18:00
Martedì 09:30 - 18:00
Mercoledì 09:30 - 18:00
Giovedì 09:30 - 18:00
Venerdì 09:30 - 18:00
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Telefono

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